Era il 24 marzo del 1944.
Quel giorno furono trucidati dai nazisti 335 civili e militari italiani come atto di rappresaglia ad una azione partigiana.
Di tanto in tanto mi capita di andare a quel mausoleo. La prima volta, molti anni fa, ci sono andato con i miei genitori. Sotto la pesante lastra che toglie il respiro, in quella luce di piombo passavamo lentamente tra le file di tombe.
In una di quelle tombe c'è Ferruccio Caputo, era uno studente, aveva 21 anni e veniva da Melissano, il mio paese. Non fu facile trovare la sua tomba.
I miei genitori erano stanchi, non possono camminare a lungo. Non trovando la tomba di Ferruccio, mio padre disse "non fa niente, qui sotto sono tutti uguali, gli abbiamo fatto visita anche se non lo abbiamo trovato".
Aveva ragione, lì sotto, ripeto, lì sotto sono tutti uguali. La morte non ha annullato le loro differenze, le loro soggettività ma li ha accomunati allo stesso destino, alla stessa atroce fine.
Oggi si usa troppo spesso e a sproposito la frase "i morti sono tutti uguali". Non è così. Le loro morti li hanno resi uguali ma se vogliamo rendere davvero giustizia alle loro vite dobbiamo rispettare le loro differenze.
Non è un problema di "pacificazione", come si usa dire. E' una questione di rispetto.
"Concludiamone dunque che il mondo sarebbe assai migliore se ciascuno si accontentasse di quello che dice, senza aspettarsi che gli rispondano, e soprattutto senza chiederlo né desiderarlo." José Saramago
Tanta saggezza e rispetto verso la sorte di quelle vittime dell'odio più della guerra. Mi sono commossa nel leggere questo tuo post. Mi commuovo, penso per fragilità di vecchiaia, e anche perché quello che scrivi tocca nel profondo dell'anima. Un abbraccio.
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