Penso che l'inferno abbia un contenuto etico superiore a quello del paradiso. Non perché vi siano puniti peccati e altri malcelati alibi per esercitare il potere assurdo e ingiustificato, se non con questi mezzucci, dei viventi su altri viventi, ma perché non mette in pace neanche i superstiti ad un lutto. È quella costante tensione, quello stato di continua agitazione, opposto alla pace, così mediocremente intesa, che crea e costruisce l'edificio etico. Contrariamente al paradiso l'inferno costringe i viventi al continuo, eterno misurarsi con il dolore. Lo stesso, sia pure in diversa misura, si può dire del purgatorio. Qui c'è l'ausilio della speranza che rende questo luogo del pensiero forse più a misura d'uomo, creatura a tempo che mal s'accorda con l'eternità e che dei due poli dell'eterno, inferno e paradiso, sceglie volentieri il più comodo. Non è un caso se, dei tre regni dell'oltretomba, il purgatorio è stato quasi dimenticato. Anche il purgatorio è uno spazio di responsabilità, qui è richiesto ai credenti di pregare per la salvezza dei propri cari ma una volta raggiunta quella agognata salvezza, ogni tensione etica svanisce, chi amiamo è libero dal dolore e noi possiamo finalmente pensare i nostri cari in pace, nel regno della grande serenità. E con la loro serenità guadagniamo la nostra, perché quella perseguiamo sotto l'ipocrita bandiera del paradiso, con buona pace anche dell'amatissimo Dante che non poteva avere del suo paradiso la banale visione da mercato delle grazie che poi è diventato. Grande desolazione etica che fa dei defunti strumento delle preghiere dei superstiti, mercato della serenità dove scambiamo la nostra per quella di chi non c'è.
Il lutto è elaborato, il dolore trasfigurato, la pace è raggiunta.
Questa non è una riflessione sui morti, che riposino in pace come diciamo e speriamo, ma una riflessione sui vivi o supposti tali.
PS forse c'è questa necessità, sia pure rimossa perché necessariamente faticosa, di un fondamento etico nelle letture che oggi facciamo delle rappresentazioni dei regni dell'oltretomba. Nella stessa Divina Commedia fino alle pitture del giudizio finale, c'è una tensione nella cantica dell'inferno o nelle rappresentazioni dei dannati che è immensamente più coinvolgente di quanto non accada con le rappresentazioni dei beati. Forse è una lettura contemporanea ma proprio questo la rende consona al mio discorso.