Il rapporto tra beni e bisogni è sempre stato molto complicato e cosa venga prima ha impegnato decine di sociologi, senza che si pervenisse a una conclusione definitiva. L’attenzione si è spostata di volta in volta dalle esigenze primarie a quelle culturali, dalla determinazione biologica ai valori simbolici e da Karl Marx a Marshall Sahlins si è sempre stabilito una sorta di risonanza tra beni e bisogni con una reciproca determinazione e definizione. Se dal punto di vista genealogico la situazione è sicuramente complicata dal punto di vista etico è indubbio che i bisogni, in quanto espressione di un desiderio, si pongono in rapporto con i beni come i fini si pongono con i mezzi. Questo ovviamente non chiarisce il problema su cosa venga prima ma pone un certo limite alla crescita di feticci.
Tornando al dilemma genealogico, oggi appare diatriba di tempi passati che ha perso ogni interesse poiché è oltre modo evidente che l’ordine tra beni e bisogni è stato definitivamente chiarito per quella sottoclasse di beni conosciuti come beni di consumo, fortunatamente per i beni affettivi e relazionali la faccenda è ancora magnificamente complessa ma si sta lavorando in proposito per dipanare la matassa!
I beni di consumo vengono creati, il loro significato costruito contestualmente alla loro emergenza con meccanismi di manipolazione sociale complessi e difficilmente prevedibili, tuttavia in caso di successo, che significa acquisto e diffusione dei beni, entra in gioco una singolare asimmetria tra la precarietà del bene di consumo, che deve essere effimero per definizione, e la perduranza dell’immagine creata, quest’ultima diventa quasi intoccabile e costituisce l’autentico capostipite di beni successivi. Una cultura comunicativa che costruisce più di quanto gli sia concesso decostruire fornisce, suo malgrado, supporto a tale meccanismo. La comunicazione costruttiva avviene in un contesto produttivo di aggiunta e arricchimento (puoi fare, puoi costruire, puoi creare…), mentre il contesto della comunicazione decostruttiva è di ordine morale percepito come elemento penalizzante (non puoi fare, non puoi costruire, non puoi creare…). Un processo regolare, circolare di creazione ed erosione di significati è sempre un processo con bilancio positivo, con il risultato di creare immense discariche di significati difficili da decomporre.
Il contesto comunicativo è fondamentalmente asimmetrico, si può dire tutto e il suo contrario ma le modalità costruens e destruens della comunicazione non hanno pari dignità. La società rifiuta il “polemico” poiché rifiuta il conflitto, forse con qualche ragione ma spesso per pigrizia intellettuale più che per razionale opposizione che a sua volta sancirebbe conflitto. Non è follia riabilitare, sebbene senza la minima pretesa moralizzatrice o di coercizione, una funzione destruens di pari dignità della funzione costruens nella comunicazione allo scopo di aggiungere un elemento “spazzino” di molti rifiuti mentali. Occorre sviluppare la funzione destruens in un contesto di “diversa creazione”, occorre fornirle un contesto culturale in cui può essere espressa senza apparire l’urlo di un pazzo, dando per scontate le capacità mentali di chi la esprime.
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