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martedì 31 marzo 2015

Noi siamo ulivi

Non ho molte parole se non quelle del titolo che prendo in prestito da Nando Popu dei Sud Sound System.

Xylella Report, libro-inchiesta e documentario in difesa degli ulivi del Salento

4 commenti:

  1. I potentati economici ordinano e UE dispone.

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  2. Mi mancano molti dati e molti criteri per potermi fare un’idea abbastanza profonda sulla questione, leggo che non è dubbio soltanto cosa fare, ma addirittura se esista o meno un’emergenza … e a queste domande non so rispondere.
    Parlo da psicologo allora, che è il mio ambito e mi ci trovo abbastanza mio agio, e dico che quando le posizioni si estremizzano, si polarizzano in modo tale che c’è ad esempio chi vorrebbe abbattere cautelativamente e preventivamente tutti gli ulivi di una zona per evitare ulteriori contagi e chi vorrebbe salvarli ad ogni costo perché essi sono la tradizione e la nostra cultura, allora siamo certamente su un terreno pericoloso, sbagliato, perché ci si chiude, non si ascoltano le ragioni dell’altro, i suoi timori, le sue remore e, credo, qualsiasi delle due ragioni dovesse prevalere sarebbe sbagliata o parziale.
    Forse abbiamo davvero perso definitivamente le nostre radici, la nostra cultura, perché se esistono uliveti fino alle pendici delle prealpi, se si coltiva l’ulivo nei colli Euganei, sul Montello, sul Cansiglio e in Carnia, se la Puglia si è fatta depredare nel corso dei decenni scorsi dei suoi ulivi secolari perché fossero trapiantati nelle ville dei cummenda in Brianza a suon di euro, allora quando si invocano le radici, di quali radici si tratta? E quando si invoca la “cultura” di quale cultura si tratta, della stessa che al nord rivendica radici “celtiche”, di quella per cui i nostri figli festeggiano halloween o fanno feste in costume degli eroi dei cartoni giapponesi, mentre in piazza c’è la sagra del vino, quella dell’olio d’oliva o quella della polenta?
    Non mi convince il discorso che la nostra agricoltura debba e possa sopravvivere solo attraverso i finanziamenti europei, i nostri antenati nel medioevo e nel rinascimento portavano in tutta Europa prodotti di altissima qualità che non temevano concorrenza.
    Non mi convince l’argomento che non siamo competitivi perché da noi la mano d’opera costerebbe troppo cara e la messa a norma degli impianti toglie liquidità alla produttività: la Germania produce autovetture di alta qualità e la Volkwagen è diventata il primo produttore mondiale di veicoli, eppure rispetta norme rigorosissime, eppure inquina molto meno della Fiat, eppure i suoi operai sono quelli meglio pagati in Europa, eppure le sue macchine costano più di quelle della concorrenza … solo che sono migliori.
    Questo è il punto, non produrre olio d’oliva che costi meno di quello tunisino o spagnolo, ma produrne di qualità migliore, quello per cui basta un assaggio per dire: “Questo è olio d’oliva!”, e poi dovrebbe seguire una politica per promuoverlo e con esso promuovere l’italianità come stile di vita, dall’olio d’oliva al vino, dalla mozzarella di bufala alla pizza, dai tortellini al parmigiano, dai capi firmati di indubbia classe ed eleganza all’arte.
    Ciao

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  3. Dimenticavo due citazioni che mi erano venute in mente e che sono andato a cercare in un mio articolo pubblicato per poterle citare correttamente, volevo inserirle a proposito della cultura, la prima riguardo al farsi un'idea accurata prima di procedere:

    “… quando tali cose non si offrono alla comprensione, e la natura stessa non si disvela spontaneamente, la medicina ha scoperto mezzi di costrizione, con i quali la natura è forzata, pur senza suo danno, a rivelarsi; e quando si è rivelata fa chiaro, a chi conosce i metodi dell’arte, che cosa si debba fare”
    (Ippocrate, Arte, 13).

    La seconda sulle diverse gradazioni del procedere, una volta che abbiamo un'idea chiara su ciò che abbiamo davanti:

    «Quelle malattie che i medicamenti purgativi non curano le cura il ferro [intervento chirurgico], quelle che il ferro non cura le cura il fuoco [cauterizzazione]; quelle che il fuoco non cura, devono essere considerate incurabili». (Ippocrate, Aforismi, VII, 87).

    Ti rinnovo il saluto

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    1. Caro Garbo, risponderò molto brevemente al tuo intervento rimanendo solo sugli ulivi e su questa vicenda della xylella, avremo altre occasioni (forse) per parlare della volkswagen, della fiat, della politica agricola europea o della competitività italiana.
      In linea di principio non posso che darti ragione sugli effetti della polarizzazione delle posizioni ma a proposito della completezza delle informazioni osservo che per la maggior parte dei temi su cui ci esprimiamo cerchiamo di farci un'idea coerente pur consapevoli di non poter avere un'informazione completa, facendo altri mestieri. I link che ho aggiunto mi sembravano e continuano a sembrarmi sufficienti per intuire che su questa vicenda c'è un problema di metodo, non solo scientifico, bensì politico e informativo (qui un altro articolo). Manca una prova di patogenicità, sono evidenti gravi pecche circa la raccolta delle informazioni preliminari a qualunque decisione, sono evidenti scollamenti tra indicazioni regionali/nazionali e quelle europee, sono evidenti interessi economici che vanno ben oltre l'esigenza di "contenere il contagio". E' evidente che le "indicazioni" di eradicazione sono nazionali se non pugliesi, non europee, e questo la dice lunga sulla nostra eredità culturale. Quello che non è evidente sono le testimonianze dei tanti contadini ultraottantenni che ancora ho la fortuna di ascoltare, e uno di loro è mio nonno, che ricordano situazioni simili in passato perché "l'incuria per gli ulivi è fatale, perché gli ulivi vanno curati" e per curati intendono prendersene cura. Non sono evidenti le testimonianze di quanti come mio padre saprebbero come curarli quegli ulivi. Quelle testimonianze non sono evidenti perché cosa ne sanno i contadini? Non sono mica laureati in biologia, agraria o chimica farmaceutica?
      Ti saluto anch'io.

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