Il termine blog è una contrazione di web-log, in altre parole diario in rete. Secondo Wikipedia a febbraio scorso c'erano più di 156 milioni di blog nel mondo. Non conosco stime affidabili del numero di blog in Italia, si va da 500.000 ad almeno 3 milioni.
In rete ci sono blog di tutti i tipi, di politica, di informazione scientifica, sport, viaggi, poesie, ricette, musica, racconti, ecc. ecc.
Indipendentemente dai contenuti dei blog mi sono sempre chiesto per quale motivo una persona decida di aprire un blog, va da sé che mi chiedo anche perché una persona decida di chiuderlo, come feci io ad un anno dall'apertura di questo blog, salvo ricredermi tre mesi dopo!
Prendo spunto dall'ultimo post di Aldo, alias il Monticiano, per fare (e continuare a farmi) alcune domande.
Cosa spinge a scrivere qualcosa che sia disponibile alla lettura di altri? Quali sono le caratteristiche della comunicazione nei blog? Si tratta davvero di comunicazione? Quali sono le modalità di aggregazione dei lettori intorno ad un blog? Perché si decide di lasciare un commento in un post? E perché si decide di non lasciarne affatto?
Mi piacerebbe nascesse un confronto e una riflessione su queste domande che rigiro a chi passa da queste parti augurando a tutti buone feste.
"Concludiamone dunque che il mondo sarebbe assai migliore se ciascuno si accontentasse di quello che dice, senza aspettarsi che gli rispondano, e soprattutto senza chiederlo né desiderarlo." José Saramago
Pagine
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domenica 18 dicembre 2011
giovedì 15 dicembre 2011
Teneramente malato di ricordi
Risalgono onde tumultuose
di giorni apparentemente speciali
che orologi lenti rintoccano.
Mare in burrasca e raffiche di vento
sferzano vele strappate.
Quando la tempesta si placa
lascia sulla spiaggia relitti,
ad asciugare al sole inutile
di un'altra giornata serena.
Le bucce di pomodoro nella minestra e smorfie di rifiuto, i furti di mollette colorate dai fili di bucato delle vicine per farne collezioni segrete, la frutta grattugiata che non mando giù, l'impasto dolce dei taralli che prendo dalle mani di mia nonna, il mio cane Gerri e un gatto tigrato più grande di me, quattro sedie e una coperta a fare un letto provvisorio per il riposo pomeridiano al mare, una fetta di pane con zucchero e poche gocce di vino, il formaggino sciolto nella pastina, la mia prelibatezza, le scarpe sporche di terra di mio padre al ritorno dal lavoro, il mosto dolce d'uva appena pigiata da mio nonno, non berne troppo che ti fa male, un albero di fico enorme ed un pozzo scuro, il profumo del pane appena sfornato, un vecchio accucciato nel camino vicino al fuoco e la grande madre che sorride delle stranezze di quell'uomo bambino che l'anima ha milionaria, le frittelle di mia zia che, bambina poco meno di me, inventa dolci e mi legge poesie che non capisco, i sanapi e la fritta dai campi selvatici e generosi, le dieci lire regalate dal vecchio maresciallo con la promessa di essere buono, il pane abbrustolito come solo mio padre sa fare, sul fuoco, poi bagnato e di nuovo sul fuoco, e la zuppa di grano di mia madre, i pezzetti di carne di cavallo con buccia di arancia e cannella, il lunghissimo richiamo della nonna del mio compagno di giochi, sirena alla fine di un turno di lavoro, che interrompe le scorribande per i campi, Biagiiiiiiiiiiiino...
Immagini acute di tavolozza cangiante, caleidoscopio di segni insepolti.
Che colore ha il tempo? Che sapore ha il tempo? Che odore ha il tempo? Quali i suoni e la consistenza?
Certi giorni sono lunghi come anni. Di anni corti come giorni diceva il poeta. Bizzarrie del tempo, che danza sulla musica della memoria, incurante delle cadenze del cuore.
Oggi è durato quarantatré anni. Ho bisogno di regalarmi qualcosa di speciale, come le parole di Esenin, recitate da Carmelo Bene, che trascrivo, e la delicatissima trasposizione di Angelo Branduardi.
Confessione di un teppista
Non a tutti è dato cantare,
non a tutti è dato cadere
come una mela ai piedi altrui.
E’ questa la più grande confessione
che possa farvi un teppista.
Io vado a bella posta spettinato
col capo come un lume a petrolio sulle spalle.
Mi piace rischiarare nelle tenebre
lo spoglio autunno delle vostre anime.
Mi piace che i sassi dell’ingiuria
mi volino addosso come grandine di eruttante bufera.
Allora stringo solo con le mani più forte
la bolla dondolante dei capelli.
M'è così dolce allora ricordare
lo stagno erboso e il fioco stormire dell'animo
che un padre e una madre lontani,
cui non importa di tutti i versi miei,
cui son caro come il campo e la carne,
come la pioggerella che a primavera fa soffici i verdi.
Loro verrebbero a infilzarvi con le forche
per ogni vostro grido scagliato contro me.
Poveri, poveri genitori contadini!
Siete di certo diventati brutti,
temete Iddio e le viscere palustri.
Poteste almeno capire
che vostro figlio in Russia
è il migliore poeta!
Non vi brinava sul cuore quella sua vita,
quando coi piedi nudi si bagnava nelle pozze autunnali?
Ora invece cammina in cilindro
e scarpe di vernice.
Ma vive ancora in lui l’antica foga
del monello campagnolo
che ogni cosa vuol rimettere a posto.
Ad ogni mucca sulle insegne di macelleria
egli manda un saluto di lontano.
E incontrando in piazza i vetturini,
e ricordando l’odore di letame dei campi natali,
è pronto a reggere la coda a ogni cavallo
come lo strascico d’un abito nuziale.
Io amo la patria.
Amo molto la patria!
Anche se copre i suoi salici di rugginosa mestizia.
Mi sono cari i grugni imbrattati dei maiali
e nella quiete notturna la voce risonante dei rospi.
Io sono teneramente malato di ricordi d’infanzia,
sogno la bruma delle umide sere d’aprile.
Come per riscaldarsi il nostro acero
s’è accoccolato al rogo del tramonto.
Quante volte mi sono arrampicato sui rami
a rubare le uova dai nidi dei corvi!
E’ sempre lo stesso anche ora, con la sua cima verde?
La sua corteccia è dura come allora?
E tu, mio prediletto,
fedele cane pezzato?!
Per la vecchiaia ora sei stridulo e cieco
e vaghi nel cortile, trascinando la coda penzolante,
senza più ricordare dove sia la porta e dove la stalla.
Come mi sono care quelle birichinate
quando, rubato alla mamma un cantuccio di pane,
lo mordevamo insieme uno alla volta,
senza lasciar cadere una briciola l’uno dell’altro.
Io non sono mutato.
Non è mutato il mio cuore.
Come fiordalisi nella segala fioriscono gli occhi nel viso.
Stendendo stuoie dorate di versi,
sì, voglio dirvi una parola tenera.
Buona notte!
A tutti buona notte!
Più non tintinna nell’erba del crepuscolo la falce del tramonto.
Stasera ho tanta voglia di pisciare
dalla finestra mia contro la luna.
Azzurra luce, luce tanto azzurra!
In quest’azzurro anche il morir non duole.
E che importa se ho l’aria d’un cinico
dal cui sedere penzola un fanale!
Mio vecchio e bravo Pegaso spossato,
mi occorre forse il tuo morbido trotto?
Io sono venuto come un maestro austero
a decantare e celebrare i sorci.
E la mia testa, simile a un agosto,
si effonde in vino di capelli ribelli.
E voglio essere una gialla vela
per quel paese verso cui navighiamo.
Sergej Aleksandrovič Esenin (1895-1925), Confessione di un teppista, 1921.
«In questa vita, morire non è una novità,
ma, di certo, non lo è nemmeno vivere.»
Sergej Aleksandrovič Esenin, da Arrivederci, amico mio, arrivederci, 1925.
di giorni apparentemente speciali
che orologi lenti rintoccano.
Mare in burrasca e raffiche di vento
sferzano vele strappate.
Quando la tempesta si placa
lascia sulla spiaggia relitti,
ad asciugare al sole inutile
di un'altra giornata serena.
Le bucce di pomodoro nella minestra e smorfie di rifiuto, i furti di mollette colorate dai fili di bucato delle vicine per farne collezioni segrete, la frutta grattugiata che non mando giù, l'impasto dolce dei taralli che prendo dalle mani di mia nonna, il mio cane Gerri e un gatto tigrato più grande di me, quattro sedie e una coperta a fare un letto provvisorio per il riposo pomeridiano al mare, una fetta di pane con zucchero e poche gocce di vino, il formaggino sciolto nella pastina, la mia prelibatezza, le scarpe sporche di terra di mio padre al ritorno dal lavoro, il mosto dolce d'uva appena pigiata da mio nonno, non berne troppo che ti fa male, un albero di fico enorme ed un pozzo scuro, il profumo del pane appena sfornato, un vecchio accucciato nel camino vicino al fuoco e la grande madre che sorride delle stranezze di quell'uomo bambino che l'anima ha milionaria, le frittelle di mia zia che, bambina poco meno di me, inventa dolci e mi legge poesie che non capisco, i sanapi e la fritta dai campi selvatici e generosi, le dieci lire regalate dal vecchio maresciallo con la promessa di essere buono, il pane abbrustolito come solo mio padre sa fare, sul fuoco, poi bagnato e di nuovo sul fuoco, e la zuppa di grano di mia madre, i pezzetti di carne di cavallo con buccia di arancia e cannella, il lunghissimo richiamo della nonna del mio compagno di giochi, sirena alla fine di un turno di lavoro, che interrompe le scorribande per i campi, Biagiiiiiiiiiiiino...
Immagini acute di tavolozza cangiante, caleidoscopio di segni insepolti.
Che colore ha il tempo? Che sapore ha il tempo? Che odore ha il tempo? Quali i suoni e la consistenza?
Certi giorni sono lunghi come anni. Di anni corti come giorni diceva il poeta. Bizzarrie del tempo, che danza sulla musica della memoria, incurante delle cadenze del cuore.
Oggi è durato quarantatré anni. Ho bisogno di regalarmi qualcosa di speciale, come le parole di Esenin, recitate da Carmelo Bene, che trascrivo, e la delicatissima trasposizione di Angelo Branduardi.
Confessione di un teppista
Non a tutti è dato cantare,
non a tutti è dato cadere
come una mela ai piedi altrui.
E’ questa la più grande confessione
che possa farvi un teppista.
Io vado a bella posta spettinato
col capo come un lume a petrolio sulle spalle.
Mi piace rischiarare nelle tenebre
lo spoglio autunno delle vostre anime.
Mi piace che i sassi dell’ingiuria
mi volino addosso come grandine di eruttante bufera.
Allora stringo solo con le mani più forte
la bolla dondolante dei capelli.
M'è così dolce allora ricordare
lo stagno erboso e il fioco stormire dell'animo
che un padre e una madre lontani,
cui non importa di tutti i versi miei,
cui son caro come il campo e la carne,
come la pioggerella che a primavera fa soffici i verdi.
Loro verrebbero a infilzarvi con le forche
per ogni vostro grido scagliato contro me.
Poveri, poveri genitori contadini!
Siete di certo diventati brutti,
temete Iddio e le viscere palustri.
Poteste almeno capire
che vostro figlio in Russia
è il migliore poeta!
Non vi brinava sul cuore quella sua vita,
quando coi piedi nudi si bagnava nelle pozze autunnali?
Ora invece cammina in cilindro
e scarpe di vernice.
Ma vive ancora in lui l’antica foga
del monello campagnolo
che ogni cosa vuol rimettere a posto.
Ad ogni mucca sulle insegne di macelleria
egli manda un saluto di lontano.
E incontrando in piazza i vetturini,
e ricordando l’odore di letame dei campi natali,
è pronto a reggere la coda a ogni cavallo
come lo strascico d’un abito nuziale.
Io amo la patria.
Amo molto la patria!
Anche se copre i suoi salici di rugginosa mestizia.
Mi sono cari i grugni imbrattati dei maiali
e nella quiete notturna la voce risonante dei rospi.
Io sono teneramente malato di ricordi d’infanzia,
sogno la bruma delle umide sere d’aprile.
Come per riscaldarsi il nostro acero
s’è accoccolato al rogo del tramonto.
Quante volte mi sono arrampicato sui rami
a rubare le uova dai nidi dei corvi!
E’ sempre lo stesso anche ora, con la sua cima verde?
La sua corteccia è dura come allora?
E tu, mio prediletto,
fedele cane pezzato?!
Per la vecchiaia ora sei stridulo e cieco
e vaghi nel cortile, trascinando la coda penzolante,
senza più ricordare dove sia la porta e dove la stalla.
Come mi sono care quelle birichinate
quando, rubato alla mamma un cantuccio di pane,
lo mordevamo insieme uno alla volta,
senza lasciar cadere una briciola l’uno dell’altro.
Io non sono mutato.
Non è mutato il mio cuore.
Come fiordalisi nella segala fioriscono gli occhi nel viso.
Stendendo stuoie dorate di versi,
sì, voglio dirvi una parola tenera.
Buona notte!
A tutti buona notte!
Più non tintinna nell’erba del crepuscolo la falce del tramonto.
Stasera ho tanta voglia di pisciare
dalla finestra mia contro la luna.
Azzurra luce, luce tanto azzurra!
In quest’azzurro anche il morir non duole.
E che importa se ho l’aria d’un cinico
dal cui sedere penzola un fanale!
Mio vecchio e bravo Pegaso spossato,
mi occorre forse il tuo morbido trotto?
Io sono venuto come un maestro austero
a decantare e celebrare i sorci.
E la mia testa, simile a un agosto,
si effonde in vino di capelli ribelli.
E voglio essere una gialla vela
per quel paese verso cui navighiamo.
Sergej Aleksandrovič Esenin (1895-1925), Confessione di un teppista, 1921.
«In questa vita, morire non è una novità,
ma, di certo, non lo è nemmeno vivere.»
Sergej Aleksandrovič Esenin, da Arrivederci, amico mio, arrivederci, 1925.
martedì 13 dicembre 2011
Rovesci
...e se una ragazza rom insieme a suo fratello avesse raccontato di essere stata violentata da due italiani solo per nascondere ai genitori di aver fatto l'amore con il proprio fidanzato?
...e se un cittadino senegalese si fosse avvicinato ad un gruppo di venditori ambulanti italiani e avesse fatto fuoco con una pistola uccidendone due a sangue freddo?
...e se un cittadino senegalese si fosse avvicinato ad un gruppo di venditori ambulanti italiani e avesse fatto fuoco con una pistola uccidendone due a sangue freddo?
domenica 11 dicembre 2011
Domande di un contadino che non legge
Ogni volta che con i miei genitori passeggiamo per le strade di Roma mio padre non riesce a godere della bellezza di questa straordinaria città. La città gli piace, non è insensibile alla sua bellezza, ma i suoi occhi non vedono solo la bellezza della città eterna, le parole che più spesso gli sento pronunciare sono: "Quanta gente è morta per fare questi monumenti, tutte queste chiese? Quanta schiavitù?".
Domande di un operaio che legge
Tebe dalle Sette Porte, chi la costruì?
Ci sono i nomi dei re, dentro i libri.
Son stati i re a strascicarli, quei blocchi di pietra?
Babilonia, distrutta tante volte,
chi altrettante la riedificò? In quali case,
di Lima lucente d’oro abitavano i costruttori?
Dove andarono, la sera che fu terminata la Grande Muraglia,
i muratori? Roma la grande
è piena d’archi di trionfo. Chi li innalzò? Su chi
trionfarono i Cesari? La celebrata Bisanzio
aveva solo palazzi per i suoi abitanti? Anche nella favolosa Atlantide
la notte che il mare li inghiottì, affogavano urlando
aiuto ai loro schiavi.
Il giovane Alessandro conquistò l’India,
Da solo?
Cesare sconfisse i Galli.
Non aveva con sé nemmeno un cuoco?
Filippo di Spagna pianse, quando la flotta
gli fu affondata. Nessun altro pianse?
Federico II vinse la guerra dei Sette Anni. Chi,
oltre a lui, l’ha vinta?
Una vittoria ogni pagina,
Chi cucinò la cena della vittoria?
Ogni dieci anni un grand’uomo.
Chi ne pagò le spese?
Quante vicende,
tante domande.
Bertolt Brecht, Domande di un operaio che legge, da Poesie di Svendborg, 1939.
V. Van Gogh, contadino. |
Domande di un operaio che legge
Tebe dalle Sette Porte, chi la costruì?
Ci sono i nomi dei re, dentro i libri.
Son stati i re a strascicarli, quei blocchi di pietra?
Babilonia, distrutta tante volte,
chi altrettante la riedificò? In quali case,
di Lima lucente d’oro abitavano i costruttori?
Dove andarono, la sera che fu terminata la Grande Muraglia,
i muratori? Roma la grande
è piena d’archi di trionfo. Chi li innalzò? Su chi
trionfarono i Cesari? La celebrata Bisanzio
aveva solo palazzi per i suoi abitanti? Anche nella favolosa Atlantide
la notte che il mare li inghiottì, affogavano urlando
aiuto ai loro schiavi.
Il giovane Alessandro conquistò l’India,
Da solo?
Cesare sconfisse i Galli.
Non aveva con sé nemmeno un cuoco?
Filippo di Spagna pianse, quando la flotta
gli fu affondata. Nessun altro pianse?
Federico II vinse la guerra dei Sette Anni. Chi,
oltre a lui, l’ha vinta?
Una vittoria ogni pagina,
Chi cucinò la cena della vittoria?
Ogni dieci anni un grand’uomo.
Chi ne pagò le spese?
Quante vicende,
tante domande.
Bertolt Brecht, Domande di un operaio che legge, da Poesie di Svendborg, 1939.
venerdì 9 dicembre 2011
Perifrasi e appelli
"È scandaloso che la Chiesa italiana chieda più equità nella manovra, e non sia sfiorata dal dubbio che anche lei debba contribuire ai sacrifici chiesti agli italiani, pagando come ciascuno l’Ici sugli immobili."
Così cominciava questo articolo di ieri di Barbara Spinelli pubblicato da MicroMega.
Che dire? Questo può accadere quando parti anatomiche considerate nobili perché manifesto dell'animo prendono il posto di parti dal ruolo meno elegante, per quanto irrinunciabile, deputate al passaggio di materiale di scarico, e viceversa!
Su MicroMega è in corso un appello per chiedere che gli edifici di proprietà della Chiesa che non siano luoghi di culto paghino l'Ici (o Imu che sia). Io ho messo il banner in alto a sinistra del mio blog, fai la stessa cosa sul tuo blog.
Clicca qui per aderire all'appello di MicroMega.
Inoltre Avaaz.org, una organizzazione transnazionale che promuove appelli e petizioni, sta raccogliendo adesioni anche per quanto riguarda l'assegnazione gratuita delle frequenze della tv digitale e aprire un'asta pubblica di vendita, che frutterebbe diversi miliardi di euro alle casse dello stato. Quello delle frequenze gratuite è un'altro degli scandali cui tiene tanto la banda bassotti, perché piace al capo clan. La stessa resistenza non mi pare di vederla su altre misure.
Clicca qui per aderire all'appello di Avaaz.
Così cominciava questo articolo di ieri di Barbara Spinelli pubblicato da MicroMega.
Che dire? Questo può accadere quando parti anatomiche considerate nobili perché manifesto dell'animo prendono il posto di parti dal ruolo meno elegante, per quanto irrinunciabile, deputate al passaggio di materiale di scarico, e viceversa!
Su MicroMega è in corso un appello per chiedere che gli edifici di proprietà della Chiesa che non siano luoghi di culto paghino l'Ici (o Imu che sia). Io ho messo il banner in alto a sinistra del mio blog, fai la stessa cosa sul tuo blog.
Clicca qui per aderire all'appello di MicroMega.
Inoltre Avaaz.org, una organizzazione transnazionale che promuove appelli e petizioni, sta raccogliendo adesioni anche per quanto riguarda l'assegnazione gratuita delle frequenze della tv digitale e aprire un'asta pubblica di vendita, che frutterebbe diversi miliardi di euro alle casse dello stato. Quello delle frequenze gratuite è un'altro degli scandali cui tiene tanto la banda bassotti, perché piace al capo clan. La stessa resistenza non mi pare di vederla su altre misure.
Clicca qui per aderire all'appello di Avaaz.
mercoledì 7 dicembre 2011
Cortesia chiamo
La professoressa Morra entrava in aula, si toglieva il cappotto lo teneva per qualche secondo in mano e lanciando uno sguardo ai presenti sospirava declamando questi versi "Cortesia cortesia cortesia chiamo e da nessuna parte mi risponde". Chiedeva che qualcuno prendesse il suo cappotto e lo riponesse sull'attaccapanni.
Mi è piaciuta questa storia che mi ha raccontato Vito.
Intanto i tempi sono cambiati, sono passati più di vent'anni, ed è diventato difficile anche solo concepire che una signora possa chiedere che qualcuno le prenda il cappotto.
Cortesia cortesia cortesia chiamo
e da nessuna parte mi risponde,
e chi la dèe mostrar, sì la nasconde,
Avarizia le genti ha preso all’amo,
ed ogni grazia distrugge e confonde;
però se eo mi doglio, eo so ben onde:
di voi, possenti, a Dio me ne richiamo.
Ché la mia madre cortesia avete
messa sì sotto il piè che non si leva;
l’aver ci sta, voi non ci rimanete!
Tutti siem nati di Adamo e di Eva;
potendo, non donate e non spendete:
mal ha natura chi tai figli alleva.
Folgòre da San Gimignano (1270-1332), Cortesia cortesia cortesia chiamo
Mi è piaciuta questa storia che mi ha raccontato Vito.
Intanto i tempi sono cambiati, sono passati più di vent'anni, ed è diventato difficile anche solo concepire che una signora possa chiedere che qualcuno le prenda il cappotto.
Cortesia cortesia cortesia chiamo
e da nessuna parte mi risponde,
e chi la dèe mostrar, sì la nasconde,
Avarizia le genti ha preso all’amo,
ed ogni grazia distrugge e confonde;
però se eo mi doglio, eo so ben onde:
di voi, possenti, a Dio me ne richiamo.
Ché la mia madre cortesia avete
messa sì sotto il piè che non si leva;
l’aver ci sta, voi non ci rimanete!
Tutti siem nati di Adamo e di Eva;
potendo, non donate e non spendete:
mal ha natura chi tai figli alleva.
Folgòre da San Gimignano (1270-1332), Cortesia cortesia cortesia chiamo
lunedì 5 dicembre 2011
Annotazioni
Trovo ingenuo meravigliarsi della manovra del governo Monti per quegli aspetti che deludono quanti, come me, si aspettavano una stretta più incisiva sui redditi alti, sui beni di lusso, sui capitali rientrati con lo scudo fiscale a favore di politiche redistributive verso le fasce più disagiate. Invece l'aliquota Irpef per chi guadagna oltre 75.000 € annui non è stata toccata, i capitali scudati pagheranno un addizionale e misero 1,5% e le auto di lusso scopriamo che hanno almeno 231 cavalli, quelle tra 100 e 230 evidentemente sono utilitarie!
Dicevo trovo ingenua la meraviglia per due motivi. Il primo motivo è che Monti è un uomo con una visione economica liberale di mercato, quindi meno incline di quanto non si possa sperare a sinistra alla supremazia politica, alle scelte redistributive ed a imporre vincoli e indirizzi al mercato. Il secondo motivo è che Monti e il suo governo hanno le mani legate da una maggioranza parlamentare che dovrà approvare quello che il governo delibera. Senza l'approvazione in Parlamento la manovra e il governo cade e questo aprirebbe la strada ad uno scenario molto poco gradevole per tutti, soprattutto per chi non è ricco, una strada tutta in discesa. Poiché la maggioranza relativa in Parlamento è ancora in mano al PdL le conclusioni sono facili. Sarà più insoddisfatta la sinistra della destra, è inevitabile.
Ma il motivo più importante per cui trovo ingenua e inquietante la meraviglia è che questa meraviglia rivela che si attendeva da Monti la palingenesi delle politiche nazionali. Errore gravissimo, segno del bisogno di un altro uomo della Provvidenza. Qualcuno dirà che è comprensibile dopo il precedente inquilino (abusivo) di palazzo Chigi ma io lo ritengo un segnale comunque inquietante.
Resta il fatto che Monti, per quanto io possa pensarla diversamente da lui, è persona seria e competente diversamente da quanti occupavano i posti di governo fino a poco tempo fa e ha più che dimostrato di non essere un seguace di un mercato selvaggio e senza regole. Tempo fa espressi qualche perplessità riguardo alla sua speranza nel primo governo del signor b. ma a suo vantaggio va detto che, a differenza di molti, si accorse dopo pochi mesi che aveva riposto fiducia in un cialtrone. Certo, se penso a quanti come Norberto Bobbio, Alessandro Galante Garrone, Alessandro Pizzorusso, Paolo Sylos Labini guardavano lontano e firmavano appelli per fermare l'ascesa al potere di un soggetto pericoloso torna ancora lo stupore e la rabbia per la temporanea (o strumentale) miopia di Monti nel '94 ma ad ogni modo si tratta di persona che oggi apre uno scenario politico e di comportamenti anni luce più rispettabile di quello che c'era una ventina di giorni fa.
Il fatto che Monti ci abbia in qualche modo, non del tutto, liberati dal suo predecessore non significa che non si debbano criticare le decisioni del governo, esprimere e manifestare il dissenso e fare di tutto perché la politica di sviluppo di questo paese prenda un'altra piega.
A questo proposito invito a leggere l'ultimo numero di MicroMega, il n. 7/2011, interamente dedicato ad un programma di sviluppo per l'Italia, scritto prima dell'insediamento di Monti.
Dicevo trovo ingenua la meraviglia per due motivi. Il primo motivo è che Monti è un uomo con una visione economica liberale di mercato, quindi meno incline di quanto non si possa sperare a sinistra alla supremazia politica, alle scelte redistributive ed a imporre vincoli e indirizzi al mercato. Il secondo motivo è che Monti e il suo governo hanno le mani legate da una maggioranza parlamentare che dovrà approvare quello che il governo delibera. Senza l'approvazione in Parlamento la manovra e il governo cade e questo aprirebbe la strada ad uno scenario molto poco gradevole per tutti, soprattutto per chi non è ricco, una strada tutta in discesa. Poiché la maggioranza relativa in Parlamento è ancora in mano al PdL le conclusioni sono facili. Sarà più insoddisfatta la sinistra della destra, è inevitabile.
Ma il motivo più importante per cui trovo ingenua e inquietante la meraviglia è che questa meraviglia rivela che si attendeva da Monti la palingenesi delle politiche nazionali. Errore gravissimo, segno del bisogno di un altro uomo della Provvidenza. Qualcuno dirà che è comprensibile dopo il precedente inquilino (abusivo) di palazzo Chigi ma io lo ritengo un segnale comunque inquietante.
Resta il fatto che Monti, per quanto io possa pensarla diversamente da lui, è persona seria e competente diversamente da quanti occupavano i posti di governo fino a poco tempo fa e ha più che dimostrato di non essere un seguace di un mercato selvaggio e senza regole. Tempo fa espressi qualche perplessità riguardo alla sua speranza nel primo governo del signor b. ma a suo vantaggio va detto che, a differenza di molti, si accorse dopo pochi mesi che aveva riposto fiducia in un cialtrone. Certo, se penso a quanti come Norberto Bobbio, Alessandro Galante Garrone, Alessandro Pizzorusso, Paolo Sylos Labini guardavano lontano e firmavano appelli per fermare l'ascesa al potere di un soggetto pericoloso torna ancora lo stupore e la rabbia per la temporanea (o strumentale) miopia di Monti nel '94 ma ad ogni modo si tratta di persona che oggi apre uno scenario politico e di comportamenti anni luce più rispettabile di quello che c'era una ventina di giorni fa.
Il fatto che Monti ci abbia in qualche modo, non del tutto, liberati dal suo predecessore non significa che non si debbano criticare le decisioni del governo, esprimere e manifestare il dissenso e fare di tutto perché la politica di sviluppo di questo paese prenda un'altra piega.
A questo proposito invito a leggere l'ultimo numero di MicroMega, il n. 7/2011, interamente dedicato ad un programma di sviluppo per l'Italia, scritto prima dell'insediamento di Monti.
sabato 3 dicembre 2011
Pensieri...altrui
"Ogni specie di uccello ha un suo modo di volare, ritmo, energia, dolcezza e poesia, quasi un modo suo di dare forma e consistenza all'invisibilità dell'aria. Siamo tutti occhi aperti su orizzonti unici." Luca
venerdì 2 dicembre 2011
Costanti universali
"La parola profilattico nell’Italia del 2011 è ancora un tabù. Almeno lo è per la Rai e per il ministero della Salute, che da pochi giorni è guidato da Renato Balduzzi. Non bisogna pronunciarla nemmeno in occasione della giornata mondiale contro l’Aids. Che è stata celebrata ieri, con una serie di trasmissioni su Radio 1. Ebbene, i conduttori e le redazioni dei programmi coinvolti nell’iniziativa, mercoledì scorso, hanno ricevuto un’email che lasciava adito a pochi dubbi: «Carissimi, segnalo che nelle ultime ore il ministero ha ribadito che in nessun intervento deve essere nominato esplicitamente il profilattico; bisogna limitarsi al concetto generico di prevenzione nei comportamenti sessuali e alla necessità di sottoporsi al test Hiv in caso di potenziale rischio. Se potete, sottolineate questo concetto.»" leggi il seguito sul Corriere della Sera.
L'ho sempre detto, essere coglione è una condizione ontologica, una costante universale, come la velocità della luce o la carica dell'elettrone, cambiare le condizioni al contorno non ne cambia il valore.
I governi cambiano, i coglioni restano!
L'ho sempre detto, essere coglione è una condizione ontologica, una costante universale, come la velocità della luce o la carica dell'elettrone, cambiare le condizioni al contorno non ne cambia il valore.
I governi cambiano, i coglioni restano!
giovedì 1 dicembre 2011
Lacerazioni
Io non posso dirmi un estimatore del Partito Democratico ma certo non mi sfugge che di fronte alle riforme proposte dal governo Monti c'è un partito che si lacera sull'innalzamento dei 40 anni di contributi per le pensioni (e 40 anni di lavoro sono tanti) e un partito che si oppone all'ICI e alla patrimoniale.
A proposito, per quanti hanno cominciato a lavorare seriamente intorno ai 35/40 anni - versando i contributi intendo - si sta pensando di attivare un servizio casa di cura annesso ad ogni posto di lavoro o direttamente una sezione pompe funebri?
A proposito, per quanti hanno cominciato a lavorare seriamente intorno ai 35/40 anni - versando i contributi intendo - si sta pensando di attivare un servizio casa di cura annesso ad ogni posto di lavoro o direttamente una sezione pompe funebri?
mercoledì 30 novembre 2011
Altre note
In quello che segue intendo aggiungere qualche chiarimento a quanto scrivevo in questo post e dare risposta ai commenti ricevuti. Poiché il testo supera le dimensioni di un commento preferisco dedicare un post a sé.
Chiariamo subito un paio di punti. In un sistema democratico i valori non negoziabili sono quelli sanciti nei principi fondamentali delle Costituzioni, risultato a loro volta di una negoziazione storica circa la non negoziabilità degli stessi o le modalità di negoziazione. Il resto discende da quei principi. Qui la negoziazione assume valore più ampio del banale mercanteggiare e include il faticoso e continuo processo di riconoscimento della comune esperienza umana. Per usare le parole di Zagrebelsky “La democrazia è relativistica, non assolutistica. Essa, come istituzione d’insieme e come potere che da essa promana, non ha fedi o valori assoluti da difendere, a eccezione di quelli sui quali essa stessa si basa: nei confronti dei principi democratici, la pratica democratica non può essere relativistica.”, Imparare democrazia, Einaudi, 2007.
Per quanto riguarda il relativismo etico, io lo rivendico come la più grande conquista della coscienza politica e sociale, innanzitutto perché quello che intendo io non ha nulla a che fare con le caricature domenicali delle omelie da balcone e con il “faccio quello che mi pare”, è qualcosa di molto più complesso e impegnativo, e poi perché il contraltare al relativismo è l’assolutismo che porta inevitabilmente alle degenerazioni di uno stato etico. Se ci sono valori non negoziabili, chi sarà l’interprete di tali valori? Quale autorità si assumerà l’incarico di dettarli e renderli obbligatori per tutti? Rispondere a queste domande prescindendo da quella forma di governo discutidora che è la democrazia porta inevitabilmente all’assolutismo etico. Se il freno alla degenerazione del relativismo etico è esattamente quella negoziazione che si vuole negare io non vedo freno all'assolutismo etico che non sia il rovesciamento violento di chi si arroga la prerogativa di ergersi a guida.
Simone, ha ragione - magari successivamente se mi da del tu lo scambio sarà meno formale! - quando dice che la democrazia è in crisi perche è in crisi lo Stato nazionale di stampo ottocentesco, sebbene io non l’abbia detto esplicitamente citavo il libro di Crouch in cui quella tesi è esposta. Da questo punto di vista meritano attenzione quei fattori transnazionali di natura economica che caratterizzano la globalizzazione, per intendersi, le attività commerciali e finanziarie che sfuggono al controllo politico degli Stati nazionali. Considerato questo lo Stato nazionale ottocentesco, una volta privato del valore che dava ai confini nazionali e di quanto di deleterio discendeva da questo, potrebbe essere preso a modello per costruire una politica mondiale che abbia il primato sull’economia.
Rispondo alla domanda su “chiesa , papi e teologi”. Io considero il dialogo un valore imprescindibile, purché si svolga su temi e con modalità che non neghino il dialogo stesso, quindi sì, sono convinto che i nomi che ho fatto siano interlocutori credibili per uno stato laico. Questo è cosa diversa dal pensare o, peggio, desiderare che quelle persone la pensino esattamente come me riguardo a temi scientifici o etici. So benissimo cosa Küng o Mancuso dicano dell’evoluzionismo darwiniano ma nel loro caso, poiché la loro presenza nel panorama culturale non si limita a questo, posso semplicemente sospendere il mio giudizio riguardo questi temi soffermandomi invece sul resto del loro pensiero. Ancor meno posso pretendere che Giovanni XXIII avesse le stesse posizioni in tema di morale sessuale che ho io ma questo nulla toglie al Papa che ha dato avvio al Concilio Vaticano II. Non è una faccenda di “carisma”, non so proprio che farmene del carisma, si dice che il precedente pontefice ne fosse un campione ma non penso certamente a lui quando penso a una Chiesa che vuole essere voce davvero ecumenica, al di là dei raduni oceanici di giovani inneggianti ai sacri valori della Chiesa e che il giorno dopo lasciano distese di preservativi a imperitura testimonianza del rigore del loro pensiero.
“Infine ma siamo veramente sicuri che sia insopprimibile il senso del trascendente nell’uomo?” Io direi che diversi millenni di storia umana, e non parlo solo degli ultimi due, mi dicono che è così. Tra l’altro ultimamente il tentativo di sopprimere quel bisogno è stato piuttosto fallimentare, lei che ne dice Simone? Qui non c’entrano le mie personali posizioni, non ho alcuna intenzione di fare del mio ateismo una religione, già ne vedo troppe in giro e questa sarebbe la più stupida. Parlando con una mia amica di questi argomenti mi ha consigliato un libro, Del buon uso della religione. Una guida per i non credenti di Alain De Botton, consiglio che rigiro volentieri.
In quanto al trascendente intendiamoci, c’è una trascendenza pre-umana, ovvero un trascendente che precede l’umano, e una trascendenza post-umana, che origina dall’umano. Per quanto io guardi con molto sospetto la prima, di cui ahimè non colgo traccia, ho una enorme considerazione della seconda nella quale ci metto l’arte, la poesia, la stessa religione, il bisogno di conoscere il passato e l’ansia di conoscere il futuro, insomma tutto quello che fa dell’uomo colui che desidera il desiderio, come diceva Hegel. Per cui se qualcuno mi chiedesse se credo in Dio, io risponderei come quel Rubinstein citato in Il pendolo di Foucault di U. Eco “Oh no, io credo... in qualcosa di molto più grande...”, come già ebbi modo di dire qui.
Andrea Petrocchi, molto spesso parlare di morte delle ideologie rivela una sofferenza delle idee davvero sconcertante. Sono d’accordo con te, la cosiddetta morte delle ideologie dell’89 è stato uno spartiacque non ancora del tutto elaborato a sinistra, e si tratta dell'elaborazione di un lutto. La sinistra europea si è fatta cucire addosso un vestito di Medea del quale non si è ancora liberata ed è sulla scia di questa operazione assurda che agisce uno psicopatico ormai rancido che blatera ancora di comunisti all'assalto dei beni privati di cui l'Italia sarebbe a questo punto l'ultimo covo! Nel tentativo di togliersi quel vestito la sinistra ha fatto di tutto per abdicare da sé stessa e quell'abdicazione continua ancora. Io la vedo all'opera anche in questi giorni, almeno in Italia, con quel provvedimento assurdo che è il pareggio di bilancio in Costituzione di cui si discute in questi giorni alla Camera dei Deputati. Per sommo paradosso della storia la peggiore crisi economica che si ricordi, provocata dalle dissennate politiche neoliberiste, si tenta di risolverla spuntando gli strumenti delle politiche keynesiane! Ho il sospetto che questo provvedimento costituirà un'ulteriore mannaia per il pensiero di sinistra, e data la sagacia di molti attuali esponenti ci vorranno vent'anni prima che si rendano conto di quello che stanno facendo, anche se qualcuno ha già lanciato qualche segnale di allarme. Ad ogni modo le mie competenze in questo campo non mi consentono di andare oltre il sospetto e l'intervento di qualche esperto in economia sarebbe gradito.
Che l’IdV sia un partito anche lontanamente da considerare a sinistra è la più grossa bufala della cosiddetta seconda repubblica. L’IdV e i partiti di sinistra o centro-sinistra si sono trovati insieme per la necessità di fare fronte comune alla degenerazione del berlusconismo. Fossero altri tempi direi che l’alleanza è il risultato di una lotta comune, come fu tra PCI e DC immediatamente dopo la liberazione d’Italia dal fascismo, siccome i nostri tempi sono quelli che sono direi che si tratta di una amicizia come quelle che nascono in galera, per necessità. Non che in quei contesti non sorgano sodalizi molto forti ma è difficile capire quanto siano caratterizzati dalla gratuità dell’amicizia o dalla necessità dettata dalla contingenza. L’esperienza del Pd continuerà nella misura in cui non si applichi anche alla nascita di quel partito la stessa spiegazione!
Tornare all’ideologia la vedo dura, e forse neanche troppo auspicabile, visto il materiale a disposizione io mi accontenterei di lavorare su alcune idee ben chiare!
Chiariamo subito un paio di punti. In un sistema democratico i valori non negoziabili sono quelli sanciti nei principi fondamentali delle Costituzioni, risultato a loro volta di una negoziazione storica circa la non negoziabilità degli stessi o le modalità di negoziazione. Il resto discende da quei principi. Qui la negoziazione assume valore più ampio del banale mercanteggiare e include il faticoso e continuo processo di riconoscimento della comune esperienza umana. Per usare le parole di Zagrebelsky “La democrazia è relativistica, non assolutistica. Essa, come istituzione d’insieme e come potere che da essa promana, non ha fedi o valori assoluti da difendere, a eccezione di quelli sui quali essa stessa si basa: nei confronti dei principi democratici, la pratica democratica non può essere relativistica.”, Imparare democrazia, Einaudi, 2007.
Per quanto riguarda il relativismo etico, io lo rivendico come la più grande conquista della coscienza politica e sociale, innanzitutto perché quello che intendo io non ha nulla a che fare con le caricature domenicali delle omelie da balcone e con il “faccio quello che mi pare”, è qualcosa di molto più complesso e impegnativo, e poi perché il contraltare al relativismo è l’assolutismo che porta inevitabilmente alle degenerazioni di uno stato etico. Se ci sono valori non negoziabili, chi sarà l’interprete di tali valori? Quale autorità si assumerà l’incarico di dettarli e renderli obbligatori per tutti? Rispondere a queste domande prescindendo da quella forma di governo discutidora che è la democrazia porta inevitabilmente all’assolutismo etico. Se il freno alla degenerazione del relativismo etico è esattamente quella negoziazione che si vuole negare io non vedo freno all'assolutismo etico che non sia il rovesciamento violento di chi si arroga la prerogativa di ergersi a guida.
Quindi, per farla breve, invece di essere una soluzione la proposta che arriva dai quattro intellettuali per affrontare l’emergenza antropologica che sta alla radice della crisi della democrazia si candida ad essere un raffinatissimo colpo di grazia alla democrazia oltre a sancire la fine della sinistra. Spero di sbagliarmi.
Simone, ha ragione - magari successivamente se mi da del tu lo scambio sarà meno formale! - quando dice che la democrazia è in crisi perche è in crisi lo Stato nazionale di stampo ottocentesco, sebbene io non l’abbia detto esplicitamente citavo il libro di Crouch in cui quella tesi è esposta. Da questo punto di vista meritano attenzione quei fattori transnazionali di natura economica che caratterizzano la globalizzazione, per intendersi, le attività commerciali e finanziarie che sfuggono al controllo politico degli Stati nazionali. Considerato questo lo Stato nazionale ottocentesco, una volta privato del valore che dava ai confini nazionali e di quanto di deleterio discendeva da questo, potrebbe essere preso a modello per costruire una politica mondiale che abbia il primato sull’economia.
Rispondo alla domanda su “chiesa , papi e teologi”. Io considero il dialogo un valore imprescindibile, purché si svolga su temi e con modalità che non neghino il dialogo stesso, quindi sì, sono convinto che i nomi che ho fatto siano interlocutori credibili per uno stato laico. Questo è cosa diversa dal pensare o, peggio, desiderare che quelle persone la pensino esattamente come me riguardo a temi scientifici o etici. So benissimo cosa Küng o Mancuso dicano dell’evoluzionismo darwiniano ma nel loro caso, poiché la loro presenza nel panorama culturale non si limita a questo, posso semplicemente sospendere il mio giudizio riguardo questi temi soffermandomi invece sul resto del loro pensiero. Ancor meno posso pretendere che Giovanni XXIII avesse le stesse posizioni in tema di morale sessuale che ho io ma questo nulla toglie al Papa che ha dato avvio al Concilio Vaticano II. Non è una faccenda di “carisma”, non so proprio che farmene del carisma, si dice che il precedente pontefice ne fosse un campione ma non penso certamente a lui quando penso a una Chiesa che vuole essere voce davvero ecumenica, al di là dei raduni oceanici di giovani inneggianti ai sacri valori della Chiesa e che il giorno dopo lasciano distese di preservativi a imperitura testimonianza del rigore del loro pensiero.
“Infine ma siamo veramente sicuri che sia insopprimibile il senso del trascendente nell’uomo?” Io direi che diversi millenni di storia umana, e non parlo solo degli ultimi due, mi dicono che è così. Tra l’altro ultimamente il tentativo di sopprimere quel bisogno è stato piuttosto fallimentare, lei che ne dice Simone? Qui non c’entrano le mie personali posizioni, non ho alcuna intenzione di fare del mio ateismo una religione, già ne vedo troppe in giro e questa sarebbe la più stupida. Parlando con una mia amica di questi argomenti mi ha consigliato un libro, Del buon uso della religione. Una guida per i non credenti di Alain De Botton, consiglio che rigiro volentieri.
In quanto al trascendente intendiamoci, c’è una trascendenza pre-umana, ovvero un trascendente che precede l’umano, e una trascendenza post-umana, che origina dall’umano. Per quanto io guardi con molto sospetto la prima, di cui ahimè non colgo traccia, ho una enorme considerazione della seconda nella quale ci metto l’arte, la poesia, la stessa religione, il bisogno di conoscere il passato e l’ansia di conoscere il futuro, insomma tutto quello che fa dell’uomo colui che desidera il desiderio, come diceva Hegel. Per cui se qualcuno mi chiedesse se credo in Dio, io risponderei come quel Rubinstein citato in Il pendolo di Foucault di U. Eco “Oh no, io credo... in qualcosa di molto più grande...”, come già ebbi modo di dire qui.
Andrea Petrocchi, molto spesso parlare di morte delle ideologie rivela una sofferenza delle idee davvero sconcertante. Sono d’accordo con te, la cosiddetta morte delle ideologie dell’89 è stato uno spartiacque non ancora del tutto elaborato a sinistra, e si tratta dell'elaborazione di un lutto. La sinistra europea si è fatta cucire addosso un vestito di Medea del quale non si è ancora liberata ed è sulla scia di questa operazione assurda che agisce uno psicopatico ormai rancido che blatera ancora di comunisti all'assalto dei beni privati di cui l'Italia sarebbe a questo punto l'ultimo covo! Nel tentativo di togliersi quel vestito la sinistra ha fatto di tutto per abdicare da sé stessa e quell'abdicazione continua ancora. Io la vedo all'opera anche in questi giorni, almeno in Italia, con quel provvedimento assurdo che è il pareggio di bilancio in Costituzione di cui si discute in questi giorni alla Camera dei Deputati. Per sommo paradosso della storia la peggiore crisi economica che si ricordi, provocata dalle dissennate politiche neoliberiste, si tenta di risolverla spuntando gli strumenti delle politiche keynesiane! Ho il sospetto che questo provvedimento costituirà un'ulteriore mannaia per il pensiero di sinistra, e data la sagacia di molti attuali esponenti ci vorranno vent'anni prima che si rendano conto di quello che stanno facendo, anche se qualcuno ha già lanciato qualche segnale di allarme. Ad ogni modo le mie competenze in questo campo non mi consentono di andare oltre il sospetto e l'intervento di qualche esperto in economia sarebbe gradito.
Che l’IdV sia un partito anche lontanamente da considerare a sinistra è la più grossa bufala della cosiddetta seconda repubblica. L’IdV e i partiti di sinistra o centro-sinistra si sono trovati insieme per la necessità di fare fronte comune alla degenerazione del berlusconismo. Fossero altri tempi direi che l’alleanza è il risultato di una lotta comune, come fu tra PCI e DC immediatamente dopo la liberazione d’Italia dal fascismo, siccome i nostri tempi sono quelli che sono direi che si tratta di una amicizia come quelle che nascono in galera, per necessità. Non che in quei contesti non sorgano sodalizi molto forti ma è difficile capire quanto siano caratterizzati dalla gratuità dell’amicizia o dalla necessità dettata dalla contingenza. L’esperienza del Pd continuerà nella misura in cui non si applichi anche alla nascita di quel partito la stessa spiegazione!
Tornare all’ideologia la vedo dura, e forse neanche troppo auspicabile, visto il materiale a disposizione io mi accontenterei di lavorare su alcune idee ben chiare!
martedì 29 novembre 2011
Il sarto di Ulm
Lucio Magri, foto da la Repubblica. |
Il sarto di Ulm
(Ulm 1592)
"Vescovo, so volare",
il sarto disse al vescovo.
"Guarda come si fa!"
E salì, con arnesi
che parevano ali,
sopra la grande, grande cattedrale.
Il vescovo andò innanzi."Il sarto è morto", disse
"Non sono che bugie,
non è un uccello, l'uomo:
mai l'uomo volerà",
disse del sarto il vescovo.
al vescovo la gente.
"Era proprio pazzia.
Le ali si son rotte
e lui sta là, schiantato
sui duri, duri selci del sagrato".
"Che le campane suoninoBertold Brecht, Il sarto di Ulm (Ulm 1592), da Poesie di Svendborg, 1939.
Erano solo bugie.
Non è un uccello, l'uomo:
mai l'uomo volerà",
disse alla gente il vescovo.
sabato 26 novembre 2011
Brevi note a margine
Poco più di un mese fa è stato pubblicato un appello dal titolo "Nuova alleanza per l'emergenza antropologica", a firma di quattro intellettuali di area marxista - Pietro Barcellona, Paolo Sorbi, Mario Tronti e Giuseppe Vacca, sul quotidiano Avvenire, su l'Unità e il Foglio.
L'appello è un accorato tentativo, rivolto ai partiti di centro-sinistra, e soprattutto al Partito democratico, per affrontare "una inedita emergenza antropologica" che "appare la manifestazione più grave e, al tempo stesso la radice più profonda della crisi della democrazia".
L'appello è denso di spunti di riflessione, non si poteva aspettare di meno considerando gli autori, tuttavia se la diagnosi della crisi delle democrazie appare per certi versi condivisibile più problematica è la terapia proposta, ovvero una convergenza verso il magistero di Benedetto XVI riguardo al rifiuto del "relativismo etico" e la centralità dei "valori non negoziabili". Non sono il solo a nutrire delle perplessità al riguardo, una voce dissonante si leva anche dal pensiero femminista con un articolo di Elettra Deiana che è difficile per me non condividere pienamente.
La prima cosa che ho pensato dopo aver letto l'articolo è che se quattro intellettuali di radici marxiste di quel calibro arrivano a esortare il Pd, e il suo segretario Pierluigi Bersani, a fare i conti con "l’insegnamento di Benedetto XVI sulla insopprimibile dignità della vita umana e sul primato della persona, «cercando di andare oltre tutti gli steccati»", allora significa che la cultura di sinistra è proprio alla frutta.
Non vorrei banalizzare la faccenda, il discorso è complicato e meriterebbe lunghe riflessioni. La Chiesa è una grande istituzione che riflette (sia pure malissimo) un bisogno insopprimibile di trascendentalità, ma se un invito al dialogo andava rivolto da intellettuali della sinistra avrei preferito sentir parlare della Chiesa di Giovanni XXIII anziché di quella di Benedetto XVI. E se l'invito fosse stato rivolto a quella Chiesa allora sarebbe stato anche più auspicabile un invito alla attiva collaborazione, non solo al dialogo.
Non voglio lasciarmi andare a facili slogan ma se la crisi delle democrazie è riconducibile alla caduta della fiducia nelle istanze politiche e la motivazione dell'appello è prettamente "educativo-culturale" per tentare di ricucire lo strappo della sfiducia, allora il rischio è quello di fare un’alleanza tra sfiduciati.
Guardiamoci in giro, la sfiducia nasce dalla percezione di una distanza tra il demos e le istituzioni, la Chiesa di Benedetto XVI è vista, in questi termini, come "potere" distante dalla gente esattamente come è vista la politica (e i partiti), l'ultimo libro di Stefano Livadiotti, I senza Dio. L’inchiesta sul Vaticano, è una conferma di questo. Siamo sicuri che la strada da seguire per uscire dalla crisi delle democrazie sia un'alleanza con quella Chiesa?
C’è un’altra Chiesa da ascoltare, quella dei don Gallo, dei don Paolo Farinella, degli Enzo Bianchi, quella dei teologi come Vito Mancuso o Hans Kung, quella dei filosofi come la Monticelli, ascoltiamo quelle voci se vogliamo costruire qualcosa che ricomponga la fiducia perduta. Invece, probabilmente ancora in nome di una realpolitik trita e ritrita, nonché fallimentare, si rivolge l'appello a chi nella Chiesa attualmente ne controlla le sorti in termini istituzionali, oppure, il che sarebbe peggio perché sintomo di nostalgia, quello che rimane di un pensiero forte come quello marxista si rivolge a chi oggi si fa vessillo di un altro pensiero forte delineando una "nuova laicità" e una "ragione rettamente guidata"!
Ho timore che oggi la sinistra si trovi di nuovo in un guado simile a quello di 20 anni fa dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo dell’Unione Sovietica, allora le sinistre meno socialdemocratiche in Europa si trovarono di fronte ad una crisi di identità (quelle più socialdemocratiche la propria identità già la ricordavano poco) che tentarono di ricomporre malamente imitando un pensiero liberale che gestivano con enorme difficoltà, persero di vista la loro stella polare che era quella dell’uguaglianza per spostarsi verso l’altro polo stabilito dalla madre delle rivoluzioni europee, quella francese. Quell’altro polo era la libertà, oggi si tenta lo spostamento verso il polo della fratellanza? E sia, va bene, ma che sia una fratellanza che non dimentica il polo da cui la sinistra è nata e i principi di autonomia figli dell’illuminismo kantiano con i quali la Chiesa di Benedetto XVI fa a cazzotti.
La crisi delle democrazie è un tema di enorme complessità che certamente non può essere trattato in maniera soddisfacente in un post e neanche in un articolo, sia pure scritto da illustri intellettuali. Forse un utile spunto per riflettere adeguatamente sul tema potrebbe venire dal saggio che qualche tempo fa scrisse Colin Crouch, Postdemocrazia, edito da Laterza nel 2003. Crouch fornisce una lucida lettura delle dinamiche di svuotamento della democrazia le cui cause sono da cercare all'interno dello stesso sistema democratico quando entra in contatto con il sistema economico. Inoltre, l'autore formula diverse proposte per recuperare il senso della democrazia, in termini di partecipazione attiva al governo della polis, proposte che potrebbero essere utilmente vagliate anche dalla sinistra italiana "per riuscire a elaborare una cultura di governo all'altezza delle gigantesche sfide del nostro tempo."
In questo post, scritto qualche tempo fa, sono stato meno laconico riguardo a molti argomenti toccati in questo post.
L'appello è un accorato tentativo, rivolto ai partiti di centro-sinistra, e soprattutto al Partito democratico, per affrontare "una inedita emergenza antropologica" che "appare la manifestazione più grave e, al tempo stesso la radice più profonda della crisi della democrazia".
L'appello è denso di spunti di riflessione, non si poteva aspettare di meno considerando gli autori, tuttavia se la diagnosi della crisi delle democrazie appare per certi versi condivisibile più problematica è la terapia proposta, ovvero una convergenza verso il magistero di Benedetto XVI riguardo al rifiuto del "relativismo etico" e la centralità dei "valori non negoziabili". Non sono il solo a nutrire delle perplessità al riguardo, una voce dissonante si leva anche dal pensiero femminista con un articolo di Elettra Deiana che è difficile per me non condividere pienamente.
La prima cosa che ho pensato dopo aver letto l'articolo è che se quattro intellettuali di radici marxiste di quel calibro arrivano a esortare il Pd, e il suo segretario Pierluigi Bersani, a fare i conti con "l’insegnamento di Benedetto XVI sulla insopprimibile dignità della vita umana e sul primato della persona, «cercando di andare oltre tutti gli steccati»", allora significa che la cultura di sinistra è proprio alla frutta.
Non vorrei banalizzare la faccenda, il discorso è complicato e meriterebbe lunghe riflessioni. La Chiesa è una grande istituzione che riflette (sia pure malissimo) un bisogno insopprimibile di trascendentalità, ma se un invito al dialogo andava rivolto da intellettuali della sinistra avrei preferito sentir parlare della Chiesa di Giovanni XXIII anziché di quella di Benedetto XVI. E se l'invito fosse stato rivolto a quella Chiesa allora sarebbe stato anche più auspicabile un invito alla attiva collaborazione, non solo al dialogo.
Non voglio lasciarmi andare a facili slogan ma se la crisi delle democrazie è riconducibile alla caduta della fiducia nelle istanze politiche e la motivazione dell'appello è prettamente "educativo-culturale" per tentare di ricucire lo strappo della sfiducia, allora il rischio è quello di fare un’alleanza tra sfiduciati.
Guardiamoci in giro, la sfiducia nasce dalla percezione di una distanza tra il demos e le istituzioni, la Chiesa di Benedetto XVI è vista, in questi termini, come "potere" distante dalla gente esattamente come è vista la politica (e i partiti), l'ultimo libro di Stefano Livadiotti, I senza Dio. L’inchiesta sul Vaticano, è una conferma di questo. Siamo sicuri che la strada da seguire per uscire dalla crisi delle democrazie sia un'alleanza con quella Chiesa?
C’è un’altra Chiesa da ascoltare, quella dei don Gallo, dei don Paolo Farinella, degli Enzo Bianchi, quella dei teologi come Vito Mancuso o Hans Kung, quella dei filosofi come la Monticelli, ascoltiamo quelle voci se vogliamo costruire qualcosa che ricomponga la fiducia perduta. Invece, probabilmente ancora in nome di una realpolitik trita e ritrita, nonché fallimentare, si rivolge l'appello a chi nella Chiesa attualmente ne controlla le sorti in termini istituzionali, oppure, il che sarebbe peggio perché sintomo di nostalgia, quello che rimane di un pensiero forte come quello marxista si rivolge a chi oggi si fa vessillo di un altro pensiero forte delineando una "nuova laicità" e una "ragione rettamente guidata"!
Ho timore che oggi la sinistra si trovi di nuovo in un guado simile a quello di 20 anni fa dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo dell’Unione Sovietica, allora le sinistre meno socialdemocratiche in Europa si trovarono di fronte ad una crisi di identità (quelle più socialdemocratiche la propria identità già la ricordavano poco) che tentarono di ricomporre malamente imitando un pensiero liberale che gestivano con enorme difficoltà, persero di vista la loro stella polare che era quella dell’uguaglianza per spostarsi verso l’altro polo stabilito dalla madre delle rivoluzioni europee, quella francese. Quell’altro polo era la libertà, oggi si tenta lo spostamento verso il polo della fratellanza? E sia, va bene, ma che sia una fratellanza che non dimentica il polo da cui la sinistra è nata e i principi di autonomia figli dell’illuminismo kantiano con i quali la Chiesa di Benedetto XVI fa a cazzotti.
La crisi delle democrazie è un tema di enorme complessità che certamente non può essere trattato in maniera soddisfacente in un post e neanche in un articolo, sia pure scritto da illustri intellettuali. Forse un utile spunto per riflettere adeguatamente sul tema potrebbe venire dal saggio che qualche tempo fa scrisse Colin Crouch, Postdemocrazia, edito da Laterza nel 2003. Crouch fornisce una lucida lettura delle dinamiche di svuotamento della democrazia le cui cause sono da cercare all'interno dello stesso sistema democratico quando entra in contatto con il sistema economico. Inoltre, l'autore formula diverse proposte per recuperare il senso della democrazia, in termini di partecipazione attiva al governo della polis, proposte che potrebbero essere utilmente vagliate anche dalla sinistra italiana "per riuscire a elaborare una cultura di governo all'altezza delle gigantesche sfide del nostro tempo."
In questo post, scritto qualche tempo fa, sono stato meno laconico riguardo a molti argomenti toccati in questo post.
La storia di oggi
"La morte proietta l'ombra delle sue scure ali sul porto dell'Avana; il Maine è colato a picco, la nazione ha pianto, e il Journal è in lutto per tutti quei poveri ragazzi morti su quella nave maledetta. [...]
Il pubblico era inorridito, perchè non abituato a queste forme particolari dell'orrore. Ci sono altre forme altrettanto atroci: quelle in cui, per ognuna delle vite perdute sul Maine, ci sono decine di vite sacrificate, ma lì l'orrore ha smesso di inorridire, perché il pubblico si è abituato ai dettagli spaventosi e ormai li considera con sufficienza e indifferenza.
Lo spettacolo dell'immensa carneficina che si consuma giorno dopo giorno, mese e anno nel regno dell'industria, le migliaia di vite annualmente sacrificate al Moloch della rapacità, il tributo di sangue al lavoro del capitalismo, non provocano però grida di vendetta e risarcimento né lacrime, a parte quelle della famiglia e degli amici delle vittime.
Ferrovieri e scambisti muoiono tutti i giorni solo perché i vagoni non sono equipaggiati adeguatamente con dispositivi in grado di ridurre al minimo i pericoli. E sono stati accordati al capitalismo due anni supplementari per proseguire nel massacro. Macchinisti e ingegneri, pompieri e conducenti, lavoratori di tutte le altre branche del servizio ferroviario sacrificano una parte della loro vita e della loro carne per la stessa insaziabile Gorgona. [...]
Il Journal si unisce alla tristezza generale per la perdita del Maine e si rammarica del fatto che molte vite, che in condizioni naturali avrebbero potuto essere impiegate utilmente, siano andate perdute su quella nave. E, mentre esprime rincrescimento, esprime anche la speranza che non sia troppo lontano il giorno in cui verrà generalmente considerato altrettanto eroico perdere la vita in fabbrica che a bordo di una nave da guerra. Che perdere la vita schiacciato come un topo in una miniera sia considerato grave come annegare come un topo nella stiva di una corazzata. Che perdere un arto per causa di una granata sia ritenuto ugualmente degno di considerazione nella nazione che perderlo su un treno mentre si lavora. Che morire dilaniato da un siluro non provochi più dolore nella famiglia del malcapitato che morire dilaniato dall'esplosione di una caldaia. Che uno sia l'eroe di un'apoteosi, mentre l'altro se ne va all'altro mondo senza onore né gloria." Monthly Journal of the International Association of Machinists, Vol X, Chicago, April, 1898.
Questo articolo ha più di un secolo e fu pubblicato in occasione dell'affondamento della nave da guerra Maine ancorata nel porto dell'Avana. L'affondamento fu dovuto ad un incendio iniziato per autocombustione nella carbonaia, fatto piuttosto frequente sulle corazzate dell'epoca, un evento accidentale quindi ma che servì da pretesto agli USA per scatenare la guerra ispano-americana facendo passare quell'incidente come un attacco spagnolo. Il giornale dei macchinisti, espressione dei sindacati dei lavoratori contrari all'espansionismo americano, convenne che l'esplosione del Maine era stata un terribile disastro, ma notò che le morti sul lavoro degli operai incontravano l'indifferenza nazionale. (L'articolo del Journal è citato in H. Zinn, M. Konopacki, P. Buhle, Storia popolare dell'impero americano - a fumetti. Ed. il Manifesto, 2011.)
Ma questo post non intende soffermarsi sugli aspetti storici quanto sulle tremende analogie dell'articolo del Monthly Journal con quello che accade ancora oggi riguardo ai cosiddetti "incidenti sul lavoro", nonostante i goffi tentativi di camuffare i dati, come avevo scritto qualche tempo fa in questo post.
E' di oggi la notizia che nelle ultime 24 ore ci sono stati altri tre morti sul lavoro.
Un minuto di silenzio per la memoria e cinque per dimenticare!
Il pubblico era inorridito, perchè non abituato a queste forme particolari dell'orrore. Ci sono altre forme altrettanto atroci: quelle in cui, per ognuna delle vite perdute sul Maine, ci sono decine di vite sacrificate, ma lì l'orrore ha smesso di inorridire, perché il pubblico si è abituato ai dettagli spaventosi e ormai li considera con sufficienza e indifferenza.
Lo spettacolo dell'immensa carneficina che si consuma giorno dopo giorno, mese e anno nel regno dell'industria, le migliaia di vite annualmente sacrificate al Moloch della rapacità, il tributo di sangue al lavoro del capitalismo, non provocano però grida di vendetta e risarcimento né lacrime, a parte quelle della famiglia e degli amici delle vittime.
Ferrovieri e scambisti muoiono tutti i giorni solo perché i vagoni non sono equipaggiati adeguatamente con dispositivi in grado di ridurre al minimo i pericoli. E sono stati accordati al capitalismo due anni supplementari per proseguire nel massacro. Macchinisti e ingegneri, pompieri e conducenti, lavoratori di tutte le altre branche del servizio ferroviario sacrificano una parte della loro vita e della loro carne per la stessa insaziabile Gorgona. [...]
Il Journal si unisce alla tristezza generale per la perdita del Maine e si rammarica del fatto che molte vite, che in condizioni naturali avrebbero potuto essere impiegate utilmente, siano andate perdute su quella nave. E, mentre esprime rincrescimento, esprime anche la speranza che non sia troppo lontano il giorno in cui verrà generalmente considerato altrettanto eroico perdere la vita in fabbrica che a bordo di una nave da guerra. Che perdere la vita schiacciato come un topo in una miniera sia considerato grave come annegare come un topo nella stiva di una corazzata. Che perdere un arto per causa di una granata sia ritenuto ugualmente degno di considerazione nella nazione che perderlo su un treno mentre si lavora. Che morire dilaniato da un siluro non provochi più dolore nella famiglia del malcapitato che morire dilaniato dall'esplosione di una caldaia. Che uno sia l'eroe di un'apoteosi, mentre l'altro se ne va all'altro mondo senza onore né gloria." Monthly Journal of the International Association of Machinists, Vol X, Chicago, April, 1898.
Questo articolo ha più di un secolo e fu pubblicato in occasione dell'affondamento della nave da guerra Maine ancorata nel porto dell'Avana. L'affondamento fu dovuto ad un incendio iniziato per autocombustione nella carbonaia, fatto piuttosto frequente sulle corazzate dell'epoca, un evento accidentale quindi ma che servì da pretesto agli USA per scatenare la guerra ispano-americana facendo passare quell'incidente come un attacco spagnolo. Il giornale dei macchinisti, espressione dei sindacati dei lavoratori contrari all'espansionismo americano, convenne che l'esplosione del Maine era stata un terribile disastro, ma notò che le morti sul lavoro degli operai incontravano l'indifferenza nazionale. (L'articolo del Journal è citato in H. Zinn, M. Konopacki, P. Buhle, Storia popolare dell'impero americano - a fumetti. Ed. il Manifesto, 2011.)
Ma questo post non intende soffermarsi sugli aspetti storici quanto sulle tremende analogie dell'articolo del Monthly Journal con quello che accade ancora oggi riguardo ai cosiddetti "incidenti sul lavoro", nonostante i goffi tentativi di camuffare i dati, come avevo scritto qualche tempo fa in questo post.
E' di oggi la notizia che nelle ultime 24 ore ci sono stati altri tre morti sul lavoro.
Un minuto di silenzio per la memoria e cinque per dimenticare!
giovedì 24 novembre 2011
Il lusso di Umberto D.
Carlo Battisti, il protagonista di Umberto D., e il cane Flaik |
Umberto D. è uno dei personaggi topici della stagione cinematografica neorealista italiana. Un film straordinario del 1952 dove si incontrarono il genio di Vittorio De Sica e quello di Cesare Zavattini.
A chi ha visto il film verrà subito in mente quell'uomo senza una casa e in preda alla disperazione che gira per le vie della città con il suo cane Flaik. Verrà in mente soprattutto la dignità di quell'uomo.
A chi non ha visto il film consiglio vivamente di vederlo.
Se solo avessimo capito che il cane Flaik era in realtà un bene di lusso non avremmo certamente compreso il motivo di tanta disperazione in Umberto D. e anzi avremmo avuto in massimo spregio un uomo che simula povertà quando invece può permettersi un cane e la dignità di Umberto D. sarebbe stata ancor più odiosa perché finta.
E sì, perché l’Agenzia delle Entrate ha deciso che possedere un animale domestico e magari farlo curare da un veterinario, qualora ne avesse bisogno, è un indicatore di ricchezza. Infatti le spese veterinarie figurano tra le categorie del nuovo redditometro sperimentale per scovare i possibili evasori. In altre parole le spese veterinarie sarebbero voci di spesa per beni di lusso, grosso modo come le spese per rifare il parquet di uno yacht o per rifare la vela maestra della barca!
La notizia, riportata in questo articolo, non è freschissima ma di tanto in tanto mi diverto a sfogliare giornali vecchi di qualche giorno, anche grazie alle segnalazioni di amici particolarmente sensibili alle cause animaliste.
Mi chiedo se è necessario essere completamente idioti per partorire idee simili o è sufficiente essere tecnici esperti in materia fiscale?
martedì 22 novembre 2011
Lega e PdL siete la vergogna d'Italia
Leggi questo articolo, da la Repubblica.it |
Leggete questa scheda e poi fatevi un'idea di che tipo di gente possa opporsi ad una legge che garantisca la cittadinanza a chi nasce e vive stabilmente in Italia.
***
Comizio
Qui è più puro, nel suo quieto
terrore - se le sere ormai fonde
tremano agli ultimi brusii, poetici
di mera vita - l’incontro delle gronde
urbane con il buio del cielo.
E muri impalliditi, infeconde
aiuole, magri cornicioni, nel mistero
che li imbeve dal cosmo, familiare
e gaio fondono il loro. Ma stasera
un improvviso rovescio sulle ignare
fantasie del passante frana, e gela
il suo trasporto per le calde, care
pareti sconsacrate...
Non più, come un androne, di passi sonori
perché rari, di voci trasparenti
perché quiete, tra splendori
d’umile pietra, la piazza negli spenti
angoli trasale: né solitarie
frusciano le macchine dei potenti,
sfiorando il fianco del giovane paria
che inebria coi suoi fischi la città...
Una smorta folla empie l’aria
d'irreali rumori. Un palco sta
su essa, coperto di bandiere
del cui bianco il bruno lume fa
un sudario, il verde acceca, annera
il rosso come di vecchio sangue. Arista
o tetro vegetale guizza cerea
nel mezzo la fiammella fascista.
Il dolore, inatteso, mi respinge
indietro, quasi a non voler vedere.
E invece con le lacrime che stingono
intorno al mondo così vivo, a sera,
nella piazza, mi sospingo come
disincarnato in mezzo a questa fiera
di ombre. E guardo, ascolto. Roma
intorno è muta: è il silenzio, insieme,
della città e del cielo. Non risuona
voce su queste grida; il caldo seme
che il maggio germoglia pur nel fresco
notturno, un greve e antico gelo preme
sui muri preziosi, fatti mesti
come nei sensi di un fanciullo
angosciato... E più qui crescono
gli urli (e in cuore l’odio), più brullo
si fa intorno il deserto
dove il consueto, pigro sussurro
s’è stasera perduto.
Ecco chi sono, gli esemplari vivi,
vivi, di una parte di noi che, morta,
ci aveva illuso d’esser nuovi - privi
d’essa per sempre. E invece, scorta
d’improvviso, in questa lieve piazza
orientale, ecco la sua falange, folta,
urlante - coi segni della razza
che nel popolo è oscura allegria
e in essa triste oscurità - che impazza
cantando la salute. E l’energia
sua non è che debolezza, offesa
sessuale, che non ha altra via
per essere passione, nella mente accesa,
che azioni troppo lecite od illecite:
e qui urla soltanto la borghese
impotenza a trascendere la specie,
la confusione della fede che
l’esalta, e disperatamente cresce
nell’uomo che non sa che luce ha in sé.
Resto in piedi tra questa folla quasi
il gelo, che da Trinità dei Monti,
dai duri vegetali del Pincio, rasi
contro le stelle e i chiusi orizzonti
spegne la città - mi spegnesse il petto,
rendendo puro stupore i monchi
sentimenti, pietà, amarezza. Getto
intorno sguardi che non mi sembran miei,
tanto sono diverso. Non è l’aspetto
di gente viva con me, questo, nei
suoi visi c’è un tempo morto che torna
inaspettato, odioso, quasi i bei
giorni della vittoria, i freschi giorni
del popolo, fossero essi, morti.
Per chi è andato avanti, ecco, intorno,
il passato, i fantasmi, i risorti
istinti. Questi visi giovanili
precocemente vecchi, questi storti
sguardi di gente onesta, queste vili
espressioni di coraggio. La memoria
era dunque così smorta e sottile
da non ricordarli? Tra i clamori
cammino muto, o forse sono muti
essi, nella tempesta che ho nel cuore.
E nel senso di perdita del proprio
corpo, che dà un’angoscia improvvisa,
in silenzio al fianco mi si scopre
un compagno. Con me, intento e indeciso,
si muove tra la ressa, con me guarda
nei visi questa gente, con me il misero
corpo trascina tra petti che coccarde
colmano di vile orgoglio. Poi su me
posa lo sguardo. Tristemente gli arde
col pudore che ben conosco; ed è
così mio quello sguardo fraterno!
così profondamente familiare, nel
pensiero che dà a questi atti senso eterno!
E in questo triste sguardo d’intesa,
per la prima volta, dall’inverno
in cui la sua ventura fu appresa
e mai creduta, mio fratello mi sorride,
mi è vicino. Ha dolorosa e accesa,
nel sorriso, la luce con cui vide,
oscuro partigiano, non ventenne
ancora, come era da decidere
con vera dignità, con furia indenne
d’odio, la nuova nostra storia: e un’ombra,
in quei poveri occhi, umiliante e solenne...
Egli chiede pietà, con quel suo modesto,
tremendo sguardo, non per il suo destino,
ma per il nostro... ed è lui, il troppo onesto,
il troppo puro, che deve andare a capo chino?
Mendicare un po' di luce per questo
mondo rinato in un oscuro mattino?
P.P. Pasolini, Comizio, 1954. Da Le ceneri di Gramsci, 1957.
Nota di Pasolini:
Mio fratello Guido, dopo un anno di eroica lotta partigiana nelle file della "Osoppo", è caduto sui monti della Venezia Giulia nel febbraio 1945.
sabato 19 novembre 2011
Frammenti
"Vedere un Mondo in un granello di sabbia,
E un Cielo in un fiore selvatico,
Tenere l’Infinito nel cavo della mano
E l’Eternità in un’ora."
Incipit da Gli auguri dell'innocenza, William Blake (1757–1827).
Un tempo l’anima era un atto circoscritto, era il respiro, la volontà, la potenza che diviene atto. Poi l’anima venne venduta in cambio dell'immortalità, ciò che doveva estendersi nello spazio e nel tempo della vita ne ha valicato i confini perdendosi nell’abisso che terrorizza l’uomo. Ci voleva un uomo dalle spalle larghe per quello scambio. Apparve un modo come un altro perchè delle misere creature si sentissero al pari del dio che agognavano ma quelle creature non avevano spalle larghe e da quel momento dimenticarono la loro più profonda natura. La tragedia di una dignitosa finitezza fu rinnegata per una volgare messa in scena pensata per essere migliori e forse per esseri migliori.
Molti parlano ancora dell’anima ma non sanno di cosa si tratti, altri non ricordano più l’antico scambio e se ne vergognano.
E un Cielo in un fiore selvatico,
Tenere l’Infinito nel cavo della mano
E l’Eternità in un’ora."
Incipit da Gli auguri dell'innocenza, William Blake (1757–1827).
Dante e Virgilio entrano nella foresta. Illustrazione di William Blake della Divina Commedia |
Un tempo l’anima era un atto circoscritto, era il respiro, la volontà, la potenza che diviene atto. Poi l’anima venne venduta in cambio dell'immortalità, ciò che doveva estendersi nello spazio e nel tempo della vita ne ha valicato i confini perdendosi nell’abisso che terrorizza l’uomo. Ci voleva un uomo dalle spalle larghe per quello scambio. Apparve un modo come un altro perchè delle misere creature si sentissero al pari del dio che agognavano ma quelle creature non avevano spalle larghe e da quel momento dimenticarono la loro più profonda natura. La tragedia di una dignitosa finitezza fu rinnegata per una volgare messa in scena pensata per essere migliori e forse per esseri migliori.
Molti parlano ancora dell’anima ma non sanno di cosa si tratti, altri non ricordano più l’antico scambio e se ne vergognano.
mercoledì 16 novembre 2011
Du is megl' che uan?
Lapidario.
Al ministero dei Beni culturali, accorpato con il ministero dell'Ambiente, avrei preferito Salvatore Settis.
Ci sarebbe stato un ministero di meno e sicuramente sarebbe stato rovesciato il noto slogan di una pubblicità di qualche tempo fa!
Al ministero dei Beni culturali, accorpato con il ministero dell'Ambiente, avrei preferito Salvatore Settis.
Ci sarebbe stato un ministero di meno e sicuramente sarebbe stato rovesciato il noto slogan di una pubblicità di qualche tempo fa!
lunedì 14 novembre 2011
Generoso Burlesque
In questi giorni mi torna in mente una barzelletta che raccontava Moni Ovadia nel suo spettacolo Oylem Goylem (Il mondo è scemo in yiddish), cito a memoria quindi perdonerete le imprecisioni.
sabato 12 novembre 2011
mercoledì 9 novembre 2011
Hallelujah
G.F. Händel, Hallelujah, dal Messiah.
Andre Rieu dirige l'Harlem Gospel Choir
con la Johann Strauss Orchestra, New York City 2004.
So bene che c'è poco da festeggiare, ma qui tocca risollevarsi in qualche modo e allora salutiamo la buona notizia di ieri con un Alleluia (sperando che poi non ci ritroviamo al Governo personaggi untuosi come il suo sodale Letta).
Piccola proposta da condividere e diffondere se siete d'accordo. Perché non andiamo sotto palazzo Grazioli a mostrare il nostro giubilo quando il migliore statista che l'Italia abbia avuto negli ultimi 15729 anni si dimette?
martedì 8 novembre 2011
Dies irae
G. Verdi, Dies irae, dalla Messa da Requiem
Claudio Abbado, dirige la Berlin Philarmonic,2002.
venerdì 4 novembre 2011
Piaghe e calamità
Questa mattina, mentre andavo al lavoro con il mio scooter, ho visto fermi lungo la strada uno scooter riverso per terra e un'auto che lo aveva appena investito. L'incidente doveva essere avvenuto da poco e la situazione non sembrava grave, spero. Non ho visto una particolare concitazione, le persone stavano sbrigando le formalità del caso. Sono cose che capitano nelle città particolarmente congestionate dal traffico.
Eh sì il traffico è un problema davvero enorme per le città. Emblematico di quali danni il traffico possa fare è quell'indimenticabile frammento di Johnny Stecchino quando il grande Paolo Bonacelli spiegava all'attonito Benigni le piaghe della Sicilia!
Paolo Bonacelli ha dato un'interpretazione magistrale di quello che è il meccanismo di rimozione del nesso causale dando un effetto comico davvero straordinario. Se pensate che questo possa avvenire solo nei film vi sbagliate. Fuori dalla finzione filmica si ride molto meno, anzi non si ride affatto ma vi assicuro che succede e anche molto spesso, sotto gli occhi di tutti. Succede tutte le volte che una pioggia provoca morti e frane e un esercito di coglioni dicono che la causa è la pioggia intensa, succede tutte le volte che una frana invade un paese e esperti del cazzo si sperticano a trovare il punto di cedimento delle montagne. In questo paese di mercanti del cemento incentivati, di abusivismi condonati, di campi agricoli abbandonati, di alberi sradicati, di dissesti idrogeologici ignorati ogni tanto piove e ogni tanto si muore.
Ecco la piaga di questo assurdo paese, la pioggia, esattamente come il traffico per Palermo.
Eh sì il traffico è un problema davvero enorme per le città. Emblematico di quali danni il traffico possa fare è quell'indimenticabile frammento di Johnny Stecchino quando il grande Paolo Bonacelli spiegava all'attonito Benigni le piaghe della Sicilia!
Paolo Bonacelli ha dato un'interpretazione magistrale di quello che è il meccanismo di rimozione del nesso causale dando un effetto comico davvero straordinario. Se pensate che questo possa avvenire solo nei film vi sbagliate. Fuori dalla finzione filmica si ride molto meno, anzi non si ride affatto ma vi assicuro che succede e anche molto spesso, sotto gli occhi di tutti. Succede tutte le volte che una pioggia provoca morti e frane e un esercito di coglioni dicono che la causa è la pioggia intensa, succede tutte le volte che una frana invade un paese e esperti del cazzo si sperticano a trovare il punto di cedimento delle montagne. In questo paese di mercanti del cemento incentivati, di abusivismi condonati, di campi agricoli abbandonati, di alberi sradicati, di dissesti idrogeologici ignorati ogni tanto piove e ogni tanto si muore.
Ecco la piaga di questo assurdo paese, la pioggia, esattamente come il traffico per Palermo.
giovedì 27 ottobre 2011
Pensiero in pensione!
In questi giorni si fa un gran parlare di innalzamento dell'età pensionabile. E' naturale quindi chiedersi quanto si pensa di risparmiare da questa manovra. Di stime ce ne sono tante ma io volevo qualcosa di inattaccabile allora ho trovato una fonte che certo non può essere sospettata di antigovernatività, addirittura il famigerato TG1. Elsa Fornero, professoressa di economia all'Università di Torino ed esperta di previdenza sostiene che "L'introduzione dell'aumento dell'età pensionabile senza differenze tra uomini e donne e l'innalzamento a 67 anni delle pensioni di vecchiaia potrebbe portare in 4-5 anni a un risparmio tra i 30 e i 40 miliardi."
Questo significa un risparmio annuo da 6 a 10 miliardi di euro.
In un altro giornale della famiglia del signor b., Antonio Mastrapasqua, presidente dell'Inps, sostiene che "Elevando solo di un anno la soglia minima per accedere alla pensione di vecchiaia e a quella di anzianità, ad esempio, si potrebbero risparmiare almeno 6 o 7 miliardi di euro già nel 2012."
Insomma l'ordine di grandezza è quello.
Poi si sa, l'appetito vien mangiando, la curiosità cresce e mi sono chiesto anche di che entità è la spesa previdenziale in Italia per pensioni di vecchiaia e anzianità e, ancora più importante, come è distribuita la spesa pensionistica e cose di questo tipo. Del resto già altre volte in questo blog sono stato preso dalla frenesia di fare i conti della serva.
E allora sono andato a cercarmi qualcosa nel sito di ISTAT dove sono disponibili i dati delle pensioni del 2008 e ho trovato delle cose interessanti.
In questa tabella sono considerate le pensioni di vecchiaia e sono ripartite per classe di importo mensile lordo. Come potete vedere la spesa complessiva per queste pensioni nel 2008 è stata di quasi 191 miliardi di € con un importo medio annuo lordo di 16.733 €, ma quello che è più interessante è la distribuzione degli importi.
Ripeto, considerate che tutte le cifre sono al lordo delle trattenute fiscali.
Giocando con questi numeri si vede che le pensioni sotto i 1.250 € mensili rappresentano poco più della metà di tutte le pensioni di vecchiaia, il 52,2% per la precisione, e che a tutte queste pensioni va il 28% dell'importo totale, mentre all'altra metà delle pensioni (47,8%) va il 72% della spesa pensionistica.
Ora, fatti salvi i casi di fannullismo che si accontentano di bassi compensi e che il ministro della funzione pubblica ha ormai brillantemente risolto, pare evidente uno squilibrio che risulta addirittura eclatante se si considerano le fasce estreme.
Guardate le pensioni sotto i 500€ mensili nella tabella (le prime due righe), rappresentano il 13,8% delle pensioni di vecchiaia e a queste pensioni corrisponde il 3,7% della spesa, mentre alle pensioni maggiori di 3.000 € mensili (l'ultima riga), che rappresentano il 5,1% di tutte le pensioni di vecchiaia, corrisponde il 16% della spesa totale.
Il grafico che ho fatto qui mostra la faccenda in maniera impietosa. Da notare come le barre verdi siano più alte di quelle arancione per le cifre sotto i 1.500 € e come la situazione si rovesci completamente dopo. Non so voi ma io trovo molto inquietante quel rovesciamento.
Lo trovo inquietante perché mi parla di uno squilibrio sociale anche nella spesa previdenziale che non riesco a spiegare in termini di merito. Del resto non sto scoprendo niente di nuovo, che la forbice tra ricchi e poveri si sia allargata è cosa nota e la Banca d'Italia sostiene "che alla fine del 2008 la metà più povera delle famiglie italiane deteneva il 10 per cento della ricchezza totale, mentre il 10 per cento più ricco deteneva quasi il 45 per cento della ricchezza complessiva.", La ricchezza delle famiglie italiane, 2009 (pp. 8-9)
Io non so dire se l'innalzamento dell'età pensionabile sia inevitabile per fare cassa, orientativamente penso che la variabile decisiva non sia per quanto tempo si può vivere ma per quanto tempo si può lavorare, ma non ho intenzione di affrontare questo aspetto, è tardi e ho fame. Dicevo, non so se è necessario alzare l'età pensionabile ma mi chiedo se questo innalzamento non si sarebbe potuto evitare qualora qualcuno avesse operato molto tempo fa una riforma per fare in modo che le barre verdi e arancione nel grafico in alto avessero altezze più simili tra loro.
Quasi me ne dimenticavo, all'inizio dicevo del risparmio di almeno 6 o 7 miliardi di euro all'anno dalla manovra, allora ho pensato che nei momenti difficili chi ha di più dovrebbe dare di più e guardando le fasce più alte ho immaginato dei prelievi a mio avviso ragionevoli. Cadrebbero sul 13% dei beneficiari di pensioni e permetterebbero un prelievo di 6 miliardi di € in un anno lasciando la media mensile nella stessa fascia di partenza.
Chiaramente questo è solo un esercizio che non può funzionare in un paese dove il contributo di solidarietà del 5% sulle eccedenze dei 90.000 € annui è stato salutato come una mannaia sulla "classe media". Lì io mi sono fatto due domande, la prima "ma quanto cazzo guadagna la classe media in Italia?", la seconda "Io in quale fondo classe sto?". Non ho trovato uno straccio di dato per tentare di dare una risposta a queste domande.
Questo significa un risparmio annuo da 6 a 10 miliardi di euro.
In un altro giornale della famiglia del signor b., Antonio Mastrapasqua, presidente dell'Inps, sostiene che "Elevando solo di un anno la soglia minima per accedere alla pensione di vecchiaia e a quella di anzianità, ad esempio, si potrebbero risparmiare almeno 6 o 7 miliardi di euro già nel 2012."
Insomma l'ordine di grandezza è quello.
Poi si sa, l'appetito vien mangiando, la curiosità cresce e mi sono chiesto anche di che entità è la spesa previdenziale in Italia per pensioni di vecchiaia e anzianità e, ancora più importante, come è distribuita la spesa pensionistica e cose di questo tipo. Del resto già altre volte in questo blog sono stato preso dalla frenesia di fare i conti della serva.
E allora sono andato a cercarmi qualcosa nel sito di ISTAT dove sono disponibili i dati delle pensioni del 2008 e ho trovato delle cose interessanti.
In questa tabella sono considerate le pensioni di vecchiaia e sono ripartite per classe di importo mensile lordo. Come potete vedere la spesa complessiva per queste pensioni nel 2008 è stata di quasi 191 miliardi di € con un importo medio annuo lordo di 16.733 €, ma quello che è più interessante è la distribuzione degli importi.
Ripeto, considerate che tutte le cifre sono al lordo delle trattenute fiscali.
Clicca sulla tabella per ingrandire. |
Giocando con questi numeri si vede che le pensioni sotto i 1.250 € mensili rappresentano poco più della metà di tutte le pensioni di vecchiaia, il 52,2% per la precisione, e che a tutte queste pensioni va il 28% dell'importo totale, mentre all'altra metà delle pensioni (47,8%) va il 72% della spesa pensionistica.
Ora, fatti salvi i casi di fannullismo che si accontentano di bassi compensi e che il ministro della funzione pubblica ha ormai brillantemente risolto, pare evidente uno squilibrio che risulta addirittura eclatante se si considerano le fasce estreme.
Guardate le pensioni sotto i 500€ mensili nella tabella (le prime due righe), rappresentano il 13,8% delle pensioni di vecchiaia e a queste pensioni corrisponde il 3,7% della spesa, mentre alle pensioni maggiori di 3.000 € mensili (l'ultima riga), che rappresentano il 5,1% di tutte le pensioni di vecchiaia, corrisponde il 16% della spesa totale.
Il grafico che ho fatto qui mostra la faccenda in maniera impietosa. Da notare come le barre verdi siano più alte di quelle arancione per le cifre sotto i 1.500 € e come la situazione si rovesci completamente dopo. Non so voi ma io trovo molto inquietante quel rovesciamento.
Clicca sul grafico per ingrandire. |
Lo trovo inquietante perché mi parla di uno squilibrio sociale anche nella spesa previdenziale che non riesco a spiegare in termini di merito. Del resto non sto scoprendo niente di nuovo, che la forbice tra ricchi e poveri si sia allargata è cosa nota e la Banca d'Italia sostiene "che alla fine del 2008 la metà più povera delle famiglie italiane deteneva il 10 per cento della ricchezza totale, mentre il 10 per cento più ricco deteneva quasi il 45 per cento della ricchezza complessiva.", La ricchezza delle famiglie italiane, 2009 (pp. 8-9)
Io non so dire se l'innalzamento dell'età pensionabile sia inevitabile per fare cassa, orientativamente penso che la variabile decisiva non sia per quanto tempo si può vivere ma per quanto tempo si può lavorare, ma non ho intenzione di affrontare questo aspetto, è tardi e ho fame. Dicevo, non so se è necessario alzare l'età pensionabile ma mi chiedo se questo innalzamento non si sarebbe potuto evitare qualora qualcuno avesse operato molto tempo fa una riforma per fare in modo che le barre verdi e arancione nel grafico in alto avessero altezze più simili tra loro.
Quasi me ne dimenticavo, all'inizio dicevo del risparmio di almeno 6 o 7 miliardi di euro all'anno dalla manovra, allora ho pensato che nei momenti difficili chi ha di più dovrebbe dare di più e guardando le fasce più alte ho immaginato dei prelievi a mio avviso ragionevoli. Cadrebbero sul 13% dei beneficiari di pensioni e permetterebbero un prelievo di 6 miliardi di € in un anno lasciando la media mensile nella stessa fascia di partenza.
Chiaramente questo è solo un esercizio che non può funzionare in un paese dove il contributo di solidarietà del 5% sulle eccedenze dei 90.000 € annui è stato salutato come una mannaia sulla "classe media". Lì io mi sono fatto due domande, la prima "ma quanto cazzo guadagna la classe media in Italia?", la seconda "Io in quale fondo classe sto?". Non ho trovato uno straccio di dato per tentare di dare una risposta a queste domande.
venerdì 21 ottobre 2011
Domande oziose
William Turner, Il ramo d'oro, 1834. Londra, Tate. |
All'inizio di Il Ramo d'oro Frazer narra di quanto accadeva nei tempi antichi nel bosco sacro sulle sponde del lago di Nemi, dove si ergeva il santuario di Diana Nemorensis. "In questo bosco sacro cresceva un albero intorno a cui, in ogni momento del giorno, e probabilmente anche a notte inoltrata, si poteva vedere aggirarsi una truce figura. Nella destra teneva una spada sguainata e si guardava continuamente d'attorno come se temesse a ogni istante di essere assalito da qualche nemico. Quest'uomo era un sacerdote e un omicida; e quegli da cui si guardava doveva prima o poi trucidarlo e ottenere il sacerdozio in sua vece. Era questa la regola del santuario. Un candidato al sacerdozio poteva prenderne l'ufficio uccidendo il sacerdote, e avendolo ucciso, restava in carica finché non fosse stato ucciso a sua volta da uno più forte o più astuto di lui.
L’ufficio tenuto in condizioni così precarie gli dava il titolo di re; ma certo nessuna testa regale riposò tra maggiori inquietudini, né fu mai turbata da più diabolici sogni. Anno per anno, d'estate o d'inverno, col tempo buono o con la bufera egli doveva proseguire la sua solitaria vigilia, e se cedeva a un tormentato sonno lo faceva a rischio della sua vita. Una diminuita vigilanza, la più piccola diminuzione nella forza delle sue membra o della destrezza della sua guardia, lo metteva nel più grave pericolo; l'imbiancarsi dei suoi capelli poteva segnare la sua condanna a morte." James George Frazer, Il ramo d'oro. Studio sulla magia e la religione, 1922.
***
Ieri è stato ucciso Gheddafi e oggi qualche giornalista si chiede se la fine di un regime debba coincidere necessariamente con la morte del dittatore. Trovo la domanda terribilmente oziosa, figlia forse di una retorica tipicamente occidentale che tenta di salvare la faccia in extremis. Non amo assistere a scene cruente ma ancora meno sopporto gli esami di coscienza tardivi.
La morte di un dittatore dopo la caduta del suo regime non è un fatto emotivo, come le folle inferocite e poi esultanti potrebbero far pensare, bensì un fatto di una razionalità quasi hegeliana. Non dico si tratti di un fatto ragionevole ma razionale, nel lucido delirio di Hegel la ragionevolezza lasciava il posto alla razionalità!
Se un uomo lega indissolubilmente la sua persona ad un regime, si identifica con quel regime, allora ne consegue che la fine del suo regime deve coincidere con la sua fine, non può non coincidere con la sua fine.
Da qui a provare allegria per la morte francamente per me il passo è troppo grande, non per buonismo o per pacifismo ma perché mi risulta difficile pensare che la morte possa accompagnarsi all'allegria.
E' noto che la democrazia è l'unico regime in cui chi governa non viene sostituito in modo cruento, per questo conviene soprattutto a chi vuole governare farlo in modo democratico.
Questo per quanto riguarda la notizia della morte di Gheddafi, riguardo invece la morte di altre persone nei giorni scorsi permettetemi di rimandarvi al post di Nicola Pezzoli (alias Zio Scriba), a mio avviso scritto in maniera sublime per far capire quale peso viene dato ai fatti che accadono.
martedì 18 ottobre 2011
Per uno scoiattolo volante
Jamie |
Signore, il suo sentiero
quando a te la sua anima
e al mondo la sua pelle
dovrà riconsegnare
quando verrà al tuo cielo
là dove in pieno giorno
risplendono le stelle.
Quando attraverserà
l'ultimo vecchio ponte
ai suicidi dirà
baciandoli alla fronte
venite in Paradiso
là dove vado anch'io
perché non c'è l'inferno
nel mondo del buon Dio.
Fate che giunga a Voi
con le sue ossa stanche
seguito da migliaia
di quelle facce bianche
fate che a voi ritorni
fra i morti per oltraggio
che al cielo ed alla terra
mostrarono il coraggio.
Signori benpensanti
spero non vi dispiaccia
se in cielo, in mezzo ai Santi
Dio, fra le sue braccia
soffocherà il singhiozzo
di quelle labbra smorte
che all'odio e all'ignoranza
preferirono la morte.
Dio di misericordia
il tuo bel Paradiso
lo hai fatto soprattutto
per chi non ha sorriso
per quelli che han vissuto
con la coscienza pura
l'inferno esiste solo
per chi ne ha paura.
Meglio di lui nessuno
mai ti potrà indicare
gli errori di noi tutti
che puoi e vuoi salvare.
Ascolta la sua voce
che ormai canta nel vento
Dio di misericordia
vedrai, sarai contento.
Dio di misericordia
vedrai, sarai contento.
Fabrizio De André, Preghiera in gennaio, 1967.
"Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio", diceva Camus.
Sarà per via di vecchie memorie ma quel problema filosofico mi ha sempre devastato. Non ho mai imparato nulla di quel problema ma una cosa la so, di una cosa soltanto sono sicuro. Quando una persona si suicida, sia perché tormentata da un futuro incerto a 27 anni sia perché vittima dell'omofobia a 15 sia per qualunque altro motivo a qualunque età, chi resta deve reggere un pezzo di cielo più grande sulle proprie spalle, ha un peso maggiore da sopportare. Questo soltanto so.
bye flying squirrel
Il corso della giustizia
sabato 15 ottobre 2011
Gli indignati e gli indegni
Io alla manifestazione di oggi a Roma c'ero, ero in testa al corteo, e ho visto facce festose, sicuramente indignate per mille motivi, sicuramente arrabbiate, desiderose di cambiare il mondo, desiderose di un sistema sociale più giusto. Sognatori sicuramente ma ben svegli. Il corteo è sfilato per via Cavour, è passato davanti al Colosseo, ha percorso via Labicana fino all'incrocio con via Emanuele Filiberto per arrivare infine a Piazza San Giovanni, erano le 15:50 c'era un fiume di gente, ho visto famiglie sfilare al gran completo, pensionati e bambini, mamme con in braccio i propri figli, ho visto sfilare le bandiere del movimento dei referendari, quelle di Legambiente, dell'Arci e di una associazione di contadini, ho visto tanti slogan stampati sugli striscioni, dal "No TAV" ad "Acqua libera", al meno atteso di tutti: "La poesia è anti-capitalista". Ognuno aveva qualcosa da dire, qualcosa contro cui protestare ma niente, dico niente, faceva anche solo minimamente venire il sospetto che a poche centinaia di metri c'erano già azioni violente. Era una manifestazione pacifica, è stata una manifestazione pacifica fino a quando dei delinquenti a viso coperto hanno fatto scoppiare l'inferno. La manifestazione cui ho partecipato io era quella degli indignati ma quella di cui si parlerà nei media è la manifestazione degli indegni.
La manifestazione cui ho partecipato io, indignato tra gli indignati, era composta da precari, da disoccupati, pensionati, giovani che non sanno come sarà il proprio futuro e padri che sanno che il futuro dei propri figli sarà peggiore del loro, da gente che non sa come arrivare a fine mese perché una politica indegna di questo nome e una finanza avida che ignorano hanno ridotto al lastrico il pianeta, la manifestazione cui hanno partecipato gli indegni era fatta da ultrà che hanno scelto le strade di Roma anziché gli stadi per sfogare le loro frustrazioni. La manifestazione cui ho partecipato io era composta da gente che in qualche modo sente la profonda ingiustizia di un mondo in cui il 10% dei più ricchi possiede l'85% delle ricchezze economiche del pianeta, la manifestazione degli indegni era composta da ragazzotti inconsapevoli del lavoro che sta dietro la manifattura delle proprie scarpe, abituati ad avere i soldi da mammà e papà perché altrimenti non potrebbero pagare il cellulare.
La manifestazione cui ho partecipato io è quella di chi, a diverso titolo, con mille voci differenti, anche discordi, sente che continuare con l'attuale sistema economico porterà il pianeta al collasso ecologico, quella degli indegni era la manifestazione di chi neanche sa cosa sia il collasso ecologico.
La manifestazione degli indignati era una bella manifestazione, fatta di tante voci, ognuna con il suo messaggio, voci che le forze politiche illuminate farebbero bene ad ascoltare anziché temere, perché, diciamoci la verità, la democrazia fa paura. Invece i media e i cosiddetti politici parleranno della manifestazione degli indegni, purtroppo sarà così.
Appena tornato a casa ho letto la dichiarazione dell'onorevole (mi si perdoni l'eccesso di educazione) Cicchitto che diceva "A Roma guerriglia programmata e progettata."
Che strano onorevole Cicchitto, una volta tanto ho l'imbarazzante sensazione di essere in perfetta sintonia con la sua affermazione e la cosa, sinceramente, mi fa tremare!
La manifestazione cui ho partecipato io, indignato tra gli indignati, era composta da precari, da disoccupati, pensionati, giovani che non sanno come sarà il proprio futuro e padri che sanno che il futuro dei propri figli sarà peggiore del loro, da gente che non sa come arrivare a fine mese perché una politica indegna di questo nome e una finanza avida che ignorano hanno ridotto al lastrico il pianeta, la manifestazione cui hanno partecipato gli indegni era fatta da ultrà che hanno scelto le strade di Roma anziché gli stadi per sfogare le loro frustrazioni. La manifestazione cui ho partecipato io era composta da gente che in qualche modo sente la profonda ingiustizia di un mondo in cui il 10% dei più ricchi possiede l'85% delle ricchezze economiche del pianeta, la manifestazione degli indegni era composta da ragazzotti inconsapevoli del lavoro che sta dietro la manifattura delle proprie scarpe, abituati ad avere i soldi da mammà e papà perché altrimenti non potrebbero pagare il cellulare.
La manifestazione cui ho partecipato io è quella di chi, a diverso titolo, con mille voci differenti, anche discordi, sente che continuare con l'attuale sistema economico porterà il pianeta al collasso ecologico, quella degli indegni era la manifestazione di chi neanche sa cosa sia il collasso ecologico.
La manifestazione degli indignati era una bella manifestazione, fatta di tante voci, ognuna con il suo messaggio, voci che le forze politiche illuminate farebbero bene ad ascoltare anziché temere, perché, diciamoci la verità, la democrazia fa paura. Invece i media e i cosiddetti politici parleranno della manifestazione degli indegni, purtroppo sarà così.
Appena tornato a casa ho letto la dichiarazione dell'onorevole (mi si perdoni l'eccesso di educazione) Cicchitto che diceva "A Roma guerriglia programmata e progettata."
Che strano onorevole Cicchitto, una volta tanto ho l'imbarazzante sensazione di essere in perfetta sintonia con la sua affermazione e la cosa, sinceramente, mi fa tremare!
giovedì 13 ottobre 2011
mercoledì 12 ottobre 2011
La roadmap
Domani Berlusconi presenterà alla Camera dei Deputati la sua roadmap per arrivare a fine legislatura. In via del tutto eccezionale questo blog è in grado di dare una anticipazione del discorso che sarà pronunciato dallo statista.
A - Arcore MB
1. Procedi in direzione sudovest da Via Alfonso Casati/SP58 verso Via Umberto I
Continua a seguire la SP58 - 1,6 km
2. Prendi lo svincolo per Via Monte Rosa/SP45/SP7 - 59 m
3. Mantieni la destra al bivio ed entra in Via Monte Rosa/SP45/SP7
Continua a seguire la SP45
Attraversa 1a rotonda - 1,8 km
4. Alla rotonda prendi la 1a uscita e imbocca SP60 in direzione Monza/Milano - 2,4 km
5. Alla rotonda prendi la 2a uscita e imbocca Viale Giovan Battista Stucchi - 1,2 km
6. Alla rotonda prendi la 3a uscita e imbocca Viale Sicilia/SP13
Continua a seguire la SP13 - 2,5 km
7. Mantieni la sinistra al bivio - 300 m
8. Svolta a sinistra e imbocca Via Giacomo Matteotti
Attraversa 2 rotonde - 1,8 km
9. Alla rotonda prendi la 4a uscita e imbocca lo svincolo A4 per Venezia
Strada a pedaggio parziale - 400 m
10. Entra in A4
Strada a pedaggio - 218 km
11. Prendi l'uscita per A13 verso Bologna/Padova Zona Industriale
Strada a pedaggio - 4,2 km
12. Prendi l'uscita verso Corso Stati Uniti/SP40
Strada a pedaggio parziale - 600 m
13. Mantieni la destra al bivio, segui le indicazioni per Venezia/Vigonovo/Saonara/SP40/Piove di Sacco/Chioggia ed entra in Corso Stati Uniti/SP40
Continua a seguire la SP40
Attraversa 2 rotonde - 13,4 km
14. Continua su Via Valerio/SS516
Continua a seguire la SS516 - 7,3 km
15. Mantieni la destra al bivio ed entra in Via Romea/SS309
Continua a seguire la SS309
Attraversa 1 rotonda - 39,4 km
16. Esci a sinistra e imbocca Via Veneto/SP38 - 5,6 km
17. Svolta leggermente a sinistra per rimanere su Via Veneto/SP38
Continua a seguire la SP38 - 4,3 km
18. Svolta a destra e imbocca Via Po di Gnocca/SP38bis/SP83
Continua a seguire la Via Po di Gnocca/SP38bis - 6,6 km
B - Gnocca - Porto Tolle RO
A - Arcore MB
1. Procedi in direzione sudovest da Via Alfonso Casati/SP58 verso Via Umberto I
Continua a seguire la SP58 - 1,6 km
2. Prendi lo svincolo per Via Monte Rosa/SP45/SP7 - 59 m
3. Mantieni la destra al bivio ed entra in Via Monte Rosa/SP45/SP7
Continua a seguire la SP45
Attraversa 1a rotonda - 1,8 km
4. Alla rotonda prendi la 1a uscita e imbocca SP60 in direzione Monza/Milano - 2,4 km
5. Alla rotonda prendi la 2a uscita e imbocca Viale Giovan Battista Stucchi - 1,2 km
6. Alla rotonda prendi la 3a uscita e imbocca Viale Sicilia/SP13
Continua a seguire la SP13 - 2,5 km
7. Mantieni la sinistra al bivio - 300 m
8. Svolta a sinistra e imbocca Via Giacomo Matteotti
Attraversa 2 rotonde - 1,8 km
9. Alla rotonda prendi la 4a uscita e imbocca lo svincolo A4 per Venezia
Strada a pedaggio parziale - 400 m
10. Entra in A4
Strada a pedaggio - 218 km
11. Prendi l'uscita per A13 verso Bologna/Padova Zona Industriale
Strada a pedaggio - 4,2 km
12. Prendi l'uscita verso Corso Stati Uniti/SP40
Strada a pedaggio parziale - 600 m
13. Mantieni la destra al bivio, segui le indicazioni per Venezia/Vigonovo/Saonara/SP40/Piove di Sacco/Chioggia ed entra in Corso Stati Uniti/SP40
Continua a seguire la SP40
Attraversa 2 rotonde - 13,4 km
14. Continua su Via Valerio/SS516
Continua a seguire la SS516 - 7,3 km
15. Mantieni la destra al bivio ed entra in Via Romea/SS309
Continua a seguire la SS309
Attraversa 1 rotonda - 39,4 km
16. Esci a sinistra e imbocca Via Veneto/SP38 - 5,6 km
17. Svolta leggermente a sinistra per rimanere su Via Veneto/SP38
Continua a seguire la SP38 - 4,3 km
18. Svolta a destra e imbocca Via Po di Gnocca/SP38bis/SP83
Continua a seguire la Via Po di Gnocca/SP38bis - 6,6 km
B - Gnocca - Porto Tolle RO
domenica 9 ottobre 2011
Istantanee di fine millennio
Nel 1984 Vincenzo Mollica chiese a Fabrizio De André se si considerasse poeta o cantautore, lui rispose: "Benedetto Croce diceva che tutti fino a diciott'anni scrivono poesie, dopo i diciott'anni restano a scriverle solo due categorie di persone: i poeti e i cretini, quindi io precauzionalmente mi definisco un cantautore."
Avevo meno di diciott'anni e facevo quello che tutti fanno fino a diciott'anni! Confesso che quando ascoltai quell'intervista entrai in crisi per un po' di tempo ma poi, per evitare imbarazzanti classificazioni, trovai una brillante soluzione al problema: non avrei mai chiamato poesie i miei scarabocchi, bensì promemorie, istantanee. Ho sempre avuto una buona propensione al problem solving, come si dice adesso! E poi non avrei corso rischi, quella roba non l'avrebbe letta nessuno. E così è stato per anni. Ho sempre usato con molta parsimonia il termine poesia, direi con pudore. Ho sempre pensato che si tratti dell'unica cosa che ti mette veramente a nudo!
Non che adesso sia più spudorato ma insomma con l'avanzare degli anni ci si affeziona ad altri problemi e si dimenticano quelli di una volta, tra l'altro in questo blog mi sono già permesso in più di un'occasione di violare il mio antico riserbo. Così ho deciso di pubblicare una piccola antologia di istantanee dello scorso millennio, scattate per aiutare la memoria, ecco perché le ho sempre chiamate promemorie, o forse scattate perché non avevo di meglio da fare!
Avevo meno di diciott'anni e facevo quello che tutti fanno fino a diciott'anni! Confesso che quando ascoltai quell'intervista entrai in crisi per un po' di tempo ma poi, per evitare imbarazzanti classificazioni, trovai una brillante soluzione al problema: non avrei mai chiamato poesie i miei scarabocchi, bensì promemorie, istantanee. Ho sempre avuto una buona propensione al problem solving, come si dice adesso! E poi non avrei corso rischi, quella roba non l'avrebbe letta nessuno. E così è stato per anni. Ho sempre usato con molta parsimonia il termine poesia, direi con pudore. Ho sempre pensato che si tratti dell'unica cosa che ti mette veramente a nudo!
Non che adesso sia più spudorato ma insomma con l'avanzare degli anni ci si affeziona ad altri problemi e si dimenticano quelli di una volta, tra l'altro in questo blog mi sono già permesso in più di un'occasione di violare il mio antico riserbo. Così ho deciso di pubblicare una piccola antologia di istantanee dello scorso millennio, scattate per aiutare la memoria, ecco perché le ho sempre chiamate promemorie, o forse scattate perché non avevo di meglio da fare!
giovedì 6 ottobre 2011
Un paese normale
Il sindaco Nicola Maffei (PD) dopo la tragedia di Barletta: «Non mi sento di criminalizzare chi, in un momento di crisi come questo viola la legge assicurando, però, lavoro, a patto che non si speculi sulla vita delle persone».
L’assessore al welfare della Regione Puglia, Elena Gentile (PD), replica alle dichiarazioni rilasciate del sindaco di Barletta: «Mi auguro che le parole del sindaco della città di Barletta siano il risultato di una temporanea sconnessione dalle responsabilità politiche. Una sorta di fuga psicologica di chi, tra gli altri, dovrebbe invece preoccuparsi della corretta applicazione delle norme sulla sicurezza e sulla regolarità’ dei rapporti di lavoro.»
Brevemente, a parte il fatto che le parole di Nicola Maffei sono prive di senso perché se la legge sulla sicurezza serve a tutelare la vita delle persone davvero non si capisce come possa essere rispettato il patto che il sindaco evoca violando quella legge!
Il fatto importante è che in un paese normale ci sarebbe da ragionare su quello che il codice penale chiama "apologia di reato". Questo in un paese normale ma Luciano Gallino ci ricorda implacabilmente in quale paese viviamo.
L’assessore al welfare della Regione Puglia, Elena Gentile (PD), replica alle dichiarazioni rilasciate del sindaco di Barletta: «Mi auguro che le parole del sindaco della città di Barletta siano il risultato di una temporanea sconnessione dalle responsabilità politiche. Una sorta di fuga psicologica di chi, tra gli altri, dovrebbe invece preoccuparsi della corretta applicazione delle norme sulla sicurezza e sulla regolarità’ dei rapporti di lavoro.»
Brevemente, a parte il fatto che le parole di Nicola Maffei sono prive di senso perché se la legge sulla sicurezza serve a tutelare la vita delle persone davvero non si capisce come possa essere rispettato il patto che il sindaco evoca violando quella legge!
Il fatto importante è che in un paese normale ci sarebbe da ragionare su quello che il codice penale chiama "apologia di reato". Questo in un paese normale ma Luciano Gallino ci ricorda implacabilmente in quale paese viviamo.
sabato 1 ottobre 2011
Danza ai bordi del mondo
"The bum's as holy as the seraphim! the madman is
holy as you my soul are holy!"
Da: Allen Ginsberg, Howl (Urlo), 1955.
"Il barbone è santo come il serafino! il pazzo è
santo come tu mia anima sei santa!"
Vi presento il contributo di Fabrizio al tarantismo. Io e Fabrizio condividiamo la stessa età e lo stesso paese di origine, Melissano in provincia di Lecce, e naturalmente condividiamo anche tante piacevoli chiacchierate quando in estate lui torna da Londra e io da Roma per le vacanze. Ho scritto di lui in questo post a proposito di una performance che ha tenuto due estati fa a Taviano, un paese vicino a Melissano. Il saggio di Fabrizio, scritto in inglese, fa parte di un testo dedicato alla coreutica e al legame tra danza e follia.
Il tarantismo era considerato una malattia provocata dal morso della tarantola (Lycosa tarentula), un ragno innocuo per la verità ma che nel Salento assume la valenza simbolica del pericolo in agguato tra i campi di lavoro. Il morso del ragno avveniva soprattutto nei mesi estivi, nel periodo della mietitura del grano e della raccolta del tabacco, e spesso tornava periodicamente a far sentire i suoi effetti nella stagione estiva, in una sorta di recidiva della memoria. Prediligeva mordere le donne la taranta, così si chiama la tarantola nel mio dialetto, più raramente gli uomini. Il morso della taranta provocava uno stato di malessere generale che si manifestava con palpitazioni, movimenti frenetici e apparentemente privi di coordinamento. Lo stato di malessere poteva essere curato solo attraverso la musica, la danza e i colori che concorrevano nella terapia. Ernesto De Martino, nel 1959, chiarì come il morso della taranta aveva il carattere di "istituto" e non di malattia, il morso e il ri-morso era elemento catalizzatore per risolvere traumi, frustrazioni, conflitti familiari, e vicende personali in un contesto socio-economico depresso. La taranta si inscrive così in un orizzonte metastorico che "fa sì che quando nella storia il negativo assale l'esistenza, l'individuo non naufraga nella negatività sopraggiunta, perché sa che c'è un ordine superiore, un ordine metastorico - che la magia, la mitologia e la religione si incaricano di descrivere - in cui questa negatività viene riassorbita e risolta" (Umberto Galimberti nella introduzione a Sud e Magia di E. De Martino, Feltrinelli, 2003). Consiglio vivamente la visione di questo video del 1962 che accompagnava La terra del rimorso di De Martino.
Oggi il tarantismo che descriveva De Martino in La terra del rimorso è scomparso ma, fortunatamente, non è scomparsa l'aioresis ermeneutica intorno a questo fenomeno della mia terra. La lettura storicistica di De Martino viene oggi messa in discussione da una lettura di ordine mitologico che vede nel mito di Dioniso l'origine del tarantismo (qualche riferimento bibliografico lo trovate nel mio commento a questo post). Non è mia intenzione dilungarmi su questa diatriba, forse lo farò successivamente.
Fabrizio mette in guardia da una visione dualistica campagna/città, progresso/regresso, tracciando così una distanza dall'approccio di De Martino, ma il fermo richiamo alla durezza della vita contadina e alla dimensione simbolica della taranta che Fabrizio fa nel suo saggio rende giustizia a una tradizione continuamente violentata tra romanticismi dionisiaci (dove si confondono sentimentalismi arcadici e manifestazioni orgiastiche selvagge) e notti di musica a base di hot dog e coca-cola (una volta si diceva servule e vinu ma evidentemente i tempi cambiano!) davanti all'ex convento degli agostiniani di Melpignano. Riguardo all'atteggiamento romantico Fabrizio dice: "L'inzuccheramento sentimentale, e per certi versi reazionario, che anela a un mondo "autentico" e bucolico è quello di soggetti che non hanno avuto diretta esperienza di vita contadina, e che l'hanno romanticizzata", affermazione che condivido in pieno aggiungendo che in alcuni casi "l'inzuccheramento sentimentale" altro non è che una manifestazione di rifiuto inconscio della parte meno digeribile della vita contadina. Invece per quanto riguarda le notti di musica dico che è apprezzabile la diffusione che ultimamente ha avuto la musica della taranta, ma è molto poco apprezzabile che persino i giovani delle mie parti conoscano soltanto l'aspetto folkloristico e musicale della taranta e ne ignorino completamente i profondi significati antropologici e storici.
Basta così, chiudo dicendo un'ultima cosa. Quando il saggio era in preparazione Fabrizio mi aveva anticipato che avrebbe aperto con la Mmela paccia, il suo nome era Carmela, contratto in Mmela e l'appellativo paccia significa pazza. Mmela è una figura topica della mia infanzia, appartenente a una dimensione quasi mitologica che alcuni direbbero non esserci più. E' merito di Fabrizio aver rievocato quella figura dalla mia memoria. Mmela è morta da tanto tempo ma qualcuno, nelle calde notti salentine di fine giugno, è sicuro di sentire chiaramente sbattere i suoi piedi per terra, quando la sua folle danza continua a tracciare, con esasperante precisione, il confine degli abissi ai cui bordi tutti camminiamo senza curarci della vertigine.
holy as you my soul are holy!"
Da: Allen Ginsberg, Howl (Urlo), 1955.
"Il barbone è santo come il serafino! il pazzo è
santo come tu mia anima sei santa!"
Vi presento il contributo di Fabrizio al tarantismo. Io e Fabrizio condividiamo la stessa età e lo stesso paese di origine, Melissano in provincia di Lecce, e naturalmente condividiamo anche tante piacevoli chiacchierate quando in estate lui torna da Londra e io da Roma per le vacanze. Ho scritto di lui in questo post a proposito di una performance che ha tenuto due estati fa a Taviano, un paese vicino a Melissano. Il saggio di Fabrizio, scritto in inglese, fa parte di un testo dedicato alla coreutica e al legame tra danza e follia.
Il tarantismo era considerato una malattia provocata dal morso della tarantola (Lycosa tarentula), un ragno innocuo per la verità ma che nel Salento assume la valenza simbolica del pericolo in agguato tra i campi di lavoro. Il morso del ragno avveniva soprattutto nei mesi estivi, nel periodo della mietitura del grano e della raccolta del tabacco, e spesso tornava periodicamente a far sentire i suoi effetti nella stagione estiva, in una sorta di recidiva della memoria. Prediligeva mordere le donne la taranta, così si chiama la tarantola nel mio dialetto, più raramente gli uomini. Il morso della taranta provocava uno stato di malessere generale che si manifestava con palpitazioni, movimenti frenetici e apparentemente privi di coordinamento. Lo stato di malessere poteva essere curato solo attraverso la musica, la danza e i colori che concorrevano nella terapia. Ernesto De Martino, nel 1959, chiarì come il morso della taranta aveva il carattere di "istituto" e non di malattia, il morso e il ri-morso era elemento catalizzatore per risolvere traumi, frustrazioni, conflitti familiari, e vicende personali in un contesto socio-economico depresso. La taranta si inscrive così in un orizzonte metastorico che "fa sì che quando nella storia il negativo assale l'esistenza, l'individuo non naufraga nella negatività sopraggiunta, perché sa che c'è un ordine superiore, un ordine metastorico - che la magia, la mitologia e la religione si incaricano di descrivere - in cui questa negatività viene riassorbita e risolta" (Umberto Galimberti nella introduzione a Sud e Magia di E. De Martino, Feltrinelli, 2003). Consiglio vivamente la visione di questo video del 1962 che accompagnava La terra del rimorso di De Martino.
Oggi il tarantismo che descriveva De Martino in La terra del rimorso è scomparso ma, fortunatamente, non è scomparsa l'aioresis ermeneutica intorno a questo fenomeno della mia terra. La lettura storicistica di De Martino viene oggi messa in discussione da una lettura di ordine mitologico che vede nel mito di Dioniso l'origine del tarantismo (qualche riferimento bibliografico lo trovate nel mio commento a questo post). Non è mia intenzione dilungarmi su questa diatriba, forse lo farò successivamente.
Fabrizio mette in guardia da una visione dualistica campagna/città, progresso/regresso, tracciando così una distanza dall'approccio di De Martino, ma il fermo richiamo alla durezza della vita contadina e alla dimensione simbolica della taranta che Fabrizio fa nel suo saggio rende giustizia a una tradizione continuamente violentata tra romanticismi dionisiaci (dove si confondono sentimentalismi arcadici e manifestazioni orgiastiche selvagge) e notti di musica a base di hot dog e coca-cola (una volta si diceva servule e vinu ma evidentemente i tempi cambiano!) davanti all'ex convento degli agostiniani di Melpignano. Riguardo all'atteggiamento romantico Fabrizio dice: "L'inzuccheramento sentimentale, e per certi versi reazionario, che anela a un mondo "autentico" e bucolico è quello di soggetti che non hanno avuto diretta esperienza di vita contadina, e che l'hanno romanticizzata", affermazione che condivido in pieno aggiungendo che in alcuni casi "l'inzuccheramento sentimentale" altro non è che una manifestazione di rifiuto inconscio della parte meno digeribile della vita contadina. Invece per quanto riguarda le notti di musica dico che è apprezzabile la diffusione che ultimamente ha avuto la musica della taranta, ma è molto poco apprezzabile che persino i giovani delle mie parti conoscano soltanto l'aspetto folkloristico e musicale della taranta e ne ignorino completamente i profondi significati antropologici e storici.
Basta così, chiudo dicendo un'ultima cosa. Quando il saggio era in preparazione Fabrizio mi aveva anticipato che avrebbe aperto con la Mmela paccia, il suo nome era Carmela, contratto in Mmela e l'appellativo paccia significa pazza. Mmela è una figura topica della mia infanzia, appartenente a una dimensione quasi mitologica che alcuni direbbero non esserci più. E' merito di Fabrizio aver rievocato quella figura dalla mia memoria. Mmela è morta da tanto tempo ma qualcuno, nelle calde notti salentine di fine giugno, è sicuro di sentire chiaramente sbattere i suoi piedi per terra, quando la sua folle danza continua a tracciare, con esasperante precisione, il confine degli abissi ai cui bordi tutti camminiamo senza curarci della vertigine.