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domenica 18 luglio 2010

Memento, quasi una confessione


Salvador Dalì, La persistenza della memoria, 1931.
"Essere ingenuo a vent'anni è una colpa." Voltaire (...forse, non ricordo bene!)











La gioventù è un mito, un’età, una memoria. Chi sono i giovani? Chi non ha molto più di 20 anni. Basta questo requisito così grossolano? Chi sente un insopprimibile desiderio di cambiare il mondo. Già! Poi quel desiderio si affievolisce e si comincia a invecchiare.

Se le giovani generazioni rappresentano un punto di svolta con il passato allora la storia d’Italia, almeno quella recente, permette di intravedere alcuni cambiamenti di direzione piuttosto bruschi o delle repentine accelerazioni con cadenza ventennale. Leggere una regolarità nel cammino della storia è sempre pericoloso, è come vedere le forme degli animali nelle nuvole, non ti spieghi come mai gli altri non vedano le cose che tu vedi chiaramente e mentre mostri tutti i dettagli delle forme che vedi quelle cambiano e di quanto vedevi non c’è più traccia. A mia parziale discolpa cito la fonte dove mi è parso di vedere le forme tra le nuvole: Augusto Gughi Vegezzi, “Giù le mani dal sessantotto”, MicroMega, 5/2010 pp. 127-134. L’articolo di Gughi Vegezzi considera in estrema sintesi le modalità in cui nel nostro paese ogni ventata di rinnovamento sia stata successivamente soffocata da una ‘geriarchia’ di ‘vegliardi giovanilisti’ e assolve la contestazione del 1968 dall’accusa di aver preparato il terreno per la classe dirigente di oggi. “Il fenomeno del ricambio generazionale è antico come l’umanità e in sostanza si manifestò con i meccanismi e i riti di cooptazione patriarcali trasmessi dalla civiltà del pane alla civiltà industriale. Nel corso del Novecento in Italia si presentò tre volte in forme traumatiche, conflittuali e violente, da inquadrare nelle accelerate trasformazioni della società di massa.” (p. 128) I giovani fascisti degli anni ’20 con le tragiche conseguenze di una dittatura, i giovani partigiani della Liberazione negli anni ’40 e la nascita della Costituzione, i giovani della fine degli anni ’60 e la rivendicazione delle promesse di democrazia liberale scritte in una Costituzione che la classe politica, fin dalle elezioni del 1948, aveva neutralizzato “come un’utopia di principi non normativi e ne rimandò per decenni la realizzazione.” (p. 129) Al di là dei giudizi morali che possiamo esprimere sui diversi movimenti, ognuno dei punti di svolta è stato caratterizzato dalla mobilitazione di una minoranza della popolazione con una fortissima valenza politica. I movimenti hanno innescato accese contrapposizioni sociali e avevano visioni ambiziose - personalmente ritengo il fascismo la più bieca espressione di un provincialismo miope che vuole farsi modello planetario e sarà estremamente difficile farmi cambiare idea ma bisogna riconoscere che si trattava comunque di una visione ambiziosa. Vegezzi non vede altri punti di svolta traumatici nella storia d’Italia, neanche io ne vedo e aggiungo che forse il problema della società ingessata di oggi è proprio questo. Mentre si discute, a mio avviso ingiustamente, delle responsabilità della contestazione del 1968 passa inosservata la mancata contestazione giovanile degli anni ’80 in Italia e negli altri paesi occidentali.

I giovani degli anni ‘80 vissero nel periodo del disinnesco delle forze sociali e dell’abbandono del discorso politico[1], rimase solo una sparuta minoranza a non voler abbandonare quel discorso, una minoranza ormai troppo sparuta per avere una qualunque incidenza. Il disinnesco cominciò nel decennio precedente con la degenerazione della lotta politica nella lotta armata[2]. L’abbandono del discorso politico degli anni ’80 lasciò spazio a una visione individualista ed edonista che lentamente pervase l’intera società. Fu la volta del neoliberismo, figlio illegittimo e matricida della dottrina liberale. Furono gli anni del rampantismo yuppie e delle città da bere.
L’accusa di aver promosso una visione individualista viene spesso rivolta alla contestazione del 1968 ma secondo me quell’individuo era molto diverso da quello che si affacciò negli anni ’80 anche se è innegabile che ciò che viene dopo è, in qualche modo, figlio di ciò che viene prima[3]. Non so dire quanto la rivolta del 1968 si richiamasse esplicitamente alla Costituzione ma sta di fatto che il principale obiettivo di quel movimento era la piena realizzazione dei principi costituzionali. L’individuo del 1968 cercava la propria realizzazione facendo leva proprio sulle dinamiche sociali e la dimensione collettiva era elemento irrinunciabile dello stare al mondo. L’individuo degli anni ’80 perse la dimensione sociale di quello del 1968 e ne trattenne solo la volontà di autorealizzazione, le richieste di libertà si separarono da quelle di uguaglianza. Si fece strada la perversa convinzione dell’autosufficienza e della realizzazione senza considerare le barriere sociali e politiche che impediscono o frenano la crescita civile degli individui. In quegli anni si stavano disinnescando i dispositivi della partecipazione politica e di quello che rimaneva della politica. Cominciò il lento smantellamento dello stato sociale e del diritto al lavoro che fino ad allora avevano caratterizzato la storia della vecchia Europa.

Non furono anni privi di avvenimenti eccezionali nel mondo. Gorbaciov stava cambiando l’Unione Sovietica con la perestrojka e la glasnost, lui e Regan cominciarono a smantellare i missili che per decenni avevano terrorizzato il mondo con la minaccia nucleare. Venne l'autunno delle Nazioni e al termine di quel decennio cadde il muro simbolo della guerra fredda e della divisione del mondo, il comunismo in Europa fu cancellato e cadde l’ultima parvenza di dialettica nella storia del mondo lasciando senza alcuna possibilità di confronto il modello capitalista che cominciò a ubriacarsi di autoreferenzialità. Piazza Tien'anmen fu una sberla in faccia al mondo ed è stata la grande rivolta dei giovani di quegli anni. Dalle nostre parti si cercò di salvarsi fuori tempo massimo e in maniera del tutto inadeguata. Ci fu il movimento della pantera! Come dice Guccini “bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà”. Ci furono le immancabili manifestazioni, i pugni chiusi, le sciarpe e le bandiere rosse, le occupazioni delle Università, i cortei e gli striscioni ma nulla che avesse il respiro dei punti di svolta degli anni precedenti, nulla che avesse la dimensione sociale e politica di quei movimenti.
Per qualcuno fu “la fine della storia”, la fine delle grandi narrazioni e dei grandi movimenti. Certamente il movimento contadino era finito da un pezzo - se mai è cominciato - e il movimento operaio stava sfiorendo. Furono gli anni in cui venne concepito il movimento dei consumatori! Morì definitivamente la storia di chi produceva il mondo, senza saperlo, e quella di chi consapevolmente lo trasformava. Nacque la storia di chi il mondo lo consumava!

I “grandi discorsi” sulla verità oggettiva lasciarono il passo all'etica della contingenza e all’interpretazione. Si fece strada la caricatura del pensiero post-moderno che nulla aveva del pensiero di Lyotard e di Vattimo, ma quella caricatura fu sufficiente a in-formare tutta la società. Il pensiero debole fu confuso con la debolezza del pensiero o, peggio, fu scambiato con il pensiero assente.

Gli anni ’80 furono un decennio di grandi trasformazioni e forse proprio per questo per i giovani occidentali di allora andava tutto bene! A volte i giovani si accontentano di rivoluzioni in prestito e dall'Europa orientale alla Cina di rivoluzioni ce ne furono proprio tante.
La libertà aveva trionfato e il fallace corollario fu che bastava impegnarsi per avere una vita di successo. Cos'altro c’era da contestare nel mondo libero e sviluppato?! Date le premesse della cultura individualista e libertaria che si andava affermando ognuno poteva prendersela solo con sé stesso se non riusciva a realizzarsi. Non ci fu più nulla contro cui protestare! La protesta poteva essere rivolta solo contro sé stessi e molti divennero autentici maestri nella pratica dell’autodistruzione. In definitiva l’operazione culturale degli anni ’80 è stata la sottrazione di una delle caratteristiche principali dei giovani: un mondo da trasformare. Qualcuno si chiedeva cosa sarebbe restato di quegli anni, e diversi anni dopo la risposta è arrivata, desolante come poche. La generazione di giovani degli anni ’80 è stata una non-generazione giovane perché non aveva più un mondo da trasformare. La gioventù in quel decennio è rimasta sospesa come un colpo in canna che non è mai partito. Ne venne fuori quella schiera di Dorian Gray di cui ho parlato altrove.

Almeno per quanto riguarda l'Italia la verità è che quando i quarantenni del XXI secolo avevano vent’anni non hanno capito quale bomba gli stava scoppiando in mano. I ventenni degli anni ’80 non avevano più la necessaria preparazione alla contestazione quando, qualche anno dopo, hanno assistito inermi all’avvento della caricatura dell’uomo post-moderno. All’inizio degli anni ’90 i giovani un po’ cresciuti degli anni ’80 hanno assistito all’ondata di indignazione generale nei confronti del sistema di corruzione che dilagava tra i politici ma non avevano capito che i veri indignati erano una sparuta minoranza e che l’indignazione degli italiani non era espressione di senso civico ma rabbia per essere stati esclusi dalla spartizione della torta. Da lì a poco la maggioranza degli italiani scelse di farsi guidare dalla caricatura dell’uomo post-moderno che aveva fatto la propria fortuna sul sistema di corruzione e che adesso prometteva loro quella stessa fortuna. Quello che un tempo poteva essere semplicemente definito un farabutto adesso si presentava come l'uomo del destino. Gli italiani dimostrarono così la vera natura dell'ondata di "indignazione" che li attraversò. L’attuale lerciume della politica italiana sarà stato anche promosso e appoggiato dalla stessa vecchia borghesia che aveva partorito il fascismo e che non aveva alcuna intenzione di mollare il potere dopo tangentopoli ma è stata l'incapacità dei giovani di allora di organizzare una contestazione vera che ha permesso la degenerazione di cui oggi siamo spettatori da adulti.
Se la generazione di Gaber[4] ha perso, la mia generazione non ha capito un cazzo di quello che gli succedeva intorno! Anche questo in definitiva è segno del decadimento dei tempi.

Il mito dell'autosufficienza dell'individuo oggi si è impantanato nelle sabbie mobili di una crisi economica che in ultima analisi è figlia dello smantellamento delle istanze politiche e sociali degli anni '80. I giovani del primo decennio del XXI secolo - vent'anni dopo gli anni '80! - l'hanno dovuto capire loro malgrado. Oggi si sostiene che i giovani sono disinteressati alla politica. Non mi sembrano invece disinteressati a un discorso politico come lo erano i giovani degli anni ’80. E' chiaro che questo discorso vale per una minoranza consapevole di giovani, quelli dell'onda, quelli del popolo viola, sicuramente minoranze di giovani ma sono minoranze consistenti e poi sono sempre le minoranze consapevoli a originare i movimenti che determinano una frattura con il passato, purché raggiungano una dimensione e una organizzazione critica.
La verità è che i giovani di oggi sono disinteressati all’osceno spettacolo che la politica da pollaio continua a offrirgli. Ma cosa ci si aspetta se si viene allevati a principi altisonanti che vengono puntualmente offesi e sviliti da chi dovrebbe considerare quei principi come fari? I giovani di oggi, almeno la minoranza consapevole di cui parlo, quei principi li conoscono forse più dei giovani di ieri, il loro continuo e esplicito richiamo ai principi costituzionali è un segnale che solo un idiota può ignorare. I giovani sono stufi di promesse non mantenute, sono stufi di vedere l’abisso tra i principi e la politica fatta di mezzucci ed espedienti degni di personaggi da romanzo picaresco, sono stufi di vedere la distanza tra le parole pronunciate e i fatti. Prima di accusare i giovani di antipolitica è necessario creare le condizioni della politica, la tecnica regia con cui la collettività decide delle attività della polis nell’interesse della collettività. Se gli adulti non sono in grado di creare quelle condizioni allora devono tacere.

Ricordo una volta, verso la fine degli anni '80, uno scambio di battute con il prof. Antonio Moscato, diceva “i giovani sono fatti sempre della stessa pasta”, chissà se la pensa ancora così e soprattutto chissà se ricorda quel veloce scambio di battute che per un ventenne di allora è stato sufficiente per riconoscere un maestro.[5]


Note

[1] Naturalmente quando parlo di discorso politico, di visione politica, di dimensione politica uso la parola nel suo senso più alto, ovvero il cantiere per la realizzazione del futuro degli individui in una società. Non intendo certo l’impiego di miserabili falliti obnubilati dagli interessi privati e incapaci di guardare oltre il proprio naso.
[2] Non voglio fare dietrologie facili in un paese come l’Italia, quindi evito considerazioni sul possibile disegno politico e sulle responsabilità di un progetto pianificato a tavolino per far scivolare la contestazione sociale nella lotta armata creando così le basi per la soppressione di ogni mutamento delle pastoie democristianoidi e le premesse dell’abbandono del discorso politico da parte delle future generazioni. Non è questa la sede per considerazioni di questo tipo, sarà sufficiente ricordare il consiglio di Max Weber: «La parte più importante sta, naturalmente, nelle note».
[3] Altrove ho scritto dell'attesa dell'individuo di cui tanto si parla e spesso a sproposito.
[4] Intendo quelli come Gaber che volevano un mondo migliore e ancora lo vogliono, non semplicemente chi è nato nello stesso anno di Gaber che magari è uno talmente imbecille che pensa di aver “vinto” solo perché guadagna una barca di soldi e occupa un posto di rilievo in qualche società per azioni o sta attaccato come una cozza a un seggio parlamentare e gode come un porco a farsi chiamare onorevole, senatore o direttore generale.
[5] Nota tardiva (12/06/2016): Negli anni '80 muore Enrico Berlinguer, l' 11 giugno 1984 per la precisione. Non mi sono mai perdonato per non averlo menzionato in questo post.


PS - Se pensate che ho trattato la storia in maniera superficiale, beh! dovete vedere che cosa ho combinato altrove!

10 commenti:

  1. Beh! Non so dire se l'argomento da te trattato è stato esposto in modo superficiale. Nè sono sicuro che quello che dirò probabilmente non sia già compreso o esposto in maniera differente nel tuo post, ma te lo scrivo lo stesso. Se non altro per esporre in breve come li ho vissuti io quegli anni '80. Quegli anni abbracciano un periodo che va dalle scuole elementari ai primi anni delle superiori, e io mi ricordo che sono cresciuto in quegli anni con la certezza che tutto si poteva ottenere con l'impegno e la volontà (ancora mi ricordo una frase che mi colpì, mentre arrivavo in treno a Roma per iscrivermi all'Università, su un palazzo di una ditta Farmaceutica in Via Casilina: Se insisti e resisti, vinci e conquisti) dovevi solo ottenerli perchè il grosso era già stato fatto (ma da chi????...de che?????). Verso la fine delle scuole superiori (inizi anni '90) ho cominciato ad avere piccoli avvisi dall'esterno (forse erano quei movimenti di occupazione con striscioni che hai ricordato tu) che le cose non stavano così bene come pensavo....Ma io mi ricordo che non ho dovuto fare tanti sforzi per voler pensare che forse erano gli altri a sbagliare e non io (sicuramente era più comodo per me). Improvvisamente (tra virgolette) il punto di svolta........ come se ti svegliassi una mattina e il mondo è diverso da quello che avevi lasciato la sera prima.....beh! questa è la sensazione che io ho avuto quando mi sono reso conto che puoi insistere e resistere quanto ti pare ma senza un pò di fortuna..... non ottieni nulla!!!!

    Probabilmente come dici tu sono stato parecchio disattento negli anni '80 a tutto ciò che accadeva intorno a me oppure era così affascinante pensare di avere a disposizione un mondo solo da vivere in cui potevi addirittura scegliere ciò che volevi, che la tentazione è stata più forte di tutto il resto.

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  2. Quel miserabile motto che agli inizi degli anni '90 hai letto sull'industria farmaceutica è il lascito del 'pensiero' degli anni '80. In quegli anni tu avevi tutto il diritto alla disattenzione, quel diritto non apparteneva più a chi era già più grandicello di te...
    Quanto alla Dea fortuna tu sai quanto io le sia devoto ma il problema degli anni '80 e di quelli a seguire non è stata la mancanza di fortuna ma il fatto che l'individuo si è ritrovato solo, senza quei dispositivi politici che prima ne facevano un animale sociale.

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  3. Secondo me l’individuo non è rimasto solo perché è stato abbandonato, piuttosto non è stato invogliato a conservare lo spirito dialettico che esplose nei momenti critici della storia, un valore che non è stato tramandato chissà poi per quale motivo. I “giovani”, dagli anni ’80 ad oggi, hanno iniziato a non cercare più degli interlocutori nei politici (forse anche perché i politici hanno ritenuto non più opportuno investire sui giovani per sostenere il ricambio generazionale o per alimentare il processo di sviluppo delle capacità critiche delle nuove generazioni), poi hanno generalmente perso l’interesse per le faccende della politica come per quelle dell’essere adulti. I segnali di ripresa dell’attenzione e della partecipazione agli eventi di interesse collettivo che ci sono stati negli anni ’90 sono stati forse legati a temi specifici che suscitavano l’indignazione generale al punto che esprimerla appariva almeno terapeutico, ma quei temi specifici non sono riusciti ad aprire la strada a un progetto più ampio, una nuova visione del mondo che stimolasse una adesione o un sostegno e che fosse in grado di allargare la base di un potenziale consenso giovanile. Penso anche al mondo dell’associazionismo che oggi è un universo di realtà neanche più tanto piccole e capaci di strutturarsi in forme più complesse se necessario, però resta un mondo che forse preferisce dialogare ancora con i suoi componenti e non riesce ad ampliarsi, a diffondere messaggi in modo esteso e a far presa sulla gente e sui giovani se non per durate limitate (una campagna di raccolta firme magari o una manifestazione). E’ mancato e continua a mancare lo sforzo di restare in contatto e comunicare aggiornando il linguaggio al tempo in cui i giovani vivono. Ricordo un episodio abbastanza divertente (solo per me evidentemente): su un treno, nel 2001, diretti a una manifestazione iniziata bene e finita molto male, condividevo lo scompartimento con altri ragazzi dell’università alcuni impegnati politicamente. Uno di noi aveva in mano un libro, NO LOGO, che ispirò un monologo polemico e volto a stroncare il libro a uno dei ragazzi impegnati, in estrema sintesi: sono anni che noi parliamo di queste cose e nessuno ci considera, adesso esce un libro che racconta male le stesse cose ormai pure vecchie e tutti lo leggono!” La sparata durò circa venti minuti, trascorsi i quali il tipo ci guardò come se attendesse una risposta: candidamente gli dissi che per mia ignoranza forse non avevo capito almeno la metà dei termini che aveva utilizzato, ma avevo forse compreso ugualmente il succo del discorso e gli dissi perciò che avrebbe fatto bene a porsi il problema di come farsi capire meglio dagli altri e anche di scoprire perché argomenti per lui triti e ritriti e trattati per giunta male rappresentassero una novità per i non pochi lettori di quel libro… non mi rivolse più la parola per il resto del viaggio e francamente io non me la presi affatto. In un certo senso mi sembra come se per un certo numero di anni le persone che avrebbero dovuto fornire argomenti e porre questioni ai giovani avessero preferito rimuginare quegli argomenti e quelle questioni rimanendo nel proprio ambito di riferimento e che i giovani più attivi e disposti a impegnarsi come collegamento tra le torri d’avorio e la strada avessero perso la capacità di parlare alla gente chiaramente (forse convinti che la torre d’avorio debba solo esercitare una attrazione minima e la gente debba semplicemente lasciarsi attrarre incondizionatamente). Dal perdere la capacità di comunicare e di voler coinvolgere, alla diversificazione dei temi riconosciuti interessanti e degni di attenzione dai giovani e dalla politica direi che il passo è scontato oltre che brevissimo e trascina con sé anche l’assenza di un ricambio generazionale e lo scollamento tra classe politica e società civile (oggi poi pensare che l’una sia espressione dell’altra pare quasi un delirio fantasociologico!).

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  4. L'individuo è rimasto solo perché è rimasto vittima, forse non inconsapevolmente, dello scambio truffaldino tra libertà ed isolamento, gli vendevano isolamento e lo spacciavano per libertà. Non so se lo scambio sia stato pianificato ma il risultato finale è stato questo, la libertà senza i vincoli sociali che le sono connaturati scivola nell'isolamento ed è quello che è avvenuto.
    Hai ragione a sottolineare la centralità della comunicazione. Hai anche ragione a muovere qualche accusa ad una certa sinistra che troppo spesso si è autoassolta con "l'avevo detto io" assolutamente inutili. Il povero viaggiatore ne è un esempio paradigmatico, non ha capito che le idee hanno la loro contingenza e attaccava la Klein anziché dare il benvenuto a chi finalmente diffondeva le idee che lui aveva pensato prima, diciamo che è il morbo di una certa cultura di sinistra che a qualche punto della storia ha devastata. Non è un problema di discorsi ‘difficili’, la storia della sinistra è storia di formazione delle masse, le masse parlavano di coscienza di classe, di diritti sociali e di dialettica della Storia, gli studenti e gli operai discutevano di Marcuse, non è questione di discorsi difficili. Quei discorsi dovevano necessariamente trasformarsi, dovevano evolvere in qualcos’altro ma chi sosteneva quei discorsi ha pagato lo scotto di un dramma storico di scala planetaria. Il risultato è stato che una parte dei soggetti che facevano quei discorsi si è chiusa nei salotti perché non poteva fare fronte alla volgarità che avanzava ed una parte quei discorsi se li è proprio dimenticati e sono quelli che oggi fanno politica a sinistra dell’attuale destra che è come dire a destra della vecchia sinistra, il ciclo del tempo!
    E sì, la comunicazione e le responsabilità della sinistra. Lo sapevo che alzavo un polverone con questo post!

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  5. Bè, poi c'è (ancora) chi confonde comunicazione e coinvolgimento con indottrinamento e tesseramento, anche questo ostacola il ritorno ad una società di persone consapevoli che l'individualismo dovrebbe essere coltivato nella giusta misura; anche questo impedisce il riavvicinamento alla politica da parte (non solo) dei giovani. L'osceno spettacolo della politica pollaio, come lo descrivi tu, ogni tanto riesce nonostante tutto ad attirare energie fresche tra i giovani e persino tra i giovanissimi, salvo poi scoprire appunto che si tratta di reclutamento, indottrinamento e marketing mai di interventi nella formazione delle coscienze del singolo individuo come membro di una società fatta di carne, ossa e teste... Perchè "Polverone"??

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  6. Sono perfettamente d'accordo a distinguere la comunicazione e la formazione dalla propaganda e dall'indottrinamento. Le seconde purtroppo non sono mai mancate, la cosa grave è che sono rimaste sole dopo la scomparsa delle prime. Chi detiene il potere, naturalmente il potere inteso nella maniera più becera, preferisce avere a che fare con teste vuote anzichè con teste pensanti, sono più facili da gestire, le teste vuote ascoltano gli ordini, obbediscono agli ordini, hanno un contentino e finisce tutto lì. La speranza è che ci si ricordi che l'uomo/donna per riconoscersi e rispettarsi non può essere così per troppo tempo, prima o poi si sveglia e chiede auto-nomia.

    Il polverone è riferito alla quantità di argomenti che questo discorso solleva, sono molto contento di questo 'polverone' e anzi sarei ancora più contento se anche altri volessero raccontare il loro punto di vista al riguardo.

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  7. Caro Antonio,
    intanto permettimi un apprezzamento a caldo: questo post mi piace molto ed è di ampio respiro. Per quanto mi riguarda, non ho gli strumenti critici e la preparazione storica o sociologica per poter valutare il periodo che tu prendi in considerazione e per poter fare confronti fra i ventenni di adesso e quelli degli anni ottanta.
    Fra questi ultimi però c’ero anch’io, e questo mi permette di dire qualcosa in merito, per intenderci meglio io iniziavo il liceo agli inizi degli ottanta e mi sono laureato agli inizi degli anni novanta.
    Ha perfettamente ragione sul prima, dopo le rivendicazioni proletarie, dopo “la fantasia al potere”, dopo “mettete dei fiori nei vostri cannoni”, grandi ideali di giustizia universali, astratti e utopistici, questa spinta si trasforma in rabbia, da pacifista diventa rivendicativa, cominciano a venir fuori le molotov, le p 38, la violenza rossa, quelle nera e le stragi di Stato.
    Negli anni ottanta c’è il disimpegno della politica, la disillusione, dai grandi gruppi, dalle grandi ideologie, dai grandi partiti si passa all’aspetto personale, individuale del piccolo gruppo. Non più grandi ideali utopistici, ma piccoli ideali concreti; non più cambiare il mondo, ma cambiare se stessi. C’è chi si da al rampantismo, allo yuppismo, al carrierismo, chi invece si affida a movimenti più o meno seri per effettuare un cambiamento interiore. Ci sono grandi manifestazioni di protesta, vedi la Pantera che anche tu citi e a cui io ho partecipato, ma ciò che si chiedeva erano delle cose concrete e delle cose vaghe (ricordo che uno degli slogan era che non sappiamo cosa farcene di ciò che voi ci insegnate, solo su questo slogan si potrebbe dibattere a lungo, cosa viene realmente insegnato nelle scuole e a che cosa serve?).
    Oggi i ventenni sono certamente più consapevoli di noi, sono anche meglio informati (nel senso che con la rete e con i cellulari hanno una quantità di informazione a disposizione enorme, impensabile negli anni ottanta, pur senza avere alcun criterio per vagliarla e senza utilizzarla davvero come dialogo).
    Un dialogo non può prescindere di un tessuto connettivo comune, di un background condiviso, di un retroterra sintattico e semantico che ci accomuna, di alcuni punti di riferimento universalmente noti.
    (segue)

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  8. Per dialogare ci vuole il possesso di una cultura comune che possa mettere a confronto le rispettive differenze di idee, gli scienziati e i letterati del passato, dall’umanesimo a tutto il XIX° secolo condividevano la lettura di alcuni testi fondamentali (Omero, Erodoto, Sofocle, Virgilio, Seneca, Shakespeare, Goethe, Hegel, Nietzsche, Dostoevskij, ...) e la conoscenza di una lingua (il latino) che permetteva loro letteralmente di situarsi in un punto riconosciuto da cui poter parlare, da cui poter iniziare un loro discorso che avesse un senso e che potesse essere trasmesso.
    Freud, ad esempio, faceva citazioni da opere antiche senza tradurle, senza citarne la fonte, parlava di Edipo senza raccontarne la storia, senza appesantire il suo dire con tutta la trama; la stessa identica cosa facevano Omero, Eschilo, Sofocle, che non raccontavano tutto, Omero racconta solo l’ultimo anno della guerra di Troia, nemmeno si sogna di narrare i fatti precedenti, tutti ne erano a conoscenza, Sofocle narra di Edipo solo le vicende relative al disvelamento della sua verità soggettiva.
    Una cosa che ha accomunato tutte queste generazioni è stata proprio il confrontarsi col vuoto culturale, un vuoto di un tessuto connettivo condiviso, ciascuno di noi prende brandelli di cultura in base al piccolo gruppo a cui appartiene, dalla religione che professa, in base a riconoscimento di censo, di ruolo, di professione, e persino da quei ridicoli meccanismi che creano continuamente leggende ed identità fittizie dal nulla, dalle fiction televisive, dalle telenovelas, dalla pubblicità, dalle mode del momento.
    Manca un pactum fra gli esseri umani, qualcosa che faccia davvero da trait d’union fra soggetto e soggetto, un punto di inizio da cui poter essere soggetto e non agente, parlante e non parlato, attraversato letteralmente dal disco incessante della propaganda, dal si dice, dal si fa, dal si sa. Perché andiamo in vacanza a Dubai, perché improvvisamente tutti 9i miei amici sono andati a Barcellona e tutti hanno visto le stesse cose, perché prima si andava in massa sul Mar Rosso a Sharm-el-Sheik??? Chi decide, e perché?
    Poi, ritorno al mio passato e ricordo come i miei genitori, che derivavano da una profonda tradizione contadina, avessero timore a trasmettermi il loro sapere, un sapere legato al saper fare (il vino ad esempio, oggi se non lavori nell’industria del vino non sai più come si fa e talvolta non lo sai nemmeno se ci lavori, altrimenti nessuno avrebbe avuto l’idea di mettere il vino nel tetra-pack), un sapere legato al ciclo delle stagioni, che è in sintonia da una parte col ciclo dell’universo e dall’altro con i cicli circadiani e infradiani degli esseri viventi. C’è un tempo per il freddo e un tempo per il caldo, mentre oggi viviamo costantemente alla temperatura di 22° circa, c’è un tempo per le fragole e uno per il melograno, mentre adesso mangiamo pomodori tutto l’anno.
    (segue)

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  9. I miei genitori pensavano che tutto ciò che avevano da insegnarmi non mi sarebbe servito a niente nella vita; forse altri nelle scuole, nelle università, potevano avere qualcosa da insegnarmi e anche se non ce lo avessero avuto, in ogni caso mi avrebbero dato l’autorizzazione ad esercitare una professione anche senza un vero sapere, qualcosa di cui vivere. Insomma, se non c’è un sapere almeno c’è un imbecille patentato da un altro imbecille e da una istituzione imbecille che trasmette imbecillità.
    E qui mi viene in mente la domanda che il bambino prima o poi fa ai genitori: “Come nascono i bambini?”; non è che il bambino voglia sapere la fisiologia della fecondazione o della nascita, non gli interessa proprio nulla dei semini di papà che entrano nella pancia della mamma. Il bambino vuole sapere perché si nasce o meglio, perché lui è nato.
    Ma i genitori, che non lo sanno per loro perché si nasce e perché sono nati, non possono non equivocare la domanda del loro bambino, rispondendogli inevitabilmente con una mistificazione: sia che gli parlino di cavoli e di cicogne, sia che gli raccontino la fisiologia dell’inseminazione e del parto.
    Al bambino non resta che accontentarsi, insoddisfatto, però può ad esempio rivalersi su di un altro bambino a cui è sorta la stessa domanda, ostentando un finto sapere, dicendogli: “Te lo dico io come nascono i bambini, dunque, devi sapere ....”.
    E’ il finto sapere di Edipo quando risponde: “Quell’animale è l’uomo!”, alla Sfinge, Edipo non poteva sapere cosa fosse un uomo, perché non lo era ancora, lo sarà dopo il disvelamento della sua verità e lo saprà molto dolorosamente.
    Mi sono dilungato moltissimo, purtroppo.
    Un saluto

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  10. Ti ringrazio per il corposo contributo e per il tuo apprezzamento. Non è un problema la lunghezza, come avrai notato anche a me piace ‘indugiare’ su alcuni argomenti. Non so se io ho quegli strumenti che tu dici essenziali per valutare il periodo degli anni ’80 ma imprudentemente l’ho fatto solo perché anch’io l’ho attraversato grosso modo come te, pantera compresa. Non so dire se l’abbandono della politica negli anni ’80 sia dovuto esclusivamente alla disillusione dalle ‘grandi aspettative’, sicuramente quella disillusione ha avuto un ruolo notevole ma non definirei ‘piccoli ideali concreti’ quelli perseguiti negli anni ’80, quando la Signora Thatcher sosteneva che non esiste la società ma solo l’individuo. A mio avviso la cosiddetta concretezza degli anni ’80 è stato il paravento per la pochezza di spirito, per l’incapacità di vedere oltre il proprio portafoglio. Forse hai ragione quando dici “non più cambiare il mondo, ma cambiare sé stessi” ma ho il timore che si sia trattato di un ripiego venuto male se pensiamo che l’obiettivo di cambiare sé stessi non era certo una scoperta degli anni ’80 in Occidente e che l’Oriente lo persegue da sempre.
    “Un dialogo non può prescindere di un tessuto connettivo comune”, vero! ma per tessuto connettivo io non intendo la condivisione di letture, che sicuramente aiutano (visto gli autori che citi), ma la condivisione di capacità emotive che sono appunto il nesso di quel pactum che evochi. In definitiva quello che ci unisce è proprio ciò che manca a ciascuno non quello che ciascuno ha. Contrariamente a certi modelli di onnipotenza patologica (e non parlo solo del miserello che abbiamo al Governo ma del modello di individuo pseudosociale che si è andato affermando e che viene proposto come vincente) io sono convinto che la consapevolezza della propria individualità passa proprio attraverso il riconoscimento dei propri limiti e della necessità di ri-solvere le proprie debolezze con gli altri. Questo processo di riconoscimento è stato facilmente colonizzato dalle dinamiche del mercato che azzerano le differenze tra le stagioni e i continenti creando quella suggestiva immagine di comunità (dei consumatori) che non ha avuto alcuna difficoltà ad attecchire proprio perché è stata seminata sul terreno fertile di una domanda di comunità. Perché ad un certo punto tutti i tuoi amici sono andati a Barcellona? Proprio per condividere la stessa esperienza, niente di più semplice, i meccanismi di mercato funzionano su semplici meccanismi imitativi e l’uomo è animale con spiccate doti di imitazione. Quella domanda di comunità da parte di ogni singolo individuo va soddisfatta, non c’è verso, e la storia ci insegna che bisogna soddisfarla rispettando le differenze degli individui. Quindi il problema è proprio quale risposta sia stata data a quella domanda e se quella risposta è soddisfacente. Quando vedo un sacco di gente affannata a guadagnare quanto più possibile per comprare una macchina costosa e lamentarsi di passare poco tempo libero da dedicare a sé stessi e ai propri cari sono convinto che la risposta non sia soddisfacente e quelle lamentele mi dicono che non è soddisfatto neanche chi è incastrato in quella morsa.
    Riguardo la domanda del bambino, mi piace la tua lettura, è una domanda di senso, è vero, ma qui entriamo in un territorio che esula dall’analisi di qualunque decennio. Non vorrei sembrarti troppo frettoloso se taglio corto dicendo che non c’è alcun senso da trovare ma uno o più sensi da costruire.
    Un saluto a te.

    PS - Anche i miei genitori derivano da una profonda tradizione contadina, non ho nulla di più caro.

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