A settembre dell'anno scorso, al Festival della Filosofia di Mantova, Umberto Galimberti e Massimo Cirri tennero un piacevolissimo colloquio intorno al libro che Cirri aveva pubblicato da poco e che si intitola "A colloquio. Tutte le mattine al Centro di Salute Mentale", edito da Feltrinelli. Da quel dialogo trascrivo un frammento che potrà tornare utile per farsi un'idea delle motivazioni profonde che sottendono certi comportamenti.
"Che cosa è la paranoia? La paranoia è il bisogno di controllare tutto e siccome nessuno riesce a controllare tutto, ogni volta che uno gli sfugge qualcosa dal suo controllo ipotizza che gli altri siano dei persecutori, non può ammettere a sé stesso di non essere in grado di controllare tutto, deve dire che sono gli altri che lo perseguitano. Ecco! Qui la psichiatria forse qualcosa potrebbe spiegare [...]
Paranoico è colui che vuole controllare tutto, è una malattia seria, molto seria. Molto seria da cui difficilmente esci perché il bisogno di controllo ce l'abbiamo tutti, quello che in sostanza vogliamo controllare è la morte. Del resto gli sforzi enormi per allontanare il pensiero della morte sviluppando tutte le figure della giovinezza, nell'abbigliamento, nella forma, nella cura del corpo, nel lifting, ... son tutte forme di terrore della morte. Il paranoico è terrorizato dalla morte, dall'invecchiamento e vuole controllare tutto, quando sfugge qualcosa al suo controllo allora non ammette «non riesco a controllare tutto», dice «sono gli altri» e cominciano i vissuti persecutori."
Se vuoi ascoltare l'intero audio lo puoi scaricare al sito dei podcast della Feltrinelli (Il podcast è il numero 58 ed il frammento che ho estratto comincia a 25' 02"). Ad ogni modo puoi ascoltarlo anche in questo post se hai attivato il plugin.
Il nesso tracciato da Galimberti tra il comportamento paranoico ed il terrore della morte potrebbe spiegare cose ben più importanti dell'atteggiamento di qualche soggetto in preda al delirio di onnipotenza tipico della fase infantile dello sviluppo. Penso alle posizioni negazioniste dell'evoluzionismo o al negazionismo dei cambiamenti climatici provocati dall'uomo, ma di questo forse parlerò in un post successivo.
"Concludiamone dunque che il mondo sarebbe assai migliore se ciascuno si accontentasse di quello che dice, senza aspettarsi che gli rispondano, e soprattutto senza chiederlo né desiderarlo." José Saramago
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martedì 30 marzo 2010
giovedì 25 marzo 2010
Giustizia terrena secondo Giuseppe e Giovanni
Non esprimo alcun commento salvo il titolo che ho dato al post, mi limito a riportare il testo integrale tradotto dal latino della lettera inviata il 18 maggio del 2001 da Ratzinger e Bertone ai "vescovi di tutta la Chiesa cattolica e agli altri ordinari e prelati interessati". Il testo è ripreso da Micromega a firma di Pino Nicotri.
La lettera dava istruzioni circa i comportamenti da adottare per "i delitti più gravi" commessi dai membri della chiesa. E' il cosiddetto «Secretum pontificium» emesso quando l'attuale pontefice ricopriva la carica di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e al soglio pontificio c'era Giovanni Paolo II. La lettera imponeva il «silenzio papale», ovvero chiunque avesse parlato era scomunicato «ipso facto», cioè immediatamente.
Consiglio anche la lettura dell'articolo di Hans Küng e siccome siamo in Italia, e un po' di colore non ce lo facciamo mancare mai, consiglio la lettura del commento di don Paolo Farinella alla miserabile lettera di solidarietà inviata al papa da un noto frequentatore di prostitute d'alto bordo, oggi dette escort.
Per l’applicazione della legge ecclesiastica, che all’art. 52 della Costituzione apostolica sulla curia romana dice: “[La Congregazione per la dottrina della fede] giudica i delitti contro la fede e i delitti più gravi commessi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti, che vengano a essa segnalati e, all’occorrenza, procede a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune che proprio”, era necessario prima di tutto definire il modo di procedere circa i delitti contro la fede: questo è stato fatto con le norme che vanno sotto il titolo di Regolamento per l’esame delle dottrine, ratificate e confermate dal sommo pontefice Giovanni Paolo II, con gli articoli 28-29 approvati insieme in forma specifica.
Quasi nel medesimo tempo la Congregazione per la dottrina della fede con una Commissione costituita a tale scopo si applicava a un diligente studio dei canoni sui delitti, sia del Codice di diritto canonico sia del Codice dei canoni delle Chiese orientali, per determinare “i delitti più gravi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti”, per perfezionare anche le norme processuali speciali nel procedere “a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche”, poiché l’istruzione Crimen sollicitationis finora in vigore, edita dalla Suprema sacra Congregazione del Sant’Offizio il 16 marzo 1962, doveva essere riveduta dopo la promulgazione dei nuovi codici canonici.
Dopo un attento esame dei pareri e svolte le opportune consultazioni, il lavoro della Commissione è finalmente giunto al termine; i padri della Congregazione per la dottrina della fede l’hanno esaminato più a fondo, sottoponendo al sommo pontefice le conclusioni circa la determinazione dei delitti più gravi e circa il modo di procedere nel dichiarare o nell’infliggere le sanzioni, ferma restando in ciò la competenza esclusiva della medesima Congregazione come Tribunale apostolico. Tutte queste cose sono state dal sommo pontefice approvate, confermate e promulgate con la lettera apostolica emanata come motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela.
I delitti più gravi sia nella celebrazione dei sacramenti sia contro la morale, riservati alla Congregazione per la dottrina della fede, sono:
- I delitti contro la santità dell’augustissimo sacramento e sacrificio dell’eucaristia, cioè:
1° l’asportazione o la conservazione a scopo sacrilego, o la profanazione delle specie consacrate:
2° l’attentata azione liturgica del sacrificio eucaristico o la simulazione della medesima;
3° la concelebrazione vietata del sacrificio eucaristico assieme a ministri di comunità ecclesiali, che non hanno la successione apostolica ne riconoscono la dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale;
4° la consacrazione a scopo sacrilego di una materia senza l’altra nella celebrazione eucaristica, o anche di entrambe fuori della celebrazione eucaristica;
- Delitti contro la santità del sacramento della penitenza, cioè:
1° l’assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento del Decalogo;
2° la sollecitazione, nell’atto o in occasione o con il pretesto della confessione, al peccato contro il sesto comandamento del Decalogo, se è finalizzata a peccare con il confessore stesso;
3° la violazione diretta del sigillo sacramentale;
- Il delitto contro la morale, cioè: il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età.
Al Tribunale apostolico della Congregazione per la dottrina della fede sono riservati soltanto questi delitti, che sono sopra elencati con la propria definizione.
Ogni volta che l’ordinario o il prelato avesse notizia almeno verosimile di un delitto riservato, dopo avere svolte un’indagine preliminare, la segnali alla Congregazione per la dottrina della fede, la quale, a meno che per le particolari circostanze non avocasse a sé la causa, comanda all’ordinario o al prelato, dettando opportune norme, di procedere a ulteriori accertamenti attraverso il proprio tribunale. Contro la sentenza di primo grado, sia da parte del reo o del suo patrono sia da parte del promotore di giustizia, resta validamente e unicamente soltanto il diritto di appello al supremo Tribunale della medesima Congregazione.
Si deve notare che l’azione criminale circa i delitti riservati alla Congregazione per la dottrina della fede si estingue per prescrizione in dieci anni. La prescrizione decorre a norma del diritto universale e comune: ma in un delitto con un minore commesso da un chierico comincia a decorrere dal giorno in cui il minore ha compiuto il 18° anno di età.
Nei tribunali costituiti presso gli ordinari o i prelati possono ricoprire validamente per tali cause l’ufficio di giudice, di promotore di giustizia, di notaio e di patrono soltanto dei sacerdoti. Quando l’istanza nel tribunale in qualunque modo è conclusa, tutti gli atti della causa siano trasmessi d’ufficio quanto prima alla Congregazione per la dottrina della fede.
Tutti i tribunali della Chiesa latina e delle Chiese orientali cattoliche sono tenuti a osservare i canoni sui delitti e le pene come pure sul processo penale rispettivamente dell’uno e dell’altro Codice, assieme alle norme speciali che saranno date caso per caso dalla Congregazione per la dottrina della fede e da applicare in tutto.
Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio.
Con la presente lettera, inviata per mandato del sommo pontefice a tutti i vescovi della Chiesa cattolica, ai superiori generali degli istituti religiosi clericali di diritto pontificio e delle società di vita apostolica clericali di diritto pontificio e agli altri ordinari e prelati interessati, si auspica che non solo siano evitati del tutto i delitti più gravi, ma soprattutto che, per la santità dei chierici e dei fedeli da procurarsi anche mediante necessarie sanzioni, da parte degli ordinari e dei prelati prelci sia una sollecita cura pastorale.
Roma, dalla sede della Congregazione per la dottrina della fede, 18 maggio 2001.
Joseph card. Ratzinger, prefetto.
Tarcisio Bertone, SDB, arc. em. di Vercelli, segretario»
La lettera dava istruzioni circa i comportamenti da adottare per "i delitti più gravi" commessi dai membri della chiesa. E' il cosiddetto «Secretum pontificium» emesso quando l'attuale pontefice ricopriva la carica di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e al soglio pontificio c'era Giovanni Paolo II. La lettera imponeva il «silenzio papale», ovvero chiunque avesse parlato era scomunicato «ipso facto», cioè immediatamente.
Consiglio anche la lettura dell'articolo di Hans Küng e siccome siamo in Italia, e un po' di colore non ce lo facciamo mancare mai, consiglio la lettura del commento di don Paolo Farinella alla miserabile lettera di solidarietà inviata al papa da un noto frequentatore di prostitute d'alto bordo, oggi dette escort.
***
«LETTERA inviata dalla Congregazione per la dottrina della fede ai vescovi di tutta la Chiesa cattolica e agli altri ordinari e prelati interessati, circa I DELITTI PIU’ GRAVI riservati alla medesima Congregazione per la dottrina della fede, 18 maggio 2001Per l’applicazione della legge ecclesiastica, che all’art. 52 della Costituzione apostolica sulla curia romana dice: “[La Congregazione per la dottrina della fede] giudica i delitti contro la fede e i delitti più gravi commessi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti, che vengano a essa segnalati e, all’occorrenza, procede a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune che proprio”, era necessario prima di tutto definire il modo di procedere circa i delitti contro la fede: questo è stato fatto con le norme che vanno sotto il titolo di Regolamento per l’esame delle dottrine, ratificate e confermate dal sommo pontefice Giovanni Paolo II, con gli articoli 28-29 approvati insieme in forma specifica.
Quasi nel medesimo tempo la Congregazione per la dottrina della fede con una Commissione costituita a tale scopo si applicava a un diligente studio dei canoni sui delitti, sia del Codice di diritto canonico sia del Codice dei canoni delle Chiese orientali, per determinare “i delitti più gravi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti”, per perfezionare anche le norme processuali speciali nel procedere “a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche”, poiché l’istruzione Crimen sollicitationis finora in vigore, edita dalla Suprema sacra Congregazione del Sant’Offizio il 16 marzo 1962, doveva essere riveduta dopo la promulgazione dei nuovi codici canonici.
Dopo un attento esame dei pareri e svolte le opportune consultazioni, il lavoro della Commissione è finalmente giunto al termine; i padri della Congregazione per la dottrina della fede l’hanno esaminato più a fondo, sottoponendo al sommo pontefice le conclusioni circa la determinazione dei delitti più gravi e circa il modo di procedere nel dichiarare o nell’infliggere le sanzioni, ferma restando in ciò la competenza esclusiva della medesima Congregazione come Tribunale apostolico. Tutte queste cose sono state dal sommo pontefice approvate, confermate e promulgate con la lettera apostolica emanata come motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela.
I delitti più gravi sia nella celebrazione dei sacramenti sia contro la morale, riservati alla Congregazione per la dottrina della fede, sono:
- I delitti contro la santità dell’augustissimo sacramento e sacrificio dell’eucaristia, cioè:
1° l’asportazione o la conservazione a scopo sacrilego, o la profanazione delle specie consacrate:
2° l’attentata azione liturgica del sacrificio eucaristico o la simulazione della medesima;
3° la concelebrazione vietata del sacrificio eucaristico assieme a ministri di comunità ecclesiali, che non hanno la successione apostolica ne riconoscono la dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale;
4° la consacrazione a scopo sacrilego di una materia senza l’altra nella celebrazione eucaristica, o anche di entrambe fuori della celebrazione eucaristica;
- Delitti contro la santità del sacramento della penitenza, cioè:
1° l’assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento del Decalogo;
2° la sollecitazione, nell’atto o in occasione o con il pretesto della confessione, al peccato contro il sesto comandamento del Decalogo, se è finalizzata a peccare con il confessore stesso;
3° la violazione diretta del sigillo sacramentale;
- Il delitto contro la morale, cioè: il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età.
Al Tribunale apostolico della Congregazione per la dottrina della fede sono riservati soltanto questi delitti, che sono sopra elencati con la propria definizione.
Ogni volta che l’ordinario o il prelato avesse notizia almeno verosimile di un delitto riservato, dopo avere svolte un’indagine preliminare, la segnali alla Congregazione per la dottrina della fede, la quale, a meno che per le particolari circostanze non avocasse a sé la causa, comanda all’ordinario o al prelato, dettando opportune norme, di procedere a ulteriori accertamenti attraverso il proprio tribunale. Contro la sentenza di primo grado, sia da parte del reo o del suo patrono sia da parte del promotore di giustizia, resta validamente e unicamente soltanto il diritto di appello al supremo Tribunale della medesima Congregazione.
Si deve notare che l’azione criminale circa i delitti riservati alla Congregazione per la dottrina della fede si estingue per prescrizione in dieci anni. La prescrizione decorre a norma del diritto universale e comune: ma in un delitto con un minore commesso da un chierico comincia a decorrere dal giorno in cui il minore ha compiuto il 18° anno di età.
Nei tribunali costituiti presso gli ordinari o i prelati possono ricoprire validamente per tali cause l’ufficio di giudice, di promotore di giustizia, di notaio e di patrono soltanto dei sacerdoti. Quando l’istanza nel tribunale in qualunque modo è conclusa, tutti gli atti della causa siano trasmessi d’ufficio quanto prima alla Congregazione per la dottrina della fede.
Tutti i tribunali della Chiesa latina e delle Chiese orientali cattoliche sono tenuti a osservare i canoni sui delitti e le pene come pure sul processo penale rispettivamente dell’uno e dell’altro Codice, assieme alle norme speciali che saranno date caso per caso dalla Congregazione per la dottrina della fede e da applicare in tutto.
Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio.
Con la presente lettera, inviata per mandato del sommo pontefice a tutti i vescovi della Chiesa cattolica, ai superiori generali degli istituti religiosi clericali di diritto pontificio e delle società di vita apostolica clericali di diritto pontificio e agli altri ordinari e prelati interessati, si auspica che non solo siano evitati del tutto i delitti più gravi, ma soprattutto che, per la santità dei chierici e dei fedeli da procurarsi anche mediante necessarie sanzioni, da parte degli ordinari e dei prelati prelci sia una sollecita cura pastorale.
Roma, dalla sede della Congregazione per la dottrina della fede, 18 maggio 2001.
Joseph card. Ratzinger, prefetto.
Tarcisio Bertone, SDB, arc. em. di Vercelli, segretario»
martedì 23 marzo 2010
Certi diritti
Quando la politica ed in particolare la democrazia si risolve esclusivamente nei suoi aspetti puramente quantitativi lascia enormi spazi all’intolleranza legittimata da un numero sufficiente di voti. Tale condizione, senza voler scomodare due secoli di storia politica, è già ampiamente definita dal termine arroganza. Emanuele Severino afferma che “una legge può essere più o meno democratica nella misura in cui è più o meno soffocato il punto di vista della minoranza: più una legge soffoca il punto di vista della minoranza, meno è democratica; meno soffoca il punto di vista della minoranza, più è democratica”[1] ; tale criterio non è così presente e pressante in una politica, che pur ossessionata dai quanta democratici, non si pone l’obiettivo caro a Camus di ridurre la somma algebrica della sofferenza al termine della vita.
Del resto quando quell'ambito dell'agire collettivo in cui deve prendere forma la costruzione, coraggiosa e necessariamente rischiosa, di nuovi spazi della dimensione umana diventa pigra amministrazione del già costituito non è più sensato chiedersi se sia eticamente doveroso da parte della politica prendere atto di esigenze espresse nel tessuto sociale e realizzare norme che ne riconoscano l'esistenza. Il mancato riconoscimento giuridico delle coppie di fatto in Italia, indipendentemente dal sesso dei costituenti la coppia, è un chiaro esempio di questa misera degenerazione della politica ed in particolare della democrazia. Ovviamente si sollevano problemi di carattere etico, ma di fronte all’incapacità di trattare con la sinfonia dell’etica sociale si compensa con le urla sguaiate dell’etica da bettola. In questo desolante panorama culturale non ci si avvicina neppure ai registri del bisogno/diritto di riconoscimento di soggetti quali nuclei relazionali in un contesto sociale ed il dibattito è lasciato agli sciacalli della comunicazione che consegnano messaggi porta a porta!
Non si possono porre problemi etici ad amministratori di condominio né pretenderne la soluzione, così il problema diventa porre domande giuste alle persone sbagliate. Ad oggi in Italia sembra fuori luogo rivolgere domande impegnative al potere legislativo o esecutivo, troppo occupati a rimboccare le coperte a bimbi invecchiati tra smanie paranoidi e livorose ossessioni di invidia del culto della propria personalità in declino, resta, finchè resta la via del potere giudiziario. Oggi alla Corte Costituzionale si aprirà l'udienza in merito alla legittimità o meno del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali, molte famiglie attendono l'esito della Consulta.
[1] E. Severino, intervento nel Dialogo La politica è ancora un valore? A. Gnoli, R. Esposito, E. Scalfari, J. Bhabha, G. Marramao, F. Savater, E. Severino. MicroMega, 3/2007, p. 103.
Del resto quando quell'ambito dell'agire collettivo in cui deve prendere forma la costruzione, coraggiosa e necessariamente rischiosa, di nuovi spazi della dimensione umana diventa pigra amministrazione del già costituito non è più sensato chiedersi se sia eticamente doveroso da parte della politica prendere atto di esigenze espresse nel tessuto sociale e realizzare norme che ne riconoscano l'esistenza. Il mancato riconoscimento giuridico delle coppie di fatto in Italia, indipendentemente dal sesso dei costituenti la coppia, è un chiaro esempio di questa misera degenerazione della politica ed in particolare della democrazia. Ovviamente si sollevano problemi di carattere etico, ma di fronte all’incapacità di trattare con la sinfonia dell’etica sociale si compensa con le urla sguaiate dell’etica da bettola. In questo desolante panorama culturale non ci si avvicina neppure ai registri del bisogno/diritto di riconoscimento di soggetti quali nuclei relazionali in un contesto sociale ed il dibattito è lasciato agli sciacalli della comunicazione che consegnano messaggi porta a porta!
Non si possono porre problemi etici ad amministratori di condominio né pretenderne la soluzione, così il problema diventa porre domande giuste alle persone sbagliate. Ad oggi in Italia sembra fuori luogo rivolgere domande impegnative al potere legislativo o esecutivo, troppo occupati a rimboccare le coperte a bimbi invecchiati tra smanie paranoidi e livorose ossessioni di invidia del culto della propria personalità in declino, resta, finchè resta la via del potere giudiziario. Oggi alla Corte Costituzionale si aprirà l'udienza in merito alla legittimità o meno del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali, molte famiglie attendono l'esito della Consulta.
[1] E. Severino, intervento nel Dialogo La politica è ancora un valore? A. Gnoli, R. Esposito, E. Scalfari, J. Bhabha, G. Marramao, F. Savater, E. Severino. MicroMega, 3/2007, p. 103.
lunedì 15 marzo 2010
La sostanza dei cretini
Terzine di frammenti di 5 caratteri in disordine
' essere iQuellsua t
sol'un m in snza g mise per pesta provtuoi,ode
, nauerraItaliperchal cira,
ittadise lare ose pointil a è v
sellvergopace ince,ano, in tAhi saltro
o Iu C una ti g,
li é ti lo! non in testa,vivi ve sae di
ode di qupartestinïe
fu coerra, stano fornciasgode.uro e
Cheerva ordelna die orafossaocchinza nse il
di tello frenn suofare un l'ma ge si rerca,
marn temle tu s'al ma blce s' ani
Sanzsì pròta? serrraccoa la dolocuna i feseno. e l'uarda
nole prgna mo da eno, e la lo dono saei ch quivntorne
ta; val a, diine, uon dn gran dona.
Terzine di frammenti di 15 caratteri in disordine
uarda in seno, ta;
e ora in tun l'altro si r in te di pace n suo quivi fesnza guerra
li nza nocchiere i'un muro e una nciasse il frenòta?
Sanz' essfare al cittadigna meno.ordello!
Quellperché ti raccoine, e poi ti go fora la
sol per lo dofossa serra.
Ca, di dolore ose non stanno saode
di quei chsua terra,
di ode
le tue margode.
Che val se la sella è vvivi tuoi, e l'o
Iustinïano,
s'alcuna parten gran tempesta' anima gentil lce suon de la
province, ma bAhi serva Italierca, misera, itello, nave sa,
non donna di vergontorno da le prfu così presta,
Terzine di versi endecasillabi in disordine
di fare al cittadin suo quivi festa;
Quell' anima gentil fu così presta,
Che val perché ti racconciasse il freno
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro e una fossa serra.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
Iustinïano, se la sella è vòta?
Sanz' esso fora la vergogna meno.
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
Cerca, misera, intorno da le prode
e ora in te non stanno sanza guerra
s'alcuna parte in te di pace gode.
non donna di province, ma bordello!
Terzine incatenate di versi endecasillabi
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
Quell' anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro e una fossa serra.
Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s'alcuna parte in te di pace gode.
Che val perché ti racconciasse il freno
Iustinïano, se la sella è vòta?
Sanz' esso fora la vergogna meno.
La sostanza prende forma. Il significato riposa sulla sintassi.
Con il primo esperimento (frammenti di 5 caratteri in disordine) la sostanza non viene sconvolta ma la forma, o meglio la sua assenza, ne impedisce la lettura.
Con il secondo esperimento (frammenti di 15 caratteri in disordine) si intuisce qualcosa ma ancora non ne afferriamo il senso.
Con il terzo esperimento (terzine di versi endecasillabi in disordine) la sostanza si mostra e abbiamo chiaro di cosa stiamo parlando ma è solo con il quarto "esperimento" che la maestà della poesia si mostra in tutta la sua potenza. E' un pezzo del VI canto del Purgatorio della Divina Commedia e dubito che qualche cretino, dopo aver letto questo, possa ritornare al primo esperimento invocando la priorità della sostanza sulla forma, ma faccio male a dubitare perchè qualcuno pronto a farlo si trova sempre.
La poesia o la letteratura in generale o, ancora di più, qualunque espressione artistica non sono il solo ambito del pensiero in cui la forma è sostanza, si potrebbe dire la stessa cosa della biologia e delle forme dell'evoluzione (quelle che ammiriamo per bellezza quanto quelle che suscitano orrore), della chimica e delle formule, del diritto o, più estesamente, della democrazia e delle procedure. Per la verità credo siano davvero pochi i casi in cui si possa separare forma e sostanza se dobbiamo considerare seriamente questi due rovesci di medaglia senza un dritto. Salvo usare il termine 'forma' nell'accezione idiota che la contrappone al termine 'sostanza', usato in maniera altrettanto idiota.
In questo mio gioco tra forma e sostanza avrei potuto considerare la Gioconda e pensare che la sua sostanza era già tutta nella tavolozza di colori di Leonardo, oppure avrei potuto pensare alla Pietà Rondanini e a Michelangelo che già la vedeva nascosta nella roccia.
Ho preso 5 terzine di Dante, le ho frammentate in vari modi e ne ho mescolato i frammenti. Quando i frammenti sono piccoli il senso si perde ma resta in quei frammenti, avessi mescolato le singole lettere la sostanza di quei versi sarebbe restata lì, eppure non sarebbe stata accessibile a nessuno. Grosso modo mi pare sia quello che sta avvenendo in Italia con lo stravolgimento delle regole del diritto che da strumento di garanzia per tutti e sempre diventa strumento di prevaricazione per qualcuno e in qualche circostanza.
Il paragone tra i versi di Dante ed il diritto può sembrare disonesto perché i versi del poeta sono qualcosa di compiuto mentre è vero che il diritto è un processo in continuo divenire ma la domanda resta la stessa. Qual è il punto di rottura del diritto in un dato momento storico perché il suo senso non sia più accessibile? Qual è la dimensione dei frammenti che ci permetterà di comprendere ancora di cosa stiamo parlando?
Un noto sobillatore di popolo il 24 marzo del 1821 annotava tra i suoi appunti "Se noi dobbiamo risvegliarci una volta, e riprendere lo spirito di nazione, il primo nostro moto dev'essere, non la superbia nè la stima delle nostre cose presenti, ma la vergogna. E questa ci deve spronare a cangiare strada del tutto e rinnovellare ogni cosa. Senza ciò non faremo mai nulla." Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri (pp. 865-866).
' essere iQuellsua t
sol'un m in snza g mise per pesta provtuoi,ode
, nauerraItaliperchal cira,
ittadise lare ose pointil a è v
sellvergopace ince,ano, in tAhi saltro
o Iu C una ti g,
li é ti lo! non in testa,vivi ve sae di
ode di qupartestinïe
fu coerra, stano fornciasgode.uro e
Cheerva ordelna die orafossaocchinza nse il
di tello frenn suofare un l'ma ge si rerca,
marn temle tu s'al ma blce s' ani
Sanzsì pròta? serrraccoa la dolocuna i feseno. e l'uarda
nole prgna mo da eno, e la lo dono saei ch quivntorne
ta; val a, diine, uon dn gran dona.
Terzine di frammenti di 15 caratteri in disordine
uarda in seno, ta;
e ora in tun l'altro si r in te di pace n suo quivi fesnza guerra
li nza nocchiere i'un muro e una nciasse il frenòta?
Sanz' essfare al cittadigna meno.ordello!
Quellperché ti raccoine, e poi ti go fora la
sol per lo dofossa serra.
Ca, di dolore ose non stanno saode
di quei chsua terra,
di ode
le tue margode.
Che val se la sella è vvivi tuoi, e l'o
Iustinïano,
s'alcuna parten gran tempesta' anima gentil lce suon de la
province, ma bAhi serva Italierca, misera, itello, nave sa,
non donna di vergontorno da le prfu così presta,
Terzine di versi endecasillabi in disordine
di fare al cittadin suo quivi festa;
Quell' anima gentil fu così presta,
Che val perché ti racconciasse il freno
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro e una fossa serra.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
Iustinïano, se la sella è vòta?
Sanz' esso fora la vergogna meno.
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
Cerca, misera, intorno da le prode
e ora in te non stanno sanza guerra
s'alcuna parte in te di pace gode.
non donna di province, ma bordello!
Terzine incatenate di versi endecasillabi
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
Quell' anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro e una fossa serra.
Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s'alcuna parte in te di pace gode.
Che val perché ti racconciasse il freno
Iustinïano, se la sella è vòta?
Sanz' esso fora la vergogna meno.
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La sostanza prende forma. Il significato riposa sulla sintassi.
Con il primo esperimento (frammenti di 5 caratteri in disordine) la sostanza non viene sconvolta ma la forma, o meglio la sua assenza, ne impedisce la lettura.
Con il secondo esperimento (frammenti di 15 caratteri in disordine) si intuisce qualcosa ma ancora non ne afferriamo il senso.
Con il terzo esperimento (terzine di versi endecasillabi in disordine) la sostanza si mostra e abbiamo chiaro di cosa stiamo parlando ma è solo con il quarto "esperimento" che la maestà della poesia si mostra in tutta la sua potenza. E' un pezzo del VI canto del Purgatorio della Divina Commedia e dubito che qualche cretino, dopo aver letto questo, possa ritornare al primo esperimento invocando la priorità della sostanza sulla forma, ma faccio male a dubitare perchè qualcuno pronto a farlo si trova sempre.
La poesia o la letteratura in generale o, ancora di più, qualunque espressione artistica non sono il solo ambito del pensiero in cui la forma è sostanza, si potrebbe dire la stessa cosa della biologia e delle forme dell'evoluzione (quelle che ammiriamo per bellezza quanto quelle che suscitano orrore), della chimica e delle formule, del diritto o, più estesamente, della democrazia e delle procedure. Per la verità credo siano davvero pochi i casi in cui si possa separare forma e sostanza se dobbiamo considerare seriamente questi due rovesci di medaglia senza un dritto. Salvo usare il termine 'forma' nell'accezione idiota che la contrappone al termine 'sostanza', usato in maniera altrettanto idiota.
In questo mio gioco tra forma e sostanza avrei potuto considerare la Gioconda e pensare che la sua sostanza era già tutta nella tavolozza di colori di Leonardo, oppure avrei potuto pensare alla Pietà Rondanini e a Michelangelo che già la vedeva nascosta nella roccia.
Ho preso 5 terzine di Dante, le ho frammentate in vari modi e ne ho mescolato i frammenti. Quando i frammenti sono piccoli il senso si perde ma resta in quei frammenti, avessi mescolato le singole lettere la sostanza di quei versi sarebbe restata lì, eppure non sarebbe stata accessibile a nessuno. Grosso modo mi pare sia quello che sta avvenendo in Italia con lo stravolgimento delle regole del diritto che da strumento di garanzia per tutti e sempre diventa strumento di prevaricazione per qualcuno e in qualche circostanza.
Il paragone tra i versi di Dante ed il diritto può sembrare disonesto perché i versi del poeta sono qualcosa di compiuto mentre è vero che il diritto è un processo in continuo divenire ma la domanda resta la stessa. Qual è il punto di rottura del diritto in un dato momento storico perché il suo senso non sia più accessibile? Qual è la dimensione dei frammenti che ci permetterà di comprendere ancora di cosa stiamo parlando?
Un noto sobillatore di popolo il 24 marzo del 1821 annotava tra i suoi appunti "Se noi dobbiamo risvegliarci una volta, e riprendere lo spirito di nazione, il primo nostro moto dev'essere, non la superbia nè la stima delle nostre cose presenti, ma la vergogna. E questa ci deve spronare a cangiare strada del tutto e rinnovellare ogni cosa. Senza ciò non faremo mai nulla." Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri (pp. 865-866).
martedì 9 marzo 2010
Interpretazioni
"Il serpente che non può cambiare pelle muore. Lo stesso accade agli spiriti ai quali s'impedisce di cambiare opinione: cessano di essere spiriti." F.W. Nietzsche, Aurora.
Del precedente post si sarebbe detto l'ultimo ma poi è intervenuta una clausola interpretativa! Si potrebbe dire che riprendo a scrivere su questo blog per un cambiamento di opinione ma proprio l'essermi affidato a Nietzsche, che di interpretazioni se ne intendeva, ne fa appunto una interpretazione di quanto precedentemente affermato!
"Contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni: «ci sono soltanto fatti», direi: no, proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni." F.W. Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887.
Nietzsche afferma che "noi non possiamo constatare alcun fatto «in sé»". In altre parole, non è possibile prescindere dall’elemento valutativo dei fenomeni nel loro accadere, il fatto accade per sé ma ci raggiunge perché c’è una valutazione, il fatto senza valutazione (fatto in sé) non esiste (per noi). Non è il fatto ad essere negato ma la constatazione del fatto senza valutazione. Che un grave lasciato ad una certa altezza in un sistema gravitazionale cada non si possono avere dubbi, ma non si possono avere dubbi neanche sul fatto che il nostro sistema percettivo deve essere predisposto ad una valutazione di alto e basso per poterlo osservare. Da questo a dire che la caduta sia buona o cattiva, la cosa si arricchisce (o si impoverisce) di una valutazione morale e si complica ulteriormente. In definitiva il fatto (per noi) ha sempre una valenza che può toccare aspetti morali ma il fatto morale è e resta un ossimoro. Il fatto morale è una valutazione, per cui è chiaro che non si tratta più di un fatto.
Fuor di dubbio che alcune interpretazioni, come dice Umberto Eco, cozzano con lo "zoccolo duro" che i fatti sono soliti porre e che altre siano ben oltre il limite della decenza. Ma anche questa è un'interpretazione!
Del precedente post si sarebbe detto l'ultimo ma poi è intervenuta una clausola interpretativa! Si potrebbe dire che riprendo a scrivere su questo blog per un cambiamento di opinione ma proprio l'essermi affidato a Nietzsche, che di interpretazioni se ne intendeva, ne fa appunto una interpretazione di quanto precedentemente affermato!
"Contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni: «ci sono soltanto fatti», direi: no, proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni." F.W. Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887.
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Nietzsche afferma che "noi non possiamo constatare alcun fatto «in sé»". In altre parole, non è possibile prescindere dall’elemento valutativo dei fenomeni nel loro accadere, il fatto accade per sé ma ci raggiunge perché c’è una valutazione, il fatto senza valutazione (fatto in sé) non esiste (per noi). Non è il fatto ad essere negato ma la constatazione del fatto senza valutazione. Che un grave lasciato ad una certa altezza in un sistema gravitazionale cada non si possono avere dubbi, ma non si possono avere dubbi neanche sul fatto che il nostro sistema percettivo deve essere predisposto ad una valutazione di alto e basso per poterlo osservare. Da questo a dire che la caduta sia buona o cattiva, la cosa si arricchisce (o si impoverisce) di una valutazione morale e si complica ulteriormente. In definitiva il fatto (per noi) ha sempre una valenza che può toccare aspetti morali ma il fatto morale è e resta un ossimoro. Il fatto morale è una valutazione, per cui è chiaro che non si tratta più di un fatto.
Fuor di dubbio che alcune interpretazioni, come dice Umberto Eco, cozzano con lo "zoccolo duro" che i fatti sono soliti porre e che altre siano ben oltre il limite della decenza. Ma anche questa è un'interpretazione!