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venerdì 18 dicembre 2009

Dodici mesi

Sono quasi dodici mesi che prendo un po' di spazio nella rete con questo blog. Mi sono divertito ad 'abitare' questo strano posto, dove mi pare che il 'monologo collettivo' di cui parla Umberto Galimberti in Psiche e Techne trova il suo pieno compimento.
Non è il mio mondo, di solito amo dialogare guardando in viso i miei interlocutori e scrivere per un blog senza uno scambio non è che un esercizio, forse utile a fissare bene le idee, a tentare di renderle chiare anche a sé stessi ma questo posso tranquillamente farlo senza l'illusione di una connessione che tra l'altro, devo ammettere onestamente, non sono capace di attivare.
Tutto sommato sono contento di aver tenuto questa sorta di diario, anche se ancora non mi è chiaro il motivo.
Grazie ai pochi lettori, sicuramente meno di venticinque!

mercoledì 16 dicembre 2009

Il clima

Qualche giorno fa Berlusconi è stato seriamente ferito al volto dal lancio di un oggetto da parte di un uomo che sembra soffrire di turbe psichiche. Gesto detestabile, certo. Gesto da condannare, senza ombra del minimo dubbio. Tralasciando ogni tentativo di strumentalizzazione politica del gesto di un folle, sulla quale sono già in molti ad esercitarsi, resta valida la riflessione sul cosiddetto ‘clima’ che ha fatto da contesto a questa drammatica vicenda. Riflessione necessaria non per il fatto in sé ma perché il vero rischio da scongiurare è che il gesto isolato di un folle trovi terreno nel tessuto sociale arrivando a far parte dello ‘strumentario’ della politica, facendo perdere a questo Paese quello che di civile gli è rimasto e facendolo ritornare indietro nel tempo, decisamente più indietro di quanto già non sia.

Il clima si diceva. Il clima è quello di una trasmissione televisiva chiassosa dove partecipano urlatori di professione, gente addestrata ad interrompere i propri interlocutori, abituata a coprire la voce degli altri, maleducati in giacca e cravatta che fanno dello sberleffo delle opinioni altrui uno stile di vita. Il clima è quello dello svilimento dei poteri dello Stato, di chi dice che il Presidente della Repubblica dorme e di chi dice che ha dato assicurazione di influire sulle decisioni della Corte Costituzionale, delle leggi fatte troppo in fretta e per scopi personali, dello scontro tra le istituzioni, il clima di chi ignora che un paese si governa sub lege e che il consenso popolare non è il nulla osta a qualsiasi azione legislativa. E’ il clima del culto della personalità, dell’insulto agli oppositori politici, di chi arringa un teatro contro una “elite di merda” e dice che “vada a morire ammazzata la sinistra che prepara il colpo di stato”, è il clima di chi infanga la pubblica amministrazione per ricevere facili applausi, è il clima del linguaggio svilito dei suoi criteri di verificabilità, delle regole comuni vilipese e violentate, della cosa pubblica denigrata al servizio della cosa privata, delle minoranze offese e del razzismo strisciante, il clima di chi porta a spasso un maiale nei luoghi destinati alla costruzione di una moschea, di chi inaugura un presepe e lo usa come una clava ideologica nei confronti delle altre culture. E’ il clima di chi concepisce la parola Imam come un’accusa da rivolgere ad un vescovo che invoca il rispetto delle altre religioni, di chi festeggia il “White Christmas” cacciando via gli immigrati e di chi usa la bandiera italiana per “pulirsi il culo”. Il clima è quello dell’incompetenza che crea mostri giuridici che puniscono lo status di clandestinità invece dell’azione di reato, di chi ignora i principi fondamentali della Carta Costituzionale e scrive leggi ignobili che non possono passare il vaglio della Consulta, è il clima di chi accusa il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale di parteggiare per una parte politica. Il clima è quello di chi consiglia le stampelle ad una centenaria, di chi dice che le persone di questo paese sono “coglioni” se votano per l’altra parte politica, è il clima di chi stappa spumante e si ingozza di mortadella sugli scranni del Parlamento, di chi dice che le persone “possono morire” purché si lasci il crocifisso nelle scuole, è il clima di chi è disposto a far saltare centomila processi pur di fermare quelli a proprio carico. E’ il clima di chi pensa che il potere permette di fare tutto e garantisce l’immunità per ogni propria azione, di chi paragona lo Stato ad una azienda e di chi offende i colleghi europei chiamandoli kapò. E’ il clima di chi pubblica in prima pagina la parola “minchiate”, di chi cerca il bagno di folla per la propria esaltazione, di chi dice che i giudici sono “persone mentalmente disturbate”, di chi ha emesso un editto bulgaro per poi negarlo infangando la memoria di un defunto, di chi dice che la mafia è un fenomeno contenuto in nome del made in Italy. Il clima è quello della volgarità di chi fa della virilità e del giovanilismo la propria cifra stilistica e del gallismo il vessillo del proprio pensiero, di chi abusa degli strumenti legislativi d’urgenza e svilisce il dibattito parlamentare con la fiducia pur disponendo di una solida maggioranza. Il clima è quello di chi disegna biancheria intima ai consessi europei e usa il palco internazionale per accusare i garanti della Costituzione di intralciare il governo del Paese. Il clima è quello dei complimenti del capo del Governo italiano ai dittatori degli altri paesi, degli incidenti diplomatici con il re di Giordania per superficialità e maleducazione, è il clima delle ronde di esaltati e della polizia senza benzina nelle auto, degli straordinari non pagati a poliziotti e carabinieri, dei condoni edilizi e delle sanatorie fiscali, della scuola pubblica defraudata del suo ruolo pedagogico a favore della scuola privata, di una giustizia offesa e disarmata, delle prescrizioni sbandierate per assoluzioni e della paura svenduta per sicurezza, è il clima di chi usa questo drammatico evento per zittire l’opposizione e il dissenso, per prolungare lo scudo fiscale, è il clima degli imbecilli che sul web inneggiano al feritore e che invocano la morte di Berlusconi. E’ il clima di un linguaggio avvilito e violentato che ha dimenticato i suoi contenuti e la sua forma trasformando la dialettica politica in zuffa da pollaio e la partecipazione democratica in scontro tra tifoserie.
Non sarà con le finanziarie che si potrà risanare questo clima e se il clima conta per quello che è successo a Milano, Berlusconi ne è artefice e vittima. Il clima non giustifica un gesto violento ma ne costituisce la cornice e, come si dice dalle mie parti, se semini vento raccoglierai tempesta.

In questo clima, pur senza fare abuso della parola ‘solidarietà’, ripeto con fermezza la mia condanna per il gesto violento e auguro a Berlusconi che guarisca presto e completamente ma soprattutto auguro che questo paese prenda in cura un linguaggio offeso e morente e ricordi almeno le regole basilari dell’educazione e del confronto politico. Per questo mi auguro anche che Berlusconi si dimetta, perché lo ritengo privo del minimo senso dello Stato necessario per ricoprire il ruolo di capo del Governo e perché lo ritengo incapace di creare un clima di serenità in cui governare nel rispetto delle regole costituzionali. Ma che si dimetta o no, questo paese potrà uscire dal cosiddetto berlusconismo solo percorrendo le strade che rispettano le regole fondamentali della democrazia, strade lente, polverose, strade faticose in cui poter sostare ai bordi per guardare bene il paesaggio.
Non ci sono altre strade.

martedì 15 dicembre 2009

Indovinello triste

Se guardi indietro ne hai uno di più, se guardi avanti ne hai uno di meno.

***

Quando hai guardato indietro abbastanza a lungo e l'arte della rimozione ti ha preso la mano, non resta che guardare avanti.

mercoledì 9 dicembre 2009

Delle cose inutili

"L'unico comportamento degno di un uomo superiore è la persistenza tenace di un'attività che si riconosce inutile, l'abitudine ad una disciplina sterile, l'uso fisso di norme del pensiero filosofico e metafisico che comprendiamo non essere di alcuna importanza." Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine, pensiero n. 86.

A questo punto dovrei scrivere delle cose inutili e di come l'utilità rivesta le cose o le nostre attività con il tempo. Dovrei scrivere come l'utilità, lungi dall'essere intrinseca alle cose, sia il risultato dell'investitura di un sistema culturale che a sua volta può essere del tutto inutile, come il post che avrei scritto del resto, e come tutti i miei precedenti, e i miei successivi.
Tanto vale fermarsi all'esergo.

Fernando Pessoa

martedì 8 dicembre 2009

Te piace o' presepe?

Bello il presepio, con il bue, l'asinello e la stella cometa. Lontano arrivano i re magi e tutto intorno pastori e greggi. Tutto è pronto per l'adorazione, giorno dopo giorno i pastori si spostano verso la capanna, la musica di sottofondo rende lieti i cuori e fa sentire tutti più buoni, quando saremo prossimi al natale un'ordinanza comunale stabilirà lo sfratto degli occupanti, salvo che non si tratti di inermi pupazzi che si possono spostare a piacimento su un paesaggio di cartapesta per ricordare le radici della nostra cultura! Una cultura di cartapesta.

***

Letizia Moratti inaugura il presepe di Palazzo Marino insieme a Bossi, ospite d'onore Erode dopo la firma del trattato per evitare eccidi nel suolo patrio, i disperati si mandano a morire altrove per non disturbare le festività.

giovedì 3 dicembre 2009

La ciabatta intelligente

L’altra sera ho fatto un discorsetto al mio dito indice. Gli ho detto: “Tu non mi capisci più, non c’è intesa tra noi, un tempo ci capivamo di più.” Lui voleva dire qualcosa, lo intuivo, ma non è riuscito a dire nulla, forse umiliato dalla mia decisione di prendere di petto la situazione che stavo rimandando ormai da troppo tempo. Il mio atteggiamento era deciso e quel suo silenzio non mi avrebbe impedito di arrivare fino in fondo alla mia decisione. Inoltre, mi irritava non ricevere alcuna risposta alle mie esortazioni e, mi rendo conto, sono diventato particolarmente duro quando gli ho gettato in faccia che dopotutto il dito più importante della mano era in pollice, per via di quella sua opponibilità. Alla fine gliel’ho detto: “Comprerò una ciabatta, una di quelle ‘ciabatte intelligenti’ che sanno quando è arrivato il momento di agire e fanno il loro dovere senza porsi troppi problemi e soprattutto senza chiedere alcun impegno. Fanno tutto loro, si prendono le loro responsabilità e non c’è bisogno di ricordargli nulla, non sono come te che premi l’interruttore solo se te lo ricordo io!” Lui voleva dire che poteva fare molte altre cose che le ciabatte non possono fare ma di fronte alla mia osservazione che quello che poteva fare dipendeva comunque dalla mia volontà, a differenza delle ciabatte intelligenti, non ha saputo opporre alcuna argomentazione. Il dado era ormai tratto, la rottura tra me e il mio dito era definitiva.
Il giorno dopo ho comprato la ciabatta intelligente ed ho collegato alle sue prese le spine dei miei apparecchi: il televisore, il digitale terrestre, il lettore dei DVD. Meravigliosa! Un prodigio della tecnica, la ciabatta capiva subito quando uno strumento era spento e toglieva la corrente a quelle fastidiose luci dello stand-by. Non era come le vecchie ciabatte che toccava staccare la spina o al massimo avevano un interruttore su cui il mio dito si esercitava se glielo ricordavo io. La nuova ciabatta invece era davvero sorprendente. Appena spegnevo qualcosa, lei aspettava qualche secondo per sincerarsi della mia decisione di non voler riaccendere l’apparecchio e poi lo spegneva definitivamente. Mi avevano parlato di queste ciabatte intelligenti, ti faranno risparmiare un mucchio di soldi, mi avevano detto. E’ vero, non bisogna sottovalutare la corrente che va via con quelle diaboliche luci di stand-by. Inoltre, le ciabatte intelligenti non sono neanche costose, il loro costo si ripaga con il risparmio in elettricità in appena due o tre anni. La mia ciabatta intelligente mi ha soddisfatto così tanto che poi ne ho comprata un’altra e l’ho collegata allo stereo ed al computer. Era davvero rassicurante sapere che loro avrebbero pensato al mio risparmio.
Il mio dito era visibilmente risentito della mia soddisfazione per le ciabatte intelligenti e a malapena nascondeva la gelosia nei confronti di questi meravigliosi strumenti del progresso. Quando gli ho comunicato che volevo mettere i rilevatori di presenza per l’accensione delle luci in casa e i temporizzatori ha avuto un cedimento, non avrebbe più avuto interruttori da premere, non si sarebbe più occupato dello spegnimento delle luci. E’ stato un duro colpo per lui. La verità è che il mio dito è davvero primitivo, non riesce proprio ad apprezzare le meraviglie della tecnica! Mi hanno assicurato che un giorno ci saranno ciabatte superintelligenti che si occuperanno anche dell’accensione degli apparecchi, capiranno cosa vuoi fare e loro avvieranno l’apparecchio giusto, quel giorno i computer non avranno più bisogno dei mouse e quindi taglierò il mio vecchio dito indice.

***

Pochi giorni fa ho letto un documento che parlava di questi prodigiosi strumenti per la casa del futuro, per il risparmio e l’efficienza energetica. Inutile dire che non ho nulla in contrario al risparmio o all’efficienza nell’uso dell’energia, anzi. Quello che mi fa paura è un futuro in cui delegheremo l’intelligenza ad apparecchietti che si occuperanno di noi, non per necessità ma per la nostra pigrizia.
Per superare l’orrore di solito faccio uso di droghe molto potenti!



La voce è di Eugenio Montale.

martedì 1 dicembre 2009

Il di cui del barista

Sarà sicuramente capitato di andare al bar con degli amici e chiedere più di un caffè di diverso tipo. In questi casi è di fondamentale importanza il corretto uso del “di cui” del barista. Se, volendo tre caffè, si chiedono al barista “tre caffè, uno macchiato, uno ristretto”, è quasi certo che nella sua mente si disegneranno cinque tazzine, che senza il nostro intervento si materializzeranno sul bancone con nostro enorme stupore. Per evitare lo spiacevole disguido è necessario utilizzare con severa diligenza il “di cui” del barista, pronunciando “tre caffè, di cui uno macchiato e uno ristretto”. A prima vista la cosa può sembrare banale e di scarso significato, tuttavia ad una attenta riflessione è rivelatrice della rigorosa struttura linguistica del barista che applica basilari nozioni di insiemistica. In effetti, la richiesta “tre caffè, uno macchiato, uno ristretto” con la sua asettica elencazione non può che corrispondere a cinque caffè, mentre la formulazione “tre caffè, di cui uno macchiato e uno ristretto”, anteponendo l’intero ai sui attributi è chiaramente indicatrice di tre caffè, sia pure distinti in tipologie differenti. Secondo la corretta enunciazione l’intero non è revocato in dubbio dai suoi accidenti.
Sono convinto che un periodo di apprendistato presso un barista qualsiasi potrebbe far molto bene al discorso sui diritti civili e sui cosiddetti temi “eticamente sensibili”.

PS - Ho scritto queste righe qualche anno fa, nel 2005 se non ricordo male, nonostante sia passato un po' di tempo penso che il consiglio di apprendistato presso un barista conservi ancora la sua validità per chiunque si accinga a discutere del tema dei diritti nell'eterogenea comunità umana.

lunedì 30 novembre 2009

Un anello mancante al CNR

L'ultimo rantolo, in ordine di tempo, del creazionismo in Italia è addirittura del vicepresidente del CNR Roberto De Mattei, con il libro da lui curato "Evoluzionismo: il tramonto di un'ipotesi". Questo sì che è un paese votato alla scienza e alla ricerca!

Una volta un creazionista disse che l'insormontabile problema della teoria evolutiva è rappresentato dai cosiddetti anelli mancanti tra l'uomo e la scimmia, poi sollecitato dagli scienziati evoluzionisti di fronte alla scoperta dei fossili di pitecantropo il creazionista sostenne che se prima l'anello mancante era uno da quel momento in poi sarebbero stati due![1]

Il revival di Zenone è già divertente di suo ma quello che mi lascia davvero perplesso è tutta l'energia e la passione che i paleontologi spendono per cercare i cosiddetti anelli mancanti[2] tra i fossili quando ve ne è una tale disponibilità di vivi e quasi vegeti che davvero l'immane sforzo può sembrare incomprensibile!


[1] S. Jones, Scienza darwiniana e fantascienza biblica. MicroMega, 1/2006, p. 133.
[2] Prove dell'evoluzione ce n'è talmente tante che solo chi ha gravi difficoltà a disporre del linguaggio scientifico
può dire di non vederle. L'evoluzionismo non è faccenda in cui credere o meno, l'evoluzionismo di stampo darwiniano e tutti i suoi innumerevoli sviluppi e consolidamenti si conoscono o non si conoscono. Se l'argomento ti interessa consiglio la lettura di Sean. B. Carroll, Al di là di ogni ragionevole dubbio. La teoria dell'evoluzione alla prova dell'esperienza. Codice Ed., 2008.

sabato 28 novembre 2009

L'undicesima domanda

Disperatamente cercasi maggioranza parlamentare pron(t)a a salvare presidente del consiglio da deliberate aggressioni della magistratura che indaga sulla stagione delle stragi del '92 e sui mandanti occulti di quelle stragi.
Il presidente protempore avrebbe pronunciato il 9 settembre scorso: «So che ci sono fermenti in procura, a Palermo e a Milano, si ricominciano a guardare i fatti del ' 93, del' 94 e del ' 92. Mi fa male che queste persone, con i soldi di tutti, facciano cose cospirando contro di noi, che lavoriamo per il bene del Paese».
Perché mai un Presidente del Consiglio dovrebbe essere così tanto agitato per la ripresa delle indagini sui fatti di mafia del '92, e soprattutto per quale motivo dovrebbe temere che ci possa essere una qualche connessione tra lui e quei fatti?

giovedì 26 novembre 2009

Interrogazioni e domande

Si preannuncia un'interrogazione parlamentare per i cori razzisti al calciatore Balotelli. Immagino che a rispondere sia chiamato il ministro Maroni. Chissà, magari sta già studiando una risposta insieme al sindaco di Coccaglio.
***
Gridavano che "un negro non può essere italiano" questi deficienti.
Un coglione può essere italiano purché sia bianco?

martedì 24 novembre 2009

Appelli al vento

23 novembre 2009 - "Investire nella ricerca e nell'innovazione è una necessità che non dovrebbe avere molto bisogno di essere sottolineata, tanto è evidente il fatto che qui ci giochiamo il nostro futuro", il Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano.

24 novembre 2009 - Un gruppo di ricercatori che lavorano in ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) da molti anni in condizioni di precariato sono saliti sul tetto della sede di via Casalotti a Roma per protestare contro il piano di licenziamenti. L'ente ha già licenziato 200 precari storici e si appresta a licenziarne altri 250, ovvero il 40% del personale e la quasi totalità dei lavoratori giovani dell'ente.


La misura viene da sola

Eraclitosecondo misura si accende e secondo misura si spegne”.


Recentemente è stato pubblicato il rapporto "Measurement of Economic Performance and Social Progress" commissionato dal presidente francese Sarkozy ad un gruppo di autorevolissimi personaggi, soprattutto economisti ma anche psicologi e filosofi della politica.
I classici strumenti di misura delle performance economiche, come il PIL, sono considerati insufficienti o fuorvianti da tempo e da molti e scopo della commissione di esperti, coordinati da Joseph E. Stiglitz, Amartya Sen e Jean-Paul Fitoussi, è individuare strumenti di misura più idonei alla valutazione del benessere che, come è noto, non dipende soltanto dalle condizioni materiali.

Questo rapporto, uscito a settembre scorso, sta già animando diversi dibattiti ed è sicuramente destinato a segnare una pietra miliare nel discorso sul cosiddetto sviluppo sostenibile perché focalizza l’attenzione su quelle dimensioni cosiddette “soggettive” (psicologiche ed emozionali) fino ad ora trascurate da un sistema culturale che si concentra sulle dimensioni considerate “oggettive”. Sarebbe interessante stabilire quali siano i criteri di 'oggettivazione', ovvero come le cose cui, da soggetti, assegniamo valore diventino oggetto. Insomma, diciamo che la distinzione mi sta abbastanza stretta, ma non è il caso di approfondire, giusto una breve nota in fondo.

Nel rapporto, come il titolo stesso lascia intendere, si passano in rassegna diversi strumenti di misura del progresso, considerandone le dimensioni economiche, ambientali e sociali. Non è argomento nuovo, si parla di sostenibilità ambientale da tanto tempo e la sua connessione con il concetto di sviluppo economico – tutto dedicato alla crescita - è nota da altrettanto tempo. Quale sia stata l’applicazione concreta di queste critiche lo sappiamo tutti, la crisi economica in corso, risultato dell'overdose neo-liberista, ne è un esempio. Può darsi che proprio l’attuale contingenza storica porti a comprendere la portata pratica di queste idee, chissà. Non mancano gli elementi che potrebbero spingere verso un mutamento del paradigma economico della crescita quantitativa - i tempi sono maturi, si dice nel rapporto - ma al riguardo mi concedo il pessimismo della ragione e l'ottimismo della speranza di gramsciana memoria, perché il paradigma da cambiare ha solide radici nel principio di accumulazione originaria (Marx, nel I libro del Capitale, lo chiamava il peccato originale dell’economia politica) che la dimensione globale del nostro sviluppo acuisce a dismisura.

Il rapporto della commissione istituita da Sarkozy è, a mio giudizio, estremamente debole dal punto di vista ambientale, poiché sembra mettere tra parentesi la finitezza delle risorse ambientali. Inoltre, trattandosi di un lavoro scritto da insigni economisti, è sorprendente che non sia neanche citato Georgescu-Roegen che mise in discussione le basi dell'economia riscrivendola in chiave ecologica. Indipendentemente da queste pecche che possono essere considerate il risultato di una mediazione in una compagine di autori molto composita, il rapporto ha il pregio di rivolgere l'attenzione agli aspetti che definisce soggettivi, ovvero al sistema di preferenze che i soggetti esprimono nel loro vivere quotidiano e riconosce la necessità di considerare tali aspetti nella valutazione del benessere umano. Per questo motivo, e per l’autorevolezza dei suoi autori, il rapporto può rappresentare un passo decisivo nello sviluppo di un modo diverso di concepire l’economia e il benessere, che non sia solo limitato al godimento dei beni materiali, considerati oggettivi.

Il termometro del PIL non è un buon termometro, allora dobbiamo cercare altri termometri. Vero! ma non è solo cambiando il termometro che la febbre passerà. Certo, sapere che la nostra temperatura è prossima ai 42° è sicuramente una spinta maggiore a prendere provvedimenti anziché sapere che è di 37°, ma se non disponiamo di antibiotici e di un letto caldo la febbre non passerà.

Benvengano nuovi indicatori e nuovi termometri ma bisogna soprattutto disegnare il futuro ricordando cosa davvero desideriamo, ridando dignità e senso a quelle valutazioni soggettive che l'economia attuale ignora (non le ignorava alla sua origine, ascolta Stefano Zamagni). Il discorso dell'oggettivazione è centrale a mio avviso; un'economia che si occupa solo di parametri oggettivi è inadeguata per studiare le comunità umane, dove i soggetti sono portatori i valori etici e le scelte che fanno risultano nell'ottimizzazione dell'utilità economica solo in rare occasioni. In quali contesti culturali e formativi qualcosa diventa oggettivo? In quali condizioni si dimentica che qualcosa che è fondamentale per il benessere non è da valutare perché è soggettiva? Bisogna rispondere a queste domande e cambiare quelle condizioni, tanto oggettive quanto assurde.
Per fare questo è necessario considerare una dimensione progettuale che ridisegni il nostro contesto socio economico, i nuovi indicatori daranno la misura dell’efficacia del nuovo disegno, altrimenti gli indicatori resteranno soltanto un nuovo termometro, bello, preciso, ma inutile. Disegnare il futuro è compito della politica (sic!), intesa come tecnica sociale di organizzazione delle attività umane. Non sono sicuro che l'uomo possa essere capace di ‘scegliere’ a scala globale un paradigma diverso dell’attuale economia, un paradigma che inglobi gli aspetti etici, come Amartya Sen auspica. E’ tristemente interessante notare come molti aspetti di uno sviluppo economico che riteniamo a misura d’uomo trovino espressione a scala locale e perdano forza passando alla scala globale. Ho una mia teoria al riguardo, fatte salve rare e pregevoli eccezioni fondamentalmente l’uomo è ancora un animale a piccola scala e le ‘prove tecniche’ di globalizzazione rivelano la sua inadeguatezza ad una dimensione globale. Riflettendoci attentamente ci accorgiamo che in termini economici è l’individuo isolato ad aver assunto una dimensione globale, un bel non sense!

Data la lunga storia del concetto di sviluppo sostenibile, le innumerevoli controversie al riguardo e sostanzialmente lo scollamento tra economia reale e quella auspicata, non è illegittimo un prudente scetticismo sulla capacità di questo nuovo rapporto di incidere sull’economia del futuro. Considerando il quadro politico attuale e gli indirizzi programmatici in tema economico ed ambientale dei diversi partiti (a destra e a sinistra giocano a chi è più liberista!) non si vedono discorsi che facciano pensare ad un punto di svolta, neanche con l’attuale crisi in corso, neanche con la buona volontà di guardare oltreoceano all’America di Obama. Al di là dei correttivi auspicati al vecchio sistema economico non mi pare di sentire molti distinguo riguardo alla ripresa del PIL trimestrale degli USA. Se il PIL cresce sono tutti felici e quindi tra chi ha dato e chi ha avuto “scurdammoce o passato” diceva una canzone napoletana!

La domanda è sempre la stessa: che fare? Gli strumenti di misura ci sono, quello che manca è la misura. Ma, come diceva mio nonno, se non c'è prima o poi arriverà da sola.

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Il termine ‘misura’ può essere declinato in diversi modi. Può essere declinato in termini di misurazione di una grandezza ma può essere declinato anche in termini di soglia, di limite. Le due declinazioni si intrecciano tra loro perché entrambe implicano un raffronto con una ‘norma’ o una ‘unità’ di qualche tipo, ma spesso il loro intreccio è oggetto di rimozione. Eppure se non si riconosce la fondamentale differenza tra le diverse accezioni del termine ‘misura’ non potremmo concepire espressioni come ‘la misura è colma’, ‘oltrepassare la misura’, oppure un’espressione che mi è molto cara perché era solito ripeterla mio nonno: “La misura se non ce l’hai viene da sola”. In definitiva, nell’accezione squisitamente tecnica la misura è un atto, un procedimento. Nell’accezione che potremmo dire morale è qualcosa di sostantivo. Nonostante questo si assiste al paradosso che l’atto della misurazione è abbastanza facile da comprendere, si dice abbia criteri ‘oggettivi’, mentre la misura in senso morale è molto più difficile perché di natura ‘soggettiva’. Tutti sappiamo che le cosiddette misure oggettive non sono prive di inganni o di errori, poiché anche l’atto della misurazione non può essere immune dal sistema valoriale in cui si è sviluppato, pertanto la sua oggettività risiede tutta nel rivolgersi ad oggetti, ma degli oggetti che ci circondano ne selezioniamo alcuni e ne trascuriamo altri, quindi il blasonato concetto di oggettività implode sul soggetto che lo formula e quello che resta è una condivisione più o meno consapevole dell’attenzione rivolta agli oggetti. Tornando alle dimensioni soggettive che sfuggono all’attuale valutazione economica è abbastanza strano che la gente quando parla delle sue esigenze più profonde parla di quelle cose considerate ‘soggettive’ che non sarebbero valutabili, eppure le valuta eccome, nel senso che vi è assegnazione di valore, solo che quel valore non potrà mai essere oggetto di scambio.

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Buona parte della filosofia oggi rivolge la sua attenzione prevalentemente verso l’essente finito. L’economia, giocattolo per pigri, sospesa tra scienza e prassi, è rimasta l’unica disciplina erede di una certa teologia che guarda verso l’infinito. Il mito della crescita illimitata rappresenta la forma più misera di infinito che sia riuscita a concepire e coltivare. “La parola crescita è una parola perversa. Gli economisti hanno preso in prestito le parole crescita e sviluppo dalla biologia e hanno utilizzato la metafora dell’organismo naturale per spiegare la struttura economica. Hanno però dimenticato di utilizzare l’analogia fino in fondo: in natura gli organismi crescono, si sviluppano, poi iniziano il declino e finalmente muoiono. Gli economisti invece hanno inventato l’immortalità per l’organismo economico. Ma una crescita infinita in un pianeta finito è impossibile.” (Serge Latouche, L’economia a dismisura d’uomo, Micromega, 6/2006).
La religione degli uomini doveva pur trovare asilo da qualche parte! Forse il lavoro di Stiglitz, Sen e Fitoussi tenta di riportare l'economia tra le cose terrene.

mercoledì 18 novembre 2009

Le statistiche dei polli

I morti sul lavoro sono diminuiti nel primo semetre 2009 rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente e il ministro Sacconi, con opportuna cautela, saluta la buona notizia perché indica l'auspicata applicazione delle norme sulla sicurezza del lavoro. E avrebbe pure ragione a salutarla, se fosse vera! Il problema è che, oltre all'influenza A, gira da tempo anche la ‘sindrome del pollo’ che colpisce fondamentalmente elaboratori di dati e ministri disattenti e da questo centro di incubazione il contagio si estende alla popolazione. Se si fosse immuni dalla devastante sindrome che riduce al minimo la capacità di analisi numerica si capirebbe subito che la percentuale di morti in un anno, se calcolata in base ai morti dell’anno precedente, risente del numero di persone effettivamente al lavoro (tra l'altro a poco valgono i confronti con il dato occupazionale comunicato da ISTAT per il primo semestre 2009 perché in quest'ultimo sono compresi i cassintegrati, che risultano tra i lavoratori ma di fatto non lavorano!). Se invece ogni anno si calcolasse la percentuale di morti rispetto al numero effettivo di occupati e si seguisse questa grandezza negli anni forse rimarrebbero pochi motivi per rallegrarsi.

La stessa INAIL riporta un po' di numeri per fare qualche considerazione: "Nel primo semestre del 2009 gli infortuni sul lavoro sono stati 397.980 contro i 444.958 del primo semestre 2008, mentre i casi mortali sono stati 490 a fronte dei 558 dello stesso periodo dell'anno precedente." pari ad una diminuzione del 10,6% di incidenti complessivi e del 12,2% di casi mortali. Sono questi i dati che comunica INAIL e che secondo l'Istituto è "soltanto parzialmente imputabile agli effetti della recessione economica."
Vogliamo crederci, ma perché non fornire anche il numero dei lavoratori per ciascun anno? Inoltre, sarebbe interessante sapere, oltre al dato nazionale, anche i dati di incidentalità e mortalità, così come io propongo, per ciascun settore produttivo. In questo modo qualcuno potrebbe farsi due conti della serva e trovare qualche spiacevole sorpresa.

Se non si può pretendere che ogni media sia accompagnata da opportuno indice di variabilità tra i diversi settori (cosa che avrebbe risolto anche le perplessità di Trilussa, ma ai poveri elaboratori non vogliamo chiedere cose 'troppo complicate'), che almeno si facciano le percentuali correttamente. Non dovrebbe essere difficile per chi fa le statistiche ed è abituato a "calcoli di valore scientifico" (ipse dixit Marco Fabio Sartori, Presidente/Commissario straordinario INAIL)!


La Statistica

Sai ched’è la statistica? È ’na cosa
che serve pe’ fa’ un conto in generale
de la gente che nasce, che sta male,
che more, che va in carcere e che sposa.
Ma pe’ me la statistica curiosa
è dove c’entra la percentuale,
pe’ via che, lì, la media è sempre eguale
puro co’ la persona bisognosa.
Me spiego: da li conti che se fanno
secondo le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra ne le spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perché c’è un antro che ne magna due.


Trilussa

martedì 17 novembre 2009

Le radici storiche

Incredibile, c’è ancora in Italia qualcuno che quando si parla di radici storiche va davvero a controllare la storia.
E’ evidente che si tratta di un miscredente, privo del ‘fondamento trascendente’.

lunedì 16 novembre 2009

What a wonderful world!

Vertice alla FAO: “Non è possibile la sicurezza alimentare senza la sicurezza climatica.” Perché la dichiarazione non rimanesse soltanto un annuncio vuoto di contenuti è stato preparato un buffet in una sala climatizzata.

Dall'altra parte del pianeta procedono intensi gli incontri del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Nuovo corso della politica USA, quando alle parole seguono le parole.

sabato 14 novembre 2009

Esperti di umanità?

L'arcidiocesi della capitale USA ha lanciato il suo ultimatum al consiglio comunale: se riconoscerà il valore legale delle nozze tra soggetti dello stesso sesso, la Chiesa interromperà i servizi in favore di migliaia di poveri che aiuta ogni giorno. (leggi qui)
Questa notizia è ripresa dal Washington Post dell'altro ieri (12 novembre 2009).

Straordinaria mostruosità! Se pensate che il comportamento di qualcuno con cui avete una qualche relazione sia un torto nei vostri confronti, cercate un mendicante che non avete mai visto prima e dategli un calcio, mi raccomando che sia forte!
Questa sì che è carità.

giovedì 12 novembre 2009

Il governo non sta studiando

Qualche giorno fa Alfano dichiarava: "Il governo non sta studiando alcuna norma relativa alla prescrizione". Quando ascoltavo quelle parole io prendevo in parola il semiministro della giustizia e pensavo che il problema era esattamente quello, che avrebbero fatto una norma per salvare il miserabile perseguitato dai processi senza studiarla. Studiare per alcuni è tempo perso. La norma è arrivata, a firma di Gasparri, Quagliariello e Bricolo, tre noti esperti di diritto prestanome di Ghedini, il celebre giurista della "legge uguale per tutti ma non la sua applicazione". Il Ddl è stato presentato oggi al Senato. La norma si richiama alla tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi in attuazione della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Bene, il principio è sacrosanto! Il problema però è che solitamente in un processo ci sono almeno due parti in causa. Spessissimo una delle due parti è innocente e l'altra è presumibilmente colpevole. Ora, dato un certo apparato giudiziario, con le sue risorse, umane ed economiche, si ha anche un tempo tecnico per la realizzazione dei processi, in modo che la giustizia possa definire il ruolo delle parti in causa, cercando di mantenere l'equilibrio tra il principio della legittimità della difesa ed il principio della legittimità della richiesta di giustizia della parte lesa. Si dà il caso che entrambe le parti siano cittadini. Quindi se non si interviene sulle risorse dell'apparato giudiziario, conservando l'equilibrio tra i principi citati, la domanda che fa sorgere il Ddl presentato al Senato oggi, che si limita a ridurre i tempi della prescrizione è "quale cittadino intende tutelare la norma? quale delle due parti in causa?"

Provo ad azzardare un giudizio inesperto e una previsione (o un auspicio). Si tratta dell'ennesimo mostro giuridico scritto con i piedi destinato ad essere affossato dalla Corte Costituzionale perché manca del contesto affinché la struttura giudiziaria possa dare concreta applicazione al principio della 'ragionevole' durata fissata dal Ddl (2 anni per grado di giudizio). In buona sostanza, la ragionevole durata dei processi è ragionevole proprio quando si adegua ai vincoli strutturali del sistema giudiziario, non quando è fissata giusto per cancellare i reati finanziari di qualcuno. Prima di intervenire sulla ragionevole durata di un processo occorrerebbe intervenire sulle condizioni che definiscono la ragionevolezza di un termine temporale. E' il solito maquillage, non si ha la forza (né la volontà) di fare le riforme vere e si fanno le norme spot per gettare fumo negli occhi (inoltre devo ammettere che se dovessi pensare ad una rifoma del codice stradale non vorrei certo che la facesse un pirata della strada!).
Io capisco che la disperazione fa perdere i lumi della ragione, capisco anche che è più facile perderli quando la natura non ne ha fatto dono, ma per carità, addirittura dichiarare che non si sta neanche studiando per presentare una norma è francamente troppo!

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Agli incontri scuola-famiglia di un tempo, non so se oggi si usano più, in qualche occasione il docente diceva alla madre desiderosa di sapere del profitto scolastico del proprio pupillo: "Il ragazzo si impegna ma non raggiunge i risultati desiderati." Spesso era un modo educato per dire: "Signora, suo figlio è un caprone, qui ce la stiamo mettendo proprio tutta ma non vediamo molte speranze di riuscita." Era una questione di stile!

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Parlare delle iniziative ad personam o delle immoralità di questo Governo è un insozzamento del pensiero, ma parlarne significa tentare di evitare di cadere ancora di più nel sozzume e nella barbarie. A volte è inevitabile e necessario sporcarsi, per gridare la propria volontà di rimanere puliti (leggi l'articolo di Repubblica).

Clicca sull'immagine per leggere dell'iniziativa organizzata su Facebook.


mercoledì 11 novembre 2009

La lampadina fulminata

Da più di un anno abbiamo una piccola cantina in affitto al piano terra. E' comodo avere una cantina, in un angolo ci metto ogni ben di dio, vino, olio, marmellate e quant'altro porto da giù tutte le volte che vado a trovare i miei e poi in cantina ci puoi lasciare le cose che normalmente non terresti dentro casa, biciclette e cianfrusaglie varie che occuperebbero spazio nelle nostre case già troppo piene. E' comodo avere una cantina, anche se a volte ti tocca fare quattro piani di scale per andare a prendere quello che ti serve perché ti sei scordato di fermarti a prenderlo al ritorno dal lavoro.
Qualche mese fa in cantina si è fulminata la lampadina, non dava più segni di volersi accendere. Le prime volte che entravo in cantiva era spontaneo provare ad accendere l'interruttore ma dopo alcuni giorni è diventato inutile provarci. Non c'è mai stato il tempo per poter sostituire la lampadina fulminata. Di sera, quando entravo in cantina che ormai era buio, mi servivo dello schermo del cellulare per muovere i pochi passi che mi conducono dalla porta all'armadietto delle riserve. Ma quella luce è fioca e non è successo poche volte di dovermi accontentare del vino bianco quando invece cercavo il rosso o viceversa, per non dire della volta che sono tornato su con una bottiglia di passato di pomodoro invece del vino!
Giorni fa sono venuti a farci visita i genitori di Vito. Sapevano della lampadina fulminata in cantina ma il padre di Vito doveva prendere qualcosa e un accendino poteva bastare. Entrando ha premuto l'interruttore e la luce si è accesa. Non era fulminata, funzionava ancora, non è mai stata fulminata!

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Quante lampadine non proviamo più ad accendere, assuefatti da una abitudine cui basta poco tempo per abitare stabilmente le nostre menti? Quante lampadine ancora funzionanti consideriamo fulminate e in attesa di sostituzione?

Nell'immensa cantina della storia, dove regna il buio del tempo non proviamo più ad accendere lampadine che pensiamo fulminate. Forse tra quelle lampadine ci sono anche le "cause perse" di cui parla Slavoj Žižek. Abbiamo visto cose terribili alla luce di quelle lampadine, eppure era altra la luce che illuminava la cantina dell'umanità, luce più antica, mai davvero spenta, luce nera che si spegnerà solo quando abbandoneremo la cantina per non farvi più ritorno.

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«[...] C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, e le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine cresce davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.[…]» W. Benjamin, Tesi di filosofia della storia (1940), Tesi IX. In: Angelus novus. Saggi e frammenti, Einaudi, p. 80, 1995.

Angelus Novus, Paul Klee, 1920.

«All of old. Nothing else ever. Ever tried. Ever failed. No matter. Try again. Fail again. Fail better.» S. Beckett, Worstward Ho, 1983.

martedì 10 novembre 2009

Straziante meravigliosa bellezza

« L'Italia è un paese che diventa sempre più stupido e ignorante. Vi si coltivano retoriche sempre più insopportabili. Non c'è del resto conformismo peggiore di quello di sinistra, soprattutto naturalmente quando viene fatto proprio anche dalla destra.» Pier Paolo Pasolini, Bestia da stile, Garzanti, 1979.

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Da: "Che cosa sono le nuvole?", 1967



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Dialogo con un amico:
- Perché non fanno mai vedere i film di Pier Paolo Pasolini?
- Perché era un gigante in un tempo di nani, quel tempo dura ancora!

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Il vuoto del potere
ovvero
L'articolo delle lucciole

di Pier Paolo Pasolini (5 marzo 1922 – 2 novembre 1975)
dal "Corriere della sera" del 1° febbraio 1975
La distinzione tra fascismo aggettivo e fascismo sostantivo risale niente meno che al giornale "Il Politecnico", cioè all'immediato dopoguerra..." Così comincia un intervento di Franco Fortini sul fascismo ("L'Europeo, 26-12-1974): intervento che, come si dice, io sottoscrivo tutto, e pienamente. Non posso però sottoscrivere il tendenzioso esordio. Infatti la distinzione tra "fascismi" fatta sul "Politecnico" non è né pertinente né attuale. Essa poteva valere ancora fino a circa una decina di anni fa: quando il regime democristiano era ancora la pura e semplice continuazione del regime fascista. Ma una decina di anni fa, è successo "qualcosa". "Qualcosa" che non c'era e non era prevedibile non solo ai tempi del "Politecnico", ma nemmeno un anno prima che accadesse (o addirittura, come vedremo, mentre accadeva).
Il confronto reale tra "fascismi" non può essere dunque "cronologicamente", tra il fascismo fascista e il fascismo democristiano: ma tra il fascismo fascista e il fascismo radicalmente, totalmente, imprevedibilmente nuovo che è nato da quel "qualcosa" che è successo una decina di anni fa.
Poiché sono uno scrittore, e scrivo in polemica, o almeno discuto, con altri scrittori, mi si lasci dare una definizione di carattere poetico-letterario di quel fenomeno che è successo in Italia una decina di anni fa. Ciò servirà a semplificare e ad abbreviare il nostro discorso (e probabilmente a capirlo anche meglio).
Nei primi anni sessanta, a causa dell'inquinamento dell'aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell'inquinamento dell'acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c'erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta).
Quel "qualcosa" che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque "scomparsa delle lucciole".
Il regime democristiano ha avuto due fasi assolutamente distinte, che non solo non si possono confrontare tra loro, implicandone una certa continuità, ma sono diventate addirittura storicamente incommensurabili. La prima fase di tale regime (come giustamente hanno sempre insistito a chiamarlo i radicali) è quella che va dalla fine della guerra alla scomparsa delle lucciole, la seconda fase è quella che va dalla scomparsa delle lucciole a oggi. Osserviamole una alla volta.
Prima della scomparsa delle lucciole
La continuità tra fascismo fascista e fascismo democristiano è completa e assoluta. Taccio su ciò, che a questo proposito, si diceva anche allora, magari appunto nel "Politecnico": la mancata epurazione, la continuità dei codici, la violenza poliziesca, il disprezzo per la Costituzione. E mi soffermo su ciò che ha poi contato in una coscienza storica retrospettiva. La democrazia che gli antifascisti democristiani opponevano alla dittatura fascista, era spudoratamente formale.
Si fondava su una maggioranza assoluta ottenuta attraverso i voti di enormi strati di ceti medi e di enormi masse contadine, gestiti dal Vaticano. Tale gestione del Vaticano era possibile solo se fondata su un regime totalmente repressivo. In tale universo i "valori" che contavano erano gli stessi che per il fascismo: la Chiesa, la Patria, la famiglia, l'obbedienza, la disciplina, l'ordine, il risparmio, la moralità. Tali "valori" (come del resto durante il fascismo) erano "anche reali": appartenevano cioè alle culture particolari e concrete che costituivano l'Italia arcaicamente agricola e paleoindustriale. Ma nel momento in cui venivano assunti a "valori" nazionali non potevano che perdere ogni realtà, e divenire atroce, stupido, repressivo conformismo di Stato: il conformismo del potere fascista e democristiano. Provincialità, rozzezza e ignoranza sia delle "élites" che, a livello diverso, delle masse, erano uguali sia durante il fascismo sia durante la prima fase del regime democristiano. Paradigmi di questa ignoranza erano il pragmatismo e il formalismo vaticani.
Tutto ciò che risulta chiaro e inequivocabilmente oggi, perché allora si nutrivano, da parte degli intellettuali e degli oppositori, insensate speranze. Si sperava che tutto ciò non fosse completamente vero, e che la democrazia formale contasse in fondo qualcosa. Ora, prima di passare alla seconda fase, dovrò dedicare qualche riga al momento di transizione.

Durante la scomparsa delle lucciole
In questo periodo la distinzione tra fascismo e fascismo operata sul "Politecnico" poteva anche funzionare. Infatti sia il grande paese che si stava formando dentro il paese - cioè la massa operaia e contadina organizzata dal PCI - sia gli intellettuali anche più avanzati e critici, non si erano accorti che "le lucciole stavano scomparendo". Essi erano informati abbastanza bene dalla sociologia (che in quegli anni aveva messo in crisi il metodo dell'analisi marxista): ma erano informazioni ancora non vissute, in sostanza formalistiche. Nessuno poteva sospettare la realtà storica che sarebbe stato l'immediato futuro; né identificare quello che allora si chiamava "benessere" con lo "sviluppo" che avrebbe dovuto realizzare in Italia per la prima volta pienamente il "genocidio" di cui nel "Manifesto" parlava Marx.

Dopo la scomparsa delle lucciole
I "valori" nazionalizzati e quindi falsificati del vecchio universo agricolo e paleocapitalistico, di colpo non contano più. Chiesa, patria, famiglia, obbedienza, ordine, risparmio, moralità non contano più. E non servono neanche più in quanto falsi. Essi sopravvivono nel clerico-fascismo emarginato (anche il MSI in sostanza li ripudia). A sostituirli sono i "valori" di un nuovo tipo di civiltà, totalmente "altra" rispetto alla civiltà contadina e paleoindustriale. Questa esperienza è stata fatta già da altri Stati. Ma in Italia essa è del tutto particolare, perché si tratta della prima "unificazione" reale subita dal nostro paese; mentre negli altri paesi essa si sovrappone con una certa logica alla unificazione monarchica e alla ulteriore unificazione della rivoluzione borghese e industriale. Il trauma italiano del contatto tra l'"arcaicità" pluralistica e il livellamento industriale ha forse un solo precedente: la Germania prima di Hitler. Anche qui i valori delle diverse culture particolaristiche sono stati distrutti dalla violenta omologazione dell'industrializzazione: con la conseguente formazione di quelle enormi masse, non più antiche (contadine, artigiane) e non ancor moderne (borghesi), che hanno costituito il selvaggio, aberrante, imponderabile corpo delle truppe naziste.
In Italia sta succedendo qualcosa di simile: e con ancora maggiore violenza, poiché l'industrializzazione degli anni Settanta costituisce una "mutazione" decisiva anche rispetto a quella tedesca di cinquant'anni fa. Non siamo più di fronte, come tutti ormai sanno, a "tempi nuovi", ma a una nuova epoca della storia umana, di quella storia umana le cui scadenze sono millenaristiche. Era impossibile che gli italiani reagissero peggio di così a tale trauma storico. Essi sono diventati in pochi anni (specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire per strada per capirlo. Ma, naturalmente, per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla. Io, purtroppo, questa gente italiana, l'avevo amata: sia al di fuori degli schemi del potere (anzi, in opposizione disperata a essi), sia al di fuori degli schemi populisti e umanitari. Si trattava di un amore reale, radicato nel mio modo di essere. Ho visto dunque "coi miei sensi" il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiani, fino a una irreversibile degradazione. Cosa che non era accaduta durante il fascismo fascista, periodo in cui il comportamento era completamente dissociato dalla coscienza. Vanamente il potere "totalitario" iterava e reiterava le sue imposizioni comportamentistiche: la coscienza non ne era implicata. I "modelli" fascisti non erano che maschere, da mettere e levare. Quando il fascismo fascista è caduto, tutto è tornato come prima. Lo si è visto anche in Portogallo: dopo quarant'anni di fascismo, il popolo portoghese ha celebrato il primo maggio come se l'ultimo lo avesse celebrato l'anno prima.
È ridicolo dunque che Fortini retrodati la distinzione tra fascismo e fascismo al primo dopoguerra: la distinzione tra il fascismo fascista e il fascismo di questa seconda fase del potere democristiano non solo non ha confronti nella nostra storia, ma probabilmente nell'intera storia.
Io tuttavia non scrivo il presente articolo solo per polemizzare su questo punto, benché esso mi stia molto a cuore. Scrivo il presente articolo in realtà per una ragione molto diversa. Eccola.
Tutti i miei lettori si saranno certamente accorti del cambiamento dei potenti democristiani: in pochi mesi, essi sono diventati delle maschere funebri. È vero: essi continuano a sfoderare radiosi sorrisi, di una sincerità incredibile. Nelle loro pupille si raggruma della vera, beata luce di buon umore. Quando non si tratti dell'ammiccante luce dell'arguzia e della furberia. Cosa che agli elettori piace, pare, quanto la piena felicità. Inoltre, i nostri potenti continuano imperterriti i loro sproloqui incomprensibili; in cui galleggiano i "flatus vocis" delle solite promesse stereotipe. In realtà essi sono appunto delle maschere. Son certo che, a sollevare quelle maschere, non si troverebbe nemmeno un mucchio d'ossa o di cenere: ci sarebbe il nulla, il vuoto. La spiegazione è semplice: oggi in realtà in Italia c'è un drammatico vuoto di potere. Ma questo è il punto: non un vuoto di potere legislativo o esecutivo, non un vuoto di potere dirigenziale, né, infine, un vuoto di potere politico in un qualsiasi senso tradizionale. Ma un vuoto di potere in sé.
Come siamo giunti, a questo vuoto? O, meglio, "come ci sono giunti gli uomini di potere?".
La spiegazione, ancora, è semplice: gli uomini di potere democristiani sono passati dalla "fase delle lucciole" alla "fase della scomparsa delle lucciole" senza accorgersene. Per quanto ciò possa sembrare prossimo alla criminalità la loro inconsapevolezza su questo punto è stata assoluta; non hanno sospettato minimamente che il potere, che essi detenevano e gestivano, non stava semplicemente subendo una "normale" evoluzione, ma sta cambiando radicalmente natura.
Essi si sono illusi che nel loro regime tutto sostanzialmente sarebbe stato uguale: che, per esempio, avrebbero potuto contare in eterno sul Vaticano: senza accorgersi che il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, non sapeva più che farsene del Vaticano quale centro di vita contadina, retrograda, povera. Essi si erano illusi di poter contare in eterno su un esercito nazionalista (come appunto i loro predecessori fascisti): e non vedevano che il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, già manovrava per gettare la base di eserciti nuovi in quanto transnazionali, quasi polizie tecnocratiche. E lo stesso si dica per la famiglia, costretta, senza soluzione di continuità dai tempi del fascismo, al risparmio, alla moralità: ora il potere dei consumi imponeva a essa cambiamenti radicali nel senso della modernità, fino ad accettare il divorzio, e ormai, potenzialmente, tutto il resto, senza più limiti (o almeno fino ai limiti consentiti dalla permissività del nuovo potere, peggio che totalitario in quanto violentemente totalizzante).
Gli uomini del potere democristiani hanno subito tutto questo, credendo di amministrarselo e soprattutto di manipolarselo. Non si sono accorti che esso era "altro": incommensurabile non solo a loro ma a tutta una forma di civiltà. Come sempre (cfr. Gramsci) solo nella lingua si sono avuti dei sintomi. Nella fase di transizione - ossia "durante" la scomparsa delle lucciole - gli uomini di potere democristiani hanno quasi bruscamente cambiato il loro modo di esprimersi, adottando un linguaggio completamente nuovo (del resto incomprensibile come il latino): specialmente Aldo Moro: cioè (per una enigmatica correlazione) colui che appare come il meno implicato di tutti nelle cose orribili che sono state, organizzate dal '69 ad oggi, nel tentativo, finora formalmente riuscito, di conservare comunque il potere.
Dico formalmente perché, ripeto, nella realtà, i potenti democristiani coprono con la loro manovra da automi e i loro sorrisi, il vuoto. Il potere reale procede senza di loro: ed essi non hanno più nelle mani che quegli inutili apparati che, di essi, rendono reale nient'altro che il luttuoso doppiopetto.
Tuttavia nella storia il "vuoto" non può sussistere: esso può essere predicato solo in astratto e per assurdo. È probabile che in effetti il "vuoto" di cui parlo stia già riempiendosi, attraverso una crisi e un riassestamento che non può non sconvolgere l'intera nazione. Ne è un indice ad esempio l'attesa "morbosa" del colpo di Stato. Quasi che si trattasse soltanto di "sostituire" il gruppo di uomini che ci ha tanto spaventosamente governati per trenta anni, portando l'Italia al disastro economico, ecologico, urbanistico, antropologico.
In realtà la falsa sostituzione di queste "teste di legno" (non meno, anzi più funereamente carnevalesche), attuata attraverso l'artificiale rinforzamento dei vecchi apparati del potere fascista, non servirebbe a niente (e sia chiaro che, in tal caso, la "truppa" sarebbe, già per sua costituzione, nazista). Il potere reale che da una decina di anni le "teste di legno" hanno servito senza accorgersi della sua realtà: ecco qualcosa che potrebbe aver già riempito il "vuoto" (vanificando anche la possibile partecipazione al governo del grande paese comunista che è nato nello sfacelo dell'Italia: perché non si tratta di "governare"). Di tale "potere reale" noi abbiamo immagini astratte e in fondo apocalittiche: non sappiamo raffigurarci quali "forme" esso assumerebbe sostituendosi direttamente ai servi che l'hanno preso per una semplice "modernizzazione" di tecniche. Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l'intera Montedison per una lucciola.

lunedì 9 novembre 2009

Vent'anni dopo

Vent'anni fa cadeva il muro che divideva in due una città, specchio di un mondo diviso, un mondo separato da un muro alto non più di tre metri e mezzo.

Il muro cadde, le sue pietre si spostarono altrove, parte andarono ai confini del benessere, dove oggi abita il benavere, lì fu realizzato un muro che lasciava fuori una umanità affamata di pane e diritti, l'altra parte del muro si annidò dentro ciascuno di noi dove il muro poteva essere al riparo dal vento di cambiamento che invochiamo.

I muri sono ancora in piedi, adesso. Quello che cadde vent'anni fa, e che doveva cadere, era una prova generale di una umanità che non sa rinunciare ai suoi muri. Salvo pensare che la libera circolazione di merci inutili sia sufficiente a testimoniare della caduta dei muri.

giovedì 5 novembre 2009

Delirio di numeri e vite a scadenza

Stando alle nozioni di matematica residue nella mia memoria, la distanza tra un numero naturale ed il suo successivo è sempre uguale a 1. Naturalmente non mi è mai venuto in mente di mettere in discussione questo fatto, non ne ho la competenza, però da un po' di tempo mi è sorto qualche dubbio!
Per esempio mi viene da pensare che forse la distanza tra 0 e 1 sia molto più grande della distanza tra 1 e 2, inoltre man mano che si procede per i successivi intervalli la distanza tra un numero naturale ed il suo successivo diventa sempre più piccola. Sarà perché mi diverto a fare incroci poco onesti tra le discipline più disparate? Sarà perché confondo i vari ambiti del pensiero o sarà semplicemente perché sono un ignorante in matematica. Comunque sia, mi piace pensare che la cosa non sia poi così peregrina, è come assumere una visione topografica o prospettica dell’asse dei numeri naturali, ponendosi sul punto 0. Si obietterà che la matematica corregge l’errore prospettico dovuto ad una certa posizione piuttosto che un’altra e rende i suoi principi validi indipendentemente dal punto di osservazione. Io non posso che essere d’accordo, ma in definitiva quell’errore prospettico è il risultato dell’evoluzione del nostro sistema percettivo o più semplicemente di una visione sociale e politica (nel senso ampio del termine) e probabilmente eliminarlo del tutto può comportare qualche rischio.

Ignorando per un po’ la mia ignoranza in matematica e pensando a quello che accade in ambito sociale non sarebbe difficile comprendere questa mia ‘fantasia’, eppure non è così facile trovare chi possa seguirmi nel delirio che a me sembra di una chiarezza cristallina.
Pensateci un attimo! Se uno perde il suo lavoro, possiamo dire che siamo nel caso di passaggio da uno stato 1 ad uno stato 0, mentre se a qualcuno tolgono qualcosa dal suo stipendio potremmo dire che passa da 2 a 1 o da 100 a 99, o da 51 a 50. Bene, in questi casi secondo voi quali sono le distanze più ampie da colmare? Quali sono le priorità da assegnare nella lotta al ripristino dello stato che si perde o nella lotta per conquistare uno stato? Io non ho dubbi, nella lotta contro la perdita di uno stato prima viene il caso di passaggio da 1 a 0, poi quello da 2 a 1, dopo ancora quella da 51 a 50 ed infine, molto dopo, viene quello da 100 a 99.
Se c’è da difendere delle posizioni (almeno in ambito lavorativo), le distanze tra un numero e quello successivo non possono essere considerate tutte uguali, ecco perché penso che la distanza tra 0 e 1 sia molto più grande della distanza che c’è tra ogni altro numero ed il suo successivo e che le distanze diventano sempre meno ampie man mano che i numeri crescono. Ecco, questo tipo di approccio, per esempio, non dovrebbe costare alcuna fatica alle organizzazioni sindacali che nascono proprio per difendere il lavoro e invece curiosamente assisto ad una sorta di approccio che potremmo definire troppo matematico. Si potrebbe avanzare la critica che il problema è che le organizzazioni sindacali sono nate quando il lavoro era una categoria irrinunciabile per la produzione e che la loro lotta si esprimeva tutta nella conquista di migliori condizioni di lavoro, mentre adesso che in alcuni settori il lavoro diventa una categoria alla quale la produzione può rinunciare più facilmente, perché non più direttamente connessa con il lavoro in senso stretto, ai sindacati viene meno la loro missione, ma questo è un discorso che ci porterebbe troppo lontano.

Dicevo delle 'correzioni prospettiche' che mi riesce difficile comprendere quando sono i sindacati a pensare che la distanza tra un numero naturale qualsiasi e il suo successivo sia sempre uguale a 1 (forse si tratta di un problema di banale lettura lineare laddove basterebbe un approccio non lineare! mah, ci devo pensare). Nell'istituto dove lavoro, dopo le prime 200 persone mandate a casa a giugno, altre 25 persone hanno un contratto in scadenza domani e nessuna certezza sull’eventuale rinnovo (che Tremonti vada a dire a loro che la crisi è ormai alle spalle! mi piacerebbe concedermi battute facili ma non è il caso, dico solo che per molti può essere più preoccupante avere qualcosa alle spalle che poterla guardare in faccia). Naturalmente i sindacati confederali oggi hanno manifestato per la scadenza dei contratti e per il loro rinnovo. Una bella manifestazione sotto il Ministero dell’Ambiente, che notoriamente ha a capo persone sensibile ai problemi dei lavoratori e soprattutto per le tematiche ambientali! Il volantino della manifestazione diceva “per avere riposte positive sul precariato e sulle vertenze contrattuali”. Nella mia testa anche le vertenze contrattuali riguardavano il precariato, sempre per via di quella visione prospettica che dicevo dei numeri. Invece, ascoltando i discorsi della gente che manifestava ho capito che le vertenze contrattuali riguardavano materia di decurtazione di salario accessorio, mentre il tema del precariato era decisamente in secondo piano, qualcosa di cui non si poteva non parlare, per questioni di decoro, ma che tutto sommato non è più così rilevante (dopo un’ondata di assunzioni a tempo indeterminanto nel mio istituto, tra cui c’è stata anche la mia - grazie ad una norma approvata dal governo Prodi ed osteggiata fino alla fine dal governo Berlusconi - i sindacati possono rivendicare la loro brava vittoria e qualche caduto sul campo rientra negli effetti attesi!!!). Per carità, il salario accessorio è tema nobilissimo e manifestare per opporsi alla sua decurtazione, ritenuta ingiusta, è cosa legittima ma, data l’attuale situazione, non credo sia una priorità e ritengo non dovrebbe essere in cima alle priorità di un sindacato (25 contratti scadono domani, altri 170 scadranno a fine dicembre), per lo meno del mio, la CGIL che storicamente ha sempre avuto una visione del lavoro che potrei definire di sinistra (si può usare ancora la parola sinistra facendo capire cosa intendo?). Al limite non sarebbe un problema far viaggiare i due temi uno a fianco all’altro, magari facendo in maniera seria qualche proposta forte tipo “ok, decurtatecelo pure ‘sto benedetto salario accessorio ma che i fondi siano dedicati solo ed esclusivamente al rinnovo dei contratti in scadenza della gente che va a casa”, invece il problema è che il tema che io considero prioritario è passato in secondo piano e che la proposta che io faccio risulterebbe una bestemmia da non pronunciare neanche per scherzo. Il sindacato dirà che per avere un numero alto di manifestanti si dovevano mettere insieme i diversi argomenti, ma se questa era la strategia è stata fallimentare perché a manifestare, ops! a parlare di salario accessorio, erano non più di una cinquantina di persone (non male per un istituto dove i dipendenti che vedranno decurtato il loro salario accessorio sono intorno al migliaio!).

A questo punto, affrontando la faccenda in maniera pragmatica, come le persone serie e adulte che oggi manifestavano, mi chiedo se non sia una buona soluzione per compensare la decurtazione del mio salario accessorio quella di cancellarmi dal sindacato.
Devo fare un po’ di conti.

mercoledì 4 novembre 2009

Proposta per la parete perfetta

E' di questi giorni la polemica sul crocifisso da esporre o meno sulle pareti delle scuole dopo la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo. Mi pare che il livello del dibattito nell'ambiente politico sia abbastanza ridicolo per non aggiungere nulla di serio. Nel coro di idiozie che ho sentito rilevo che il commento apparentemente meno idiota è stato quello di Bersani: "qualche volta il buonsenso finisce di essere vittima del diritto" (sull'affermazione che si tratti di un "simbolo inoffensivo" consiglio di rivedere un po' di storia dell'Europa moderna!). Che dire poi quando la parola su questi temi passa alle gerarchie vaticane? poveretti, hanno una interiorità così minuscola che tentano in ogni modo di portare all'esterno ciò che non possono permettersi di ospitare nel loro intimo. Sulla gran parte dei giornali si legge che la sentenza rischia di "cancellare la nostra cultura"! Sfido io, è così fragile che non ci vuole niente, signori miei, a cancellare la vostra cultura! Se permettete la mia è fatta di altra pasta.

Come contributo al dibattito aggiungo solo una bozza di proposta per la parete perfetta nelle scuole.


Naturalmente la proposta può essere modificata, ma solo ed esclusivamente per addizione di altri simboli. Su questo punto nessuna deroga.

***

Post Scriptum al post. Da non dimenticare le religioni considerate scomparse.


Tra l'altro il primo simbolo di questa seconda serie è il tridente di Shiva e in India questo culto non è affatto scomparso. Per quanto riguarda gli altri simboli (sono consapevole che non tutti siano propriamente dei simboli ma melius abundare) se ci pensate attentamente vedrete che non hanno fatto altro che trasformarsi negli attuali simboli religiosi.

Un post di Andrea Bonanni su questa vicenda, per quanto sintetico, merita attenta riflessione. Per una lettura serena consiglio l'articolo di Rodotà, che non ha l'aria di essere un fanatico anticlericale. La Chiesa non è solo il Vaticano, per fortuna, e sull'argomento si possono leggere posizioni molto interessanti (leggi qui, qui e qui).

Per finire, un po' di storia delle religioni non guasterebbe in Italia o altrove, forse un argomento terribilmente serio come il discorso religioso salirebbe di livello.

martedì 3 novembre 2009

coi ginocchi piagati

Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da argenti
della divina follia.
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all’umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello a Giona.
Ma nella Terra Promessa
dove germinano i pomi d’oro
e l’albero della conoscenza
Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto.
Ma tu sì, maledici
ora per ora il tuo canto
perché sei sceso nel limbo,
dove aspiri l’assenzio
di una sopravvivenza negata.

Alda Merini, da "La Terra Santa" 1984



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"I poeti sono specchi delle gigantesche ombre che l'avvenire getta sul presente...forza che non è mossa ma che muove. I poeti sono i non riconosciuti legislatori del mondo." Percy Bysshe Shelley

lunedì 2 novembre 2009

Il lungo riposo


Il silenzio avvolge i muri,
edere abbracciano archi austeri.
L'aria rarefatta di fiamme e fiori
si fende al grido di un bambino
richiamato da un tacito sguardo.
Qui il tempo trova riposo
e si ferma anche per noi vivi
che giriamo per stradine strette
affiancati da cipressi e visi.
Voci mute chiedono ascolto
di storie nascoste
tra le pieghe del tempo.
L'aria umida entra nelle ossa
e cancella le boriose movenze
dei nostri corpi prepotenti;
la luce querula di una cappella
è un sudario di quiete.
Una donna più in là
avvolge di colori profumati
ricordi svaniti,
rubati dalla morte,
sovrana di questo regno
senza sudditi
e senza rivoluzioni.

martedì 27 ottobre 2009

Della complessità e di altre sciocchezze

Il concetto di complessità mi interessa molto, è evidente. Già in un precedente post (La rete e la catena) ci avevo giocato. In quel post guardavo la faccenda da una prospettiva prevalentemente ecologica, mentre in questo post intendo privilegiare una prospettiva evoluzionistica. Diciamo che il concetto di complessità comincia ad interessarmi nel momento in cui è letteralmente sfrondato (o dovrei dire spurgato) dal carico ideologico che si porta dietro, che trovo difficilmente sostenibile e che non mi piace, e siccome non sono un seguace dell'oggettivismo al di fuori dello spazio e della storia sarò onesto, intendo sostituire quel carico ideologico con il mio, illudendomi che si tratti di una lettura oggettiva.
Solitamente quando scrivo qualcosa parto da un'idea che ha già una sua forma ma è man mano che scrivo che poi l'idea prende veramente corpo, magari diventa altro e non ha più niente dell'idea originaria o semplicemente diventa meno chiara alla fine rispetto all'inizio, ecco! diciamo che l'idea diventa più complessa e il rischio di perderne il filo è sempre più alto.
In qualche modo dovrei aver reso ciò che penso per cui se doveste trovarlo interessante fatemelo sapere, potrei trovarlo interessante anch'io!

domenica 25 ottobre 2009

Le radici europee!?

Oggi Asterix e Obelix compiono cinquant'anni naturalmente insieme a Idefix, il venerabile druido Panoramix e tutta la squinternata tribù gallica. E' sempre stato tra i miei cartoni preferiti. Anche adesso non me ne privo le poche volte che ho la possibilità di vederlo. E' uno di quei cartoni, come Will Coyote e Bip Bip, Gatto Silvestro e Titti, Tom e Jerry che mi fanno sempre ridere.
Vincenzo Mollica al tg di oggi sosteneva che una ragione della popolarità di Asterix è da ricercarsi nel fatto che un manipolo di persone sprovvedute, ingenue e del tutto disorganizzate lottano con successo contro un potere costituito e arrogante che dispone di forze di gran lunga più addestrate alla guerra. La spiegazione è interessante, ma chissà che non contribuisca anche il fatto che il cartone ci fa vedere le radici dell'Europa odierna? Come è noto, la tesi delle radici celtiche dell'Europa è stata sdoganata da noti 'intellettuali' della Lega ma non è poi così balzana come sembra!
Personalmente io rivendico le mie radici messapiche ma al momento non vi sono fonti autorevoli a sostenere la tesi per cui rimane poco più di una supposizione.

giovedì 22 ottobre 2009

Strani tempi

Succedono cose strane ultimamente. I gesuiti recuperano il pensiero di Marx, Tremonti si vota al posto fisso e sul mio blog scrive Cleo e per di più riceve un commento!
Non ho parole...sul terzo evento.
Mentre per i primi due ne avrei alcune, poche, per evitare di scrivere "complicatissimi testi che nessuno ha ancora decifrato". Ad ogni modo per facilitare la lettura ho provveduto a fornire lo strumento richiesto, :-).

E' condivisibile l'esortazione di Civiltà Cattolica: "non conviene, oggi come in passato, lasciare semplicemente alla sinistra la critica dell'economia politica di Marx." Benvenga il confronto tra i diversi punti di vista su Marx, come su ogni grande pensatore. Benvenga il riconoscimento che la flessibilità è un mostro culturale quando significa semplicemente trasferire il rischio imprenditoriale sui lavoratori. Benvenga tutto questo anche e soprattutto quando viene da parti inattese, ma mi aspetterei che su questi temi la sinistra dicesse qualcosa, dicesse che su Marx ci ha pensato a lungo, che ha letto le sue opere, che è da tanto tempo che ha imparato a distinguere il pensiero di Marx dall'abuso che ne è stato fatto, mi aspetterei che dicesse che il mondo del lavoro e tutte le storture del sistema produttivo capitalistico sono state da sempre l'assillo del pensiero di sinistra, mi aspetterei che la sinistra incalzasse il governo ogni giorno con proposte che mettano in pratica quanto Tremonti ha affermato con il suo slogan.
E invece, niente, a parte poche voci, come Vattimo e Gallino, la sinistra si ritrova attonita e muta di fronte a temi che sono costitutivi della sua storia ma che per decenni ha messo da parte, ha rimosso, ha trattato come tabù da non nominare, se non in ristretti circoli intellettuali, pur di farsi accettare nel 'mondo dei grandi'.
Altro che lasciare la critica del pensiero di Marx alla sinistra, da un po' di tempo a parlare di Marx e dei temi di sinistra sono rimasti Civiltà Cattolica e il Wall Street Journal!

Comunque sia, sulla profondità di pensiero dei gesuiti non c'è mai da dubitare. Come dice Vattimo, non è chiaro quale sia il loro disegno (altrimenti non sarebbero gesuiti!) ma sono sicuro che, dopo averci pensato a lungo (altrimenti non sarebbero gesuiti!) arriveranno a qualcosa di interessante (altrimenti non sarebbero gesuiti!). Magari copieranno un po' da Lukàks, un po' da Fromm, sicuramente anche dallo stesso Vattimo e chissà da quanti altri, senza dubbio e opportunamente ci metteranno qualcosa del Nuovo Testamento ma alla fine qualcosa di interessante ne verrà fuori. Quasi dimenticavo! Per l'esegesi di Marx i gesuiti non mancheranno di ispirarsi a Marx, non necessariamente quello di Treviri.
Se sulla riflessione dei gesuiti non ho dubbi, mi permetto di esprimere tutta la mia perplessità sul 'pensiero' di Tremonti. Ci mancava soltanto che Berlusconi si dicesse in sintonia con il suo Ministro dell'Economia perché fossero chiari due possibili scenari. Il primo scenario, Berlusconi è davvero finito, Tremonti (non Fini) gli sta preparando il de profundis e Berlusconi è subito corso ai ripari saltando in sella alla proposta di Tremonti. Il secondo scenario, l'operazione è soltanto il bieco tentativo di intercettare i voti di una sinistra orfana della propria storia e del proprio pensiero. In entrambi i casi il messaggio è uno solo, la sinistra non serve. Il silenzio della sinistra dà tremendamente ragione al messaggio.

martedì 20 ottobre 2009

Stravaganze

Finalmente è uscito ed ha lasciato il computer acceso! Non è la prima stranezza della giornata e prima di andare a letto ce ne saranno sicuramente altre. Approfitto di questa sua bizzarria per scrivere qualcosa di lui. E' un tipo tranquillo, per niente inquietante ma diverse cose di lui mi fanno preoccupare, cose davvero strane. La cosa più allarmante per me è vederlo camminare su due gambe per tutto il giorno, è incredibile come non abbia mal di schiena alla fine della giornata. Dovreste vederlo camminare, con quell’andatura stramba, prima su una gamba e poi su un’altra, continuo a temere che tra un passo e l’altro prima o poi caschi. Un’altra stranezza di cui non riesco a capacitarmi è come mai abbia bisogno di accendere la luce durante la notte per andare al bagno, anch’io di notte sento l’esigenza di svegliarmi ma non ho mica bisogno di così tanta luce, con quella che c’è ci vedo benissimo e non mi verrebbe mai in mente di accendere la luce, per non parlare poi di questa bizzarra abitudine di dormire per tutta la notte! Davvero singolare. L’ho visto saltare, è penoso, non riesce a sollevarsi da terra neanche per metà della sua altezza! Mi piange il cuore a vedere quelle gambe così poco efficienti per il salto e per la corsa. Quando la mattina si sveglia assume un comportamento davvero curioso, si toglie il pigiama per indossare altra roba, io di solito resto così come mi sveglio e francamente mi sembra che il mio sia un comportamento normale mentre il suo è a dir poco stravagante. Oddio, quando si infila quelle scarpe ai piedi mi viene l'orticaria, io non riuscirei a camminare con qualcosa del genere che avvolge i miei piedi. Non riesco ad immaginarmi mentre cammino con tutti quegli indumenti colorati addosso, i colori poi sono sempre diversi, a volte non si possono proprio vedere, meno male che non indossa calzini turchesi, a tutto c'è un limite! La sera quando torna a casa, non parliamone, si mette davanti a quella scatola luminosa e si lamenta dei tipi che lui considera strani, lui li chiama imbecilli. Da quello che dice pare che si tratti proprio di autentici cretini che per non farsi riconoscere si circondano di altri cretini così si convincono di essere normali e dicono degli altri che sono bizzarri. In giro si vedono tante stranezze, ma io sono una gattina di mondo, posso anche stupirmi ma più che altro le stravaganze altrui mi divertono, non sono come quelle comari provinciali che cianciano delle stranezze altrui perché sono cieche davanti allo specchio. Basta, non amo il pettegolezzo e poi potrebbe tornare, il tempo di caricare la mia foto e poi chiudo.


Non ho il tempo di cambiare le impostazioni del blog, quindi anche se c'è scritto che è pubblicato da Antonio non date retta, questo post è pubblicato da Cleo.

lunedì 19 ottobre 2009

Memoria e progetto

"Se noi non ricordassimo, il mondo sarebbe sottilissimo, una lastra priva di spessore, sulla quale fulmineamente stampato, un perpetuo presente attirerebbe su di sé i nostri sguardi stupiti e incantati.
Ma per fortuna noi ricordiamo, e dietro al mondo cosiddetto reale, dietro al mondo che si tocca, vede, sente, odora, il quale è veramente sottile come una lastra priva di spessore, mettiamo quello irreale, o almeno non più esistente, di uno, due, mille momenti prima, e assegniamo in tal modo un volume immaginario a qualcosa che in realtà non lo possiede." Vitaliano Brancati, (I piaceri della memoria. In: I piaceri, Bompiani, 1943).

"Mi pongo continuamente questa domanda: del passato berlusconiano cosa rimarra in piedi? La mia risposta è questa: il fatto che tutto è ridotto al presente, Uso certamente una parola inadeguata, «presentismo», cioè l'incapacità di spostare la propria percezione del tempo nel futuro, e anche nel passato, nei ricordi, fuori dall'immediatezza del presente. Tutto interessa in quanto è presente, di quello che ci sarà non ci poniamo il problema, quello che c'è stato si ricorda ma in modo semplificato e, secondo me, anche improprio o inadeguato. Ovviamente la percezione del tempo futuro presenta caratteristiche diverse dalla percezione del tempo passato, ma entrambe le percezioni sono accomunate da una semplificazione: un'immediatezza finalizzata esclusivamente al presente." Vittorio Foa (V. Foa, F. Montevecchi - Le parole della politica, Einaudi, 2008).

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Memoria e progetto, un ponte costruito sul presente che lega il passato al futuro. L’arduo compito di sempre dell’umanità è stato quello di costruire questo ponte mentre ci cammina sopra, il compito del mio ‘tristissimo secolo’ sembra essere quello di distruggere questo ponte durante il percorso.
Forse ho preceduto o forse appartengo ad una generazione senza memoria e senza progetto che si muove con velocità vertiginosa nel piatto presente.
Memoria e progetto, l’una e l’altra necessitano di lentezza e serenità. I ricordi devono decantare, fissarsi e richiamarsi tra di loro, chiedono tempo perché diventino altro da ciò che è stato e si tramutino in esperienza. Il progetto è l’immagine speculare e disonesta dei ricordi, si proietta avanti barando sul passato e temendo sempre che la memoria scorga il necessario tradimento.

Cloude Monet, Il ponte giapponese, 1910.

Memoria e progetto sono operato della lentezza. Lo vediamo anche nel mondo naturale, sebbene questo non sia sufficiente a comprenderne completamente i connotati umani. Ogni specie vivente ha connotati suoi propri che, pur trovando origine nel passato evolutivo, assumono lineamenti distintivi di quella specie. Memoria e progetto, è evidente che hanno radici in altre specie ma è innegabile che nella specie umana abbiano assunto morfologia e dimensioni che non sono riscontrabili in altre specie. Si tratta di invenzioni recenti, hanno avuto bisogno di miliardi di anni e non potevano esserci prima, senza il sostrato che si è costituto in precedenza perché potessero affiorare. Questo non vuol dire che ci sia stata una direzione evolutiva verso la memoria e il progetto, non amo i determinismi in tutti i loro travestimenti pseudospirituali, dico solo che c’è voluto molto tempo perché memoria e progetto venissero fuori.

Memoria e progetto non amano la velocità, sono antitetici alla velocità che connota il mio tempo, hanno bisogno di tempo e noi ‘non abbiamo tempo’. La velocità non è un valore che appartiene alla memoria e al progetto. La velocità non è un valore. Per due motivi, uno di ordine morale l’atro di ordine fisico. La velocità presume, ha la presunzione, che non vengano commessi errori nel tragitto, e poi più elevata è la velocità minore è il tempo necessario per frenare. Ecco perché la velocità non è un valore.
Ma del resto perché dovremmo ancora ragionare di valori? Con tutto quello che abbiamo da fare non c’è tempo per pensare! Primum vivere, deinde morire!

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Segnalo il sito della Banca della Memoria che raccoglie centinaia di testimonianze della memoria e ringrazio i miei amici, costruttori di ponti, per avermi segnalato questo sito e per avermi permesso di fare qualche passo sul loro prezioso ponte.