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sabato 4 marzo 2023

Soglie e dismisura

Ognuno vive dentro le proprie soglie. Le soglie sono linee che si intersecano e quando lasciano poco spazio la persona ne è schiacciata. Cerca una via d’uscita e a volte la via d’uscita è tragica. Le soglie sono di molti tipi e hanno molte origini: intime o sociali, materiali o psicologiche. Tutte ugualmente pressanti e urgenti di attenzione.
Le soglie sono limiti e confini, all’interno ci sentiamo sicuri, attraversati fanno accedere a spazi più vasti che incutono timore ma possono rivelare mondi inattesi. La soglia di casa è un confine che passa tra dentro e fuori. Non portiamo la soglia dentro casa, altrimenti la nostra casa diventerebbe più piccola. Non portiamo la soglia lontano dalla porta della nostra casa, altrimenti non sarebbe la nostra soglia, non sarebbe la nostra casa.
I desideri sono le nostre soglie più preziose e insidiose. Il loro esaudimento è attraversamento di una soglia, l’uscio che ci fa entrare in un mondo immaginato che vogliamo visitare. Quanto è lontana da noi la soglia dei nostri desideri? Possono esserci distanze incolmabili e in queste distanze perdersi. Possono esserci distanze troppo brevi che non ci fanno sentire il desiderio di desiderare. Desiderare con misura è il solo modo per costruire soglie leggere, per spostarle, perché non siano irraggiungibili, per averle alla giusta distanza. Desiderare con misura perché di desideri si muore, quando portiamo la loro soglia troppo lontano da noi e quando è troppo vicina da non poterla vedere.
Non c’è nessuno che conosca meno le soglie dei propri desideri della persona che ci vive dentro e il dramma è che gli altri ne sanno ancora meno. Capita che ci siano persone che conoscono le soglie di altri ma è altamente improbabile che si incontrino e così può capitare di incrociare qualcuno di cui potremmo capire le soglie che lo opprimono ma potremmo non saperlo mai.
Chi può dire quale sia la misura dei desideri? Nessuno lo sa. La sola cosa da sapere è che c’è una dismisura dei desideri che può esserci fatale. Una dismisura che conduce a malessere, depressione, morte. Non si impara la misura dei desideri. Si ha o no la fortuna di costruirli secondo misura ma la dismisura accomuna chi ha quella fortuna e chi non ce l’ha, perché chi è fortunato non sa di esserlo e chi non è fortunato passa la vita nello sforzo titanico di accettare la propria dismisura, a non confonderla con la dismisura del mondo e degli altri. Uno sforzo titanico per rimanere al di qua della soglia, nella comune dismisura dei desideranti. È questa comunione, forse, la sola misura dei desideri che consente a chi resta al di qua della soglia di non rompere il filo che lo lega a chi quella soglia l’ha attraversata.

4 commenti:

  1. Le soglie sono diverse per ognuno e mai di facile interpretazione, specie quando superi quelle della comune convivenza; poi ci sono soglie intime, nostre, ma su quelle potremmo scrivere mille post e ognuno li leggerebbe in maniera diversa, oppure aspetterebbe serenamente il successivo. Come accade anche con me.

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  2. Possiamo pensarci come una monade, esseri dai confini già ben delineati, autosufficienti o quasi, che escono dal loro guscio solo per necessità o perché avvertono la sferza del desiderio.
    Oppure possiamo pensarci come esseri dai confini porosi, mai definitivamente strutturati una volta per tutte, le cui strutture identitarie si costruiscono incessantemente di volta in volta e non sono mai stabili, mai definitive; strutture che creiamo socialmente col nostro stare al mondo, fin dal rapporto privilegiato che il bambino ha con gli adulti che si prendono cura di lui, fino ai nostri giorni in cui ci presentiamo agli altri in modo che questi possano riconoscerci e accettarci e, nello stesso tempo, guadagnando margini di libertà per ogni cambiamento, insito nel nostro essere in divenire.
    In questo secondi caso il desiderio non è più semplicemente un atto conativo che risponde ad un presunto istinto biologico, ma una richiesta di riconoscimento.
    Ritorna ad essere ciò che era per gli antichi greci e i romani, de- siderium, qualcosa che proviene dalle stelle, il vaticinio che attendo dall’Altro per conoscere chi sono e qual’è il senso della mia vita.
    Gli antichi conoscevano benissimo il responso delle stelle e, nel dubbio, andavano a domandarglielo attraverso l’intercessione della Sibilla, noi oggi non lo conosciamo più, e non perché le stelle non ci parlino più, ma perché ci sono troppe stelle, tante, e in contraddizione tra loro, che rischiamo più di soccombere e di esserne travolti, non di rimanere senza una risposta.
    Così finiamo per assomigliare di più ad Amleto che ad Oreste, incapaci di agire e pieni di dubbi non riguardo al da farsi, ma al nostro stesso essere.
    Chiediamo a chiunque, persino al cranio del vecchio Yorick, il buffone di corte, sepolto in una fossa comune, che almeno ci aveva fatto ridere; chiediamo a Rosencrantz e Guidestern “eccelsi buoni amici” di rivelare ciò che sono in realtà, andando loro stessi incontro alla stessa sorte che volevano riservare ad Amleto.
    Chiediamo a Polonio, prototipo del bravo psicoterapeuta moderno, che vuole indagare sulla follia di Amleto, e finisce vittima della sua stessa curiosità, scambiato per un topo, perché solo un topo si sarebbe nascosto dietro una tenda (o un lettino terapeutico), mentre ogni uomo che si rispetti avrebbe chiesto faccia a faccia ciò di cui era curioso di sapere.
    Chiediamo a Claudio e a Gertrude, rispettivamente zio e madre di Amleto, di dirci come sono andate le cose e perché, perché hanno scardinato l’ordine naturale degli eventi e del tempo (“the time is out of the joint”) e cosa resta da fare al figlio di questo re assassinato dal proprio fratello con la complicità della propria moglie.
    (segue)

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  3. E quando gli eventi si rivelano da sé, quando ciascuno si uccide col proprio stesso veleno, Amleto è li a fare la sua parte e ad accettare la propria morte come conseguenza del veleno reciproco che ormai intercorreva nei loro rapporti e come colpa per aver cercato di mutare gli eventi.
    Il desiderio, per definizione non ha misura, è sconfinato, proviene dalle stelle e tende alle stelle, vuole tutto, non tiene conto del tempo e non accetta di posticipare la propria gratificazione se non in presenza di oggetti sostitutivi o di erotizzare l’attesa (l’attesa stessa diventa desiderio).
    Per questo motivo il desiderio non può avere alcuna gratificazione reale, e resta sospeso in una domanda che non avrà mai una risposta definitiva.
    Il concetto di controllo del desiderio, che può infrangere la hybris e mettere a rischio l’ordine sociale e la sicurezza personale, è proprio dei greci; essi mettevano in rapporto la malattia, la follia o la stessa tragedia della vita umana con un desiderio che travalicava i suoi confini.
    Come mi pare di capire dalla conclusione del tuo post, tu accomuni ogni essere desiderante propria per la dismisura del proprio desiderio, che però si distinguerebbe l’uno dall’altro per la consapevolezza di una soglia da rispettare.
    Ora, che il desiderio sia l’annullamento di qualsiasi soglia, mi pare di averlo detto; aggiungo che se per un uomo dell’antichità era più semplice conoscere quale fosse questa soglia, eppure trovava molto difficile rispettarla (gli antichi eroi erano tali per aver attraversato questa soglia e per averne pagato le conseguenze, non per averla rispettata), per noi oggi non c’è alcuna soglia e per rifletterci sopra ti invito a rileggere ciò che scrive Nietzsche nello Zarathustra a proposito dell’ “ultimo uomo”: “«Che cos’è amore? E creazione? E anelito? E stella?» - così domanda l’ultimo uomo, e strizza l’occhio”.
    L’uomo moderno (l’ultimo uomo) non ha desideri, solo vaghi languori senza origine e senza direzione, che possono rivolgersi a chiunque e a qualunque cosa, dunque sorti in nessuno e rivolti a nessuno, e una volta gratificati è come se ciò non fosse mai accaduto, perché sono come la lupa dantesca che
    : “…dopo ‘l pasto ha più fame che pria”.
    Ciao

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  4. Caro Garbo, il ritardo della mia risposta è dovuto al fatto che le mail dei tuoi commenti continuano a andare nello spam e io entro ormai di rado nel blog. La mia striminzita nota non può pretendere di esaurire un tema che da sempre ci stritola. Proust da qualche parte scriveva che i bisogni nascono dalla soddisfazione di bisogni precedenti e chissà quanti potremmo citarne fino a arrivare al desiderio come motore di identità individuato da Hegel. È una nota disperata per certi versi perché “dettata” da una situazione estrema, dove il desiderio diventa qualcosa di enorme, inspiegabile, opprimente. Un desiderio di vita che non è la vita che si vive, troppo stretta dentro soglie che tolgono il respiro. Da qui l’invocazione, chissà quanto possibile, a spostare continuamente queste soglie per non attraversare l’ultima, per non desiderare la propria morte. Ti saluto.

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