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sabato 20 ottobre 2018

La cattura del gatto [Note (66)]

Nello Zhuang-zi, uno dei pilastri del pensiero taoista, si legge: “Come ha potuto il Tao oscurarsi al punto che debba essere distinzione tra vero e falso? Come ha potuto la parola offuscarsi al punto che vi debba essere distinzione tra all’affermazione e la negazione?”[1] e poche pagine dopo, “la comparsa di bene e male altera la nozione del Tao.”[2] Il Tao insegna che in origine era l’indistinto, il nulla. Sul piano cosmogonico il taoismo ha le idee decisamente più chiare di molte altre tradizioni religiose, non cade nella trappola del regressum ad infinitum, tuttavia nei suoi insegnamenti etici riecheggia lo stesso monito che risuona fin dalle prime pagine del Genesi (16,17) nell’Antico Testamento: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti.”
Indipendentemente dalla necessità o meno di un intervento esterno, sta di fatto che il nulla indistinto si cristallizza in una qualche forma. Una volta stabilita questa forma incontra le resistenze di un cosmo che a sua volta ha preso forma, non dispone più di tutta la libertà originaria (se di libertà si può parlare) ma è costretta o indotta, secondo i punti di vista, a imboccare alcune direzioni mentre altre sono ormai impossibili o incompatibili con le condizioni al contorno. Queste direzioni possibili per quanto numerose sono limitate, se non per altri motivi almeno perché devono essere compatibili con l’esistenza e permanenza della forma.
Spostandoci dall’ambito cosmologico a quello psicologico, poiché è innegabile che sia il Tao sia la Bibbia siano stati scritti da mani umane per quanto (forse) guidate, l’aspirazione al primordiale indistinto in un caso e il rinnegamento del giudizio manifestano, sebbene da punti di vista diversi, il desiderio della non esistenza, una sorta di “volontà” di non azione nelle faccende terrene per assurgere a una libertà primigenia che è tanto affascinante quanto concettualmente insostenibile.
Sicuramente di fronte all’insensatezza cosmica non si può che prendere atto della intrinseca coerenza del Tao, trattandosi di un indistinto che non agisce ma che da sé diviene, mentre l’indistinto biblico è agito da un dio che giudica del suo operato e “vide che era cosa buona”. Dall’incoerenza giudaico-cristiana non poteva che derivare un occidente schizoide, insofferente alla vita e che, alternandosi tra inazione ed eccesso di azione, si avvicina sempre più a quell’agognato nulla.
L’uomo partecipa, discrimina, trasforma, ha voglia di universalità ma non può rinunciare al ruolo attivo, all’azione, altrimenti è solo polvere indifferente. In effetti nessuna tradizione religiosa, ma neanche scientifica, prende sotto gamba questa situazione, tuttavia si tratta di capire se questa polvere vuole assumersi l’insopportabile peso della scelta, almeno fino a che è presente in forma di carne e sangue, oppure se vuole bearsi di un nulla che a conti fatti non è neanche concepibile.
Parafrasando Sartre e rovesciando il suo celebre detto potremmo scoprire che siamo liberi solo grazie ai nostri vincoli.

[1] Zhuang-zi [Chuang-tzu], Adelphi, 1992, p. 23.
[2] Op. cit., p. 26

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