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venerdì 28 settembre 2018

La cattura del gatto [Note (44)]

Che le nuove specie siano più complesse delle precedenti è da considerare con molta cautela sebbene si possa riconoscere un andamento di questo tipo nella storia dell’evoluzione degli organismi.
Cosa significano nuove specie? Quelle che vengono dopo? Dopo cosa? Dopo chi? Si invoca una chiara linearità della dimensione temporale che è troppo riduttiva per comprendere i processi evolutivi dei sistemi biologici.
Se la complessità è da riferirsi alle tipologie di organismi presenti in un dato periodo occorre considerare che la radiazione di piani strutturali – baupläne – degli organismi delle argilloscisti di Burgess, di poco successivi all’esplosione del Cambriano, circa 530 milioni di anni fa, presentava una varietà enorme che non ha più trovato riscontro nelle ere successive dopo le diverse estinzioni di massa che il pianeta ha visto. Centinaia di milioni di anni dopo i dinosauri raggiunsero un enorme livello di complessità in termini di dominio del pianeta e di persistenza delle specie. Riguardo quest’ultimo aspetto gli squali sono praticamente immutati da 400 milioni di anni, può essere un esempio di complessità praticamente “perfetta”?
Dalle scoperte paleontologiche “… è scaturita l’immagine dell’evoluzione come una serie estremamente improbabile di eventi, a posteriori abbastanza ragionevole e spiegabile in modo rigoroso ma del tutto imprevedibile e irripetibile. Se potessimo riavvolgere il film della vita riportandolo sino al tempo lontano degli organismi di Burgess, la probabilità che dal replay venisse fuori qualcosa di simile all’intelligenza umana è trascurabilmente piccola.”[1] Mentre ci intratteniamo piacevolmente sulla complessità non sarebbe inutile articolare una discussione sulle complessità.
E' necessario sottolineare un aspetto squisitamente culturale, molti organismi presentano organi estremamente complessi e questi attirano la nostra attenzione, anche scientifica, ma vi sono anche migliaia di esempi di organi e di specie dove la regressione dalla complessità (apparente? anche questo dovrebbe porre degli interrogativi), anziché la progressione, rappresenta il filo conduttore dell’evoluzione, parola estremamente insidiosa e che Darwin nelle prime edizioni dell’Origine non usò mai.
E’ innegabile ed evidente l’aumento di complessità che vediamo confrontando le altre specie e la specie umana ed è corretto interpretare le “capacità elaborative” nel contesto del “vantaggio evolutivo” ma dire che “la selezione e il vantaggio evolutivo progrediscono attraverso specie sempre più elaborative” significa affermare in nuce che un tipo di complessità (linguaggio, mentalismo) ha qualcosa di inevitabile nel contesto della selezione delle specie e in particolare dell’uomo. E' un salto insostenibile almeno dal punto di vista scientifico, ma è utile sottolineare l’importanza del metodo storico che grandi evoluzionisti come Ernst Mayr e Stephen Jay Gould riconoscono per capire l’evoluzione.
E’ indiscutibile l’enorme livello di complessità della mente umana, ma da qui a ripristinare un programma adattamentista dell’evoluzione ponendone al centro le capacità mentali è compito non privo di insidie. Qual è la necessità di ricorrere a infondate frecce del tempo per sostenere le responsabilità dell’uomo nella natura?
L’uomo volente o nolente ha capacità di esperire e conoscere, dicevo nella precedente nota, e questo è dovuto probabilmente a una natura naturans di spinoziana memoria ma “non credere affatto alla passività della materia” non autorizza ad affermarne l’attività intenzionale. Forse abbiamo bisogno di altre categorie.

[1] S.J. Gould, La vita meravigliosa. Feltrinelli, 1990, p. 10.

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