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lunedì 24 luglio 2017

Lunghi viaggi a due passi da casa

Il Quarticciolo è tra i quartieri di Roma che amo di più. A pochi passi da casa ma ogni volta che passeggio tra i suoi palazzi percorro distanze infinite. Mi piacciono i suoi viali coperti di foglie, i muri incrostati, le finestre aperte e i panni stesi. Mi piace la sua storia, la sua gente.


I palazzi sono navi alla fonda e sui fianchi sventolano bandiere di mille colori.




I bambini giocano protetti da un cortile, vigilati da sentinelle silenziose affacciate alla finestra.


Tra le giostre i bambini si rincorrono ignari del triste commercio poco distante, sotto lo sguardo di antiche madonne e occhi che dicono quello che la bocca tace ai piedi di quella che una volta era la casa del fascio.



Un colosseo abitato in fondo a un viale evoca meste immagini subito allontanate da risate e corse forsennate di bambini in bicicletta.


All'ombra della sera gli anziani si riuniscono in cerchio a far rivivere i fatti della giornata, a dir male e bene della gente, del governo e del padreterno mentre le campane della chiesa coprono preghiere e bestemmie di uomini e cicale.



2 commenti:

  1. Beh, Roma non si può dire che io la conosca, ci sono stato qualche volta, ma sempre in occasione di qualche evento attinente al mio lavoro, oppure perché inseguivo qualche suggestione artistica, qualche fascino pittorico o architettonico, della vita che ci si vive so ben poco e altrettanto poco so come ci si vive e dei suoi abitanti.
    In occasione di un congresso internazionale della mia disciplina all’Eur di qualche anno fa decisi di prolungare la mia permanenza di qualche giorno, lontano dai clamori del centro e delle zone residenziali o ad alta vocazione turistica, pensai di stabilirmi in un B&B a Porta Portese, in sostanza un piccolo residence con cucina all’interno di un caseggiato insieme a residenti del luogo.
    Uscivo dal portone centrale e mi immettevo in un viale alberato che di mattina era pieno di bancarelle, di negozietti, dal panificio usciva il profumo intenso della pizza romana, quella bianca con sale e rosmarino, che era una delizia mangiata calda, una gomma elastica se malauguratamente la conservavi per il pranzo.
    Complice il clima primaverile, la sera le piccole osterie e i ristorantini all’aperto erano molto frequentati, non c’erano turisti, solo romani, i prezzi erano contenuti, impensabili in una metropoli come Roma e ciò che mi piaceva di più era la vita sociale, intorno alle panchine si creavano capannelli di persone che abitavano in quei caseggiati che incrementavano i posti a sedere costituiti da panchine e muretti con sedie apri e chiudi portate da casa, e si facevano delle lunghe chiacchierate e delle piacevoli risate che nessun televisore o computer o videogioco può darti.
    Questo non esiste nelle città del nord dove non solo le famiglie hanno finito per costituire delle micro-cellule quasi isolate dalla realtà, ma si è giunti all’individuo isolato da qualsiasi altro che ha perso quasi il piacere di stare insieme agli altri e che deve quasi farsi violenza per socializzare.
    E’ stato molto facile fare conoscenza, bastava davvero poco, che ti vedessero per la seconda volta, che li salutassi cordialmente, che dovessero spiegarti che in quel posto non c’era menù, loro ti portavano gli assaggi di ciò che avevano e a volta nell’attesa l’assaggio di ciò che era giunto a cottura; con una bambina mi è bastato tenerle aperto il cancelletto e dirle “Prego” con un sorriso, perché lei la volta dopo mi ricambiasse il favore e ogni volta che mi vedeva mi facesse larghi sorrisi.
    È raro, infine, che gli extra-comunitari che vivono in un posto imparino bene il dialetto locale e che si integrino alla perfezione con gli usi e costumi locali, era molto strano e nello stesso tempo divertentissimo sentir parlare in romanesco gli indiani, i cingalesi, i cinesi, gli africani che avevano delle bancarelle al famoso mercato di quel quartiere e vederli gesticolare esattamente come avrebbe fatto un romano de Roma … in breve mi sono fatto contagiare anch’io, tanto che appioppavo a destra e a manca: “Ahò, a bello de casa, nun sta a fa er bavetta, che si te pijo te sdrumo!”.
    Ciao

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  2. Caro Garbo, non so se è davvero possibile conoscere una città, cambiano volto ogni volta che le guardi. Una città come Roma poi... Tu mi insegni che per conoscere le persone non basta osservare cosa fanno la domenica, bisogna guardarle attentamente anche negli altri giorni della settimana, saper ascoltare cosa dicono e soprattutto cosa tacciono. Ecco, visitare una città, una qualsiasi, seguendo solo la sua storia artistica è come osservarla di domenica quando tutto è dedicato a far bella figura e ignorare quello che fa in tutti gli altri giorni della settimana, quando si preoccupa di cosa cucinare, di quale vestito mettere perché non ce n'è uno che non abbia uno strappo, una scucitura. Sono queste le cose che osservo quando visito una città e spesso cado nelle mie suggestioni perché poi non riesco a capire se le scuciture che vedo sono della città o le mie. Mi avevi già raccontato questa tua visita a Roma e vedo che anche tu hai sentito il desiderio di farti raccontare qualcosa dalla città che non fosse solo cosa fa la domenica, con il vestito della festa. Ciao.

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