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mercoledì 3 febbraio 2016

L'angelo di Vermicino

Ci sono storie quotidiane intorno alle quali ruota il passato e il futuro, storie che racchiudono nella loro quotidianità tutto il senso di un'epoca.
Il 10 giugno del 1981 un bimbo cade in un pozzo a Vermicino, era Alfredo Rampi. Ci fu una grande mobilitazione per tentare di salvare il bambino. Angelo Licheri volle contribuire a quei tentativi facendosi calare nel pozzo. Era necessario essere di piccola statura per essere calati a testa in giù e Licheri era un uomo piccolo, pesava appena 44 kg. Licheri fu imbracato e con enorme fatica riuscì a raggiungere il bimbo ma non riuscì a salvarlo. Ce la mise tutta Licheri, rimase a testa in giù per 45 minuti, contro i 25 considerati soglia massima di sicurezza in quella posizione. La tragedia fu vissuta in diretta tv per tre giorni, inaugurando l'epoca dei reality show.
Angelo Licheri si racconta in un libro con un linguaggio asciutto, semplice come potrebbe essere quello di un anziano che racconta gli episodi della propria vita davanti al fuoco. Licheri non ha psicologismi ma un innato senso del ritmo narrativo. Racconta i fatti di una vita piena di avvenimenti in uno stile quasi giornalistico. Una vita che parte da Gavoi, dove gli eredi di Caino e Abele continuavano a contendersi i favori di Dio, per arrivare a Vermicino e altrove.
Un altro grande sardo incontrerà Licheri dopo quel disperato tentativo di salvare Alfredo Rampi, era Enrico Berlinguer, anche lui sarebbe morto da lì a pochi anni.
Oggi Licheri vive in estrema difficoltà e il diabete gli ha causato una gravissima infermità. Leggere la sua autobiografia è un modo per aiutarlo e per ritornare a quell'episodio di Vermicino che come un oscuro presagio era fin dall'inizio degli anni '80 una terribile metafora del tempo a venire.
Cercate in libreria L'angelo di Vermicino e se non ce l'hanno ordinatelo, costa 16 euro e vale la pena spenderli.

4 commenti:

  1. Ricordo la tragica morte del piccolo Alfredino. Fu straziante. Molto dolorosa. Si.
    Grazie di averci proposto la lettura del libro di Licheri e di averci raccontato di lui.
    Lo leggerò. Si.

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  2. Ricordo anch'io tutta la vicenda, magari col tempo ho perso i nomi, le date, qualche altra sfumatura, ma le emozioni suscitate quelle le ricordo tutte: strazio, dolore (come scrive Cri), ma anche quel senso di impotenza e di sconcerto ... possibile che non si riuscisse a far niente, possibile che con tutti i mezzi e le moderne tecnologie non si riesca a tirare fuori un bambino da un pozzo? Ricordo anche il tentativo di Licheri, non mi era chiaro perché fallì ... ma non avevo idea delle condizioni in cui si è trovato ad operare e immagino che per lui sia stato molto più difficile accettare l'insuccesso (ce l'aveva fra le mani, era riuscito a scorgerlo e toccarlo).
    I media (quelli italiani almeno) si resero conto del grande impatto sociale che può avere una disgrazia, il dolore reso pubblico, nacquero i reality show (come dici tu), ma morì la pietà, quella vera, perché il dolore continua a tenerci incollati alla tv, qualcuno ci piange sopra le lacrime che non riesce a piangere per le proprie frustrazioni e per la propria vita (si libera dell'emozione senza mai farla propria, senza riferirla a sé e senza fare i conti con se stesso ... piange come se fosse un altro, per il dolore altrui), ma in questo modo le tragedie vengono utilizzate soltanto come periodiche valvole di sfogo o come alibi per non vivere ciò che è rischioso in prima persona. Questo vuol dire che il dolore programmato, narrato, edulcorato, ci impedisce di sentire il dolore quello vero, di potervi accedere, di permetterci di affrontarlo, di sentirci sufficientemente forti da viverlo ... il nostro dolore intendo, e solo così possiamo essere pronti per aiutare gli altri a sostenere il loro di dolore, a com-muoverci con loro e non per loro o di loro.
    Ottima iniziativa questa di segnalare il libro di una persona che in questo momento si trova lei ad essere in difficoltà.
    Ciao

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  3. Nair, Garbo avevo 13 anni quando successe e ricordo che si rimase incollati al televisore per tutto il tempo. Oggi per me quei fatti assumono un altro significato che va oltre la tragedia di cronaca per abbracciare la tragedia di un'epoca, l'epoca della spettacolarizzazione del dramma, della distanza e dell'indifferenza assolta dalla partecipazione in remoto davanti a un apparecchio televisivo (poi diventerà un computer). Garbo tu hai esplicitato in chiave psicologica la metafora che accennavo, aggiungo poche considerazioni in chiave politica e sociale che sono legate a doppio filo con quanto dici. Passiamo in breve tempo da un mondo in cui per conoscere cosa accade dobbiamo uscire di casa a un mondo in cui per conoscere cosa accade dobbiamo restare a casa. La partecipazione è depotenziata e non solo per i fatti di cronaca. Esserci diventa inutile. Quegli anni, gli anni 80 intendo, sono l'ecatombe della partecipazione nella polis. In questa chiave che, mi rendo perfettamente conto, è una sorta di visione profetica a posteriori, Licheri tenta disperatamente di salvare quel bambino senza riuscirci. Con quel bambino in questo angolo di mondo muore la socialità, i vecchi temi della politica vengono messi in disarmo, "la società non esiste, ci sono solo individui", dirà la Thatcher, le lotte sociali saranno espulse, rimosse. Sto andando lontano, lo so, e se continuo arrivo a Regeni, il ragazzo ucciso in Egitto. Lui vedeva quelle forze all'opera lontano da qui, sapeva che non sono spente, non possono spegnersi neanche da noi, sono state messe a tacere per non disturbare la quiete dei salotti buoni, e chi le evoca è emarginato come un vecchio dinosauro prossimo all'estinzione. Mi fermo, dopotutto volevo solo scrivere un post per invitare a leggere la storia di Licheri.
    Vi saluto e vi auguro buon fine settimana.

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  4. ricordo quella vicenda per averla letta, avevo 6 anni, ho in mente qualche momento dei flash ma poca roba. La Tv entrò prepotentemente nelle case degli italiani e scoprimmo di non avere una struttura adeguata per proteggere i cittadini, da leggere

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