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mercoledì 23 settembre 2015

Proiezioni: la guerra degli specchi

Amanti - Luna Hal
Per giorni avevo in testa di aver letto molti anni fa un romanzo in cui un personaggio sente un forte impulso sessuale in prossimità della morte ma non ricordavo né l'autore né il titolo. Ricordavo di aver sfiorato la faccenda in uno scambio con Garbo in uno dei suoi bei post. Garbo stimola la mia riflessione come pochi e non lo fa in maniera narcisistica come accade con i "blogger di successo" che scrivono il loro bel post e poi lasciano che i fidi seguaci li inondino di lodi o contumelie, non importa, loro godono comunque! Garbo ama "conversare" con i suoi interlocutori, come ogni persona educata al dialogo, perché è solo nel dia-logo che il pensiero trova confronto e può svilupparsi, altrimenti resta una katoptromachia (guerra degli specchi), come è stata definita la "comunicazione" dei social in un articolo molto interessante di Vincenzo Romania.
Insomma, per tornare a questa diavolo di citazione ho cercato a lungo il post  e alla fine l'ho trovato, (Un graffio in testa 3, ma leggete anche i precedenti e i successivi. La serie si chiude con il 7) ma neanche lì citavo l'autore che cercavo. La cosa curiosa però è che poco dopo aver riletto i commenti mi è tornato in mente, è Malraux e il romanzo è La condizione umana. Volevo scrivere un post su sesso e morte, chissà, magari anche sul famigerato gender ma ultimamente sono troppo pigro e ho optato per una soluzione più comoda. Ripropongo qui quanto scritto da Garbo con un video da lui suggerito. Il testo è preceduto dalla citazione di Malraux che mi ha fatto tanto penare e da altre a sostegno di quanto affermo.

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"Kyo, io ti dirò una cosa singolare, ma che pure è vera... Fino a cinque minuti fa credevo che non te ne sarebbe importato nulla. O forse mi faceva comodo crederlo... Ci sono dei richiami, specie quando si è tanto vicini alla morte (è alla morte degli altri che sono abituata, Kyo), che non hanno nulla a che fare coll'amore", André Malraux, La condizione umana, Bompiani, 1934.

"L’uomo nella sua scelta amorosa soggiace spesso alla tentazione di conquistare quella donna che meglio risponde al particolare carattere della sua femminilità inconscia; una donna, dunque, che possa accogliere senza difficoltà la proiezione della sua anima." Carl G. Jung, L’Io e l’inconscio, Boringhieri, 1973.

"Così come si manifesta, l’eterosessualità maschile è misconoscimento di sé e quindi misconoscimento dell’altro: poiché, infatti, proiettando la propria «femminilità» sulla donna, l’uomo non riconosce più la propria «femminilità» né riconosce la donna." Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale, Einaudi, 1977.

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Sono due mondi quanto mai diversi quelli che si aprono attraverso il filtro della sessualità maschile e femminile. Non dico niente di nuovo, il vaso di Pandora è aperto da tempo, forse aperto male, a sassate, con quella storia della complesso di castrazione che potrebbe essere invece un complesso di protuberanza se non fosse per la casata che continua di padre in figlio e senza ombra di dubbio che sfiori il bimbetto che gioca con il suo scettro. A volte penso che l'uomo sia, consentimi il poco elegante calembour, una sorta di tappa buchi, il suo è un horror vacui che pensa di risolvere riempiendo della sua convessità tutto ciò che gli appare concavo, non sa fare i conti con la morte e in questo modo pensa di scacciarla. Il maschio umano, non diversamente dal maschio di altre specie, ma con l'aggravante di chiamare ragione anche l'istinto più primitivo, traduce spesso la sua sessualità con massime di saggezza come "ogni lasciata è persa". Porta in eredità un passato paleolitico quando usciva dalle caverne a caccia, insieme ai compagni. L'apparato comunicativo del maschio è indirizzato all'abbattimento della preda, azioni veloci, intesa rapida, urla, ogni ritardo può costare la vita. Nel frattempo le donne tessevano relazioni sociali, si guardavano il volto, leggevano le espressioni, azioni lente, intesa silente, ogni ritardo assicura maggiore profondità. E' già un miracolo che i due generi possano illudersi di potersi incontrare. L'unica speranza che un maschio e una femmina hanno di incontrarsi è scoprendosi omosessuali!



La sessualità non è niente di semplice e il richiamare le radici evolutive non significa ricondurla esclusivamente a quelle. Un albero non è le sue radici ma non ne può prescindere. Altrettanto interessante è sapere come sarebbe diventato quell'albero senza l'azione di potatura e se quell'albero in definitiva può esistere così come lo conosciamo senza l'azione del contadino. Sulla sessualità intervengono fattori molteplici, inutile dirlo.
La battuta di amici miei è fantastica ma non è neanche lontana parente della mia. Non c'è relazione amorosa che non abbia complicazioni e difficoltà, non sarebbe una relazione amorosa altrimenti. Due storie diverse, biografie spesso lontanissime, apparati emotivi celati l'uno all'altro e non poche volte anche a sé stessi, devono limare le reciproche intransigenze, scendere a patti con sé stessi prima che con l'altro, accogliere l'altro nel proprio sé e capire cosa dell'altro non deve essere sfiorato. Di fronte a tutto questo il corredo cromosomico è un dettaglio da quattro soldi! Crescere è un cataclisma biologico e psicologico, crescere in coppia lo è altrettanto. Nella mia battuta intendevo proprio dire che un uomo e una donna possono incontrarsi perché entrambi scoprono di essere omosessuali non solo perché stabiliscono un rapporto senza complicazioni sessuali ma perché nel gioco di proiezioni che spesso capita di osservare nelle coppie "sacramentate" vedo marte proiettare su venere la propria ombra e innamorarsi di quell'ombra senza mai scoprire la vera faccia di venere, per non parlare del suo sottosuolo. In poche parole l'uomo maschio etero dominante si innamora della donna che ha in sé e che gli hanno insegnato a reprimere, con il risultato che la donna non esiste. Il discorso meriterebbe certamente di essere approfondito e la mia battuta resta una battuta, non è certamente una prescrizione! Penso che nel lavoro di ricerca e di affermazione di sé stessi ci sia un nocciolo di conoscenza dell'altro che si nasconde a chi si sente investito dai crismi della storia e della natura. Quel nocciolo che appartiene a tutte le minoranze, di qualunque tipo, fino a quando restano tali.

4 commenti:

  1. Leggendoti mi è sorto un dubbio, noi (tu, io, Freud, Jung e molti altri) pensiamo per dicotomie: maschio-femmina, attivo-passivo, animus-anima, omo-etero … è sicuro che questa sorta di pensiero dialettico ci ha aiutato a pensare, ad uscire da alcune posizioni iniziali che avrebbero potuto coagularsi illudendoci di capire l’essere senza che potessimo darci conto del divenire, ma è altrettanto indubbio che anche la dialettica dicotomica costituisce in fondo una gabbia come tutte le altre: basti pensare ai disastri della dicotomia più usata: io-tu, o noi-loro. Dove finisco io e inizi tu in un rapporto, dove finisce il noi e inizia il loro? Quanto questi confini sono arbitrari, tracciati istante per istante? Quanto sia vitale tracciarli per delimitare qualcosa che esiste e superarli per comprendere qualcosa che sta iniziando ad esistere? Mi fa riflettere moltissimo, di fonte a pseudo-certezze “culturali”, “razziali”, “sessuali”, “politiche”, “sociali”, “scientifiche”, …, ciò che ebbe a dichiarare il mio collega Thomas Ogden in un’intervista, quando disse che tutto ciò che noi possiamo sperare come psicoanalisti consiste nella “coesistenza inquieta di una molteplicità di epistemologie”.
    Certo, Ogden voleva dar conto dell’esistenza di molte teorie psicoanalitiche invece che di una psicoanalisi (come avrebbe auspicato Freud), ma non si trattava soltanto di un discorso epistemologico o teorico, le “molteplicità” servono a superare il monolitismo e il dicotomismo a cui siamo abituati, il ridurre l’esperienza scientifica e umana (questo è la psicoanalisi: un’esperienza scientifica e umana, per questo occorrono sia categorie scientifiche sia categorie umane, categorie scientifiche che siano anche umane) ad un unico concetto o ad un’unica polarità concettuale, è un ridurre l’esperienza conoscitiva fra due soggetti a ben poco.
    So che è difficile tollerare l’incertezza, il non capire, so che talvolta è insostenibile pensare che chi si dice “esperto” non capisca, ma se partiamo dal non sapere (Socrate non è mai stato compreso abbastanza) solo allora ci può apparire una qualche forma di sapere sotto l’aspetto della fluidità (il “tutto scorre” di Eraclito) e di molteplicità (le moderne teorie del caos e della complessità).
    Attendere che le cose e le persone si manifestino per ciò che sono e non per ciò che noi vogliamo che siano, solo che noi sempre e comunque non coglieremo mai questo loro essere, ma quell’essere intrecciato al nostro, coglieremo sempre rapporti fra noi e loro, e mai soltanto loro, perché quell’essere che manifestano è ciò che loro sono per noi, ciò che loro sono con noi.
    Noi amiamo nell’altro ciò che misconosciamo di noi stessi? Amiamo nell’altro la nostra parte maschile/femminile non riconosciutala? Bisognerebbe essere un po’ più omosessuali (cioè riappropriarsi di questa parte) per accedere ad un amore più maturo? È un’ipotesi che ho seguito per parecchio tempo, ma è un’ipotesi dicotomica, appunto. Più esercito la mia professione e più mi rendo conto che se lasci essere le persone senza attenderti nulla (difficile, forse impossibile), se lasci accadere le cose e te stesso, puoi renderti conto che noi non siamo semplicemente uno, o due, siamo molti.
    (segue)

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  2. Non soltanto dobbiamo bandire la linea retta per descriverci o per spiegare ciò che siamo e come siamo (sembra semplice, ma questo vuol dire cancellare il 90% e passa di ricerche psicologiche, e non solo quelle, di ricerche scientifiche, effettuate fino ad oggi), ma dovremmo bandire pure la linea curva, il cerchio, l’eterno ritorno così come lo si interpreta, come ritorno dell’identico (non sto nemmeno a sottolineare la banalità di un “ritorno del rimosso”, o dell’ontogenesi che riepiloga la filogenesi, o delle malattie psicologiche dell’adulto come un ritorno a modalità di funzionamento infantili), per entrare nella spirale, sperando che la spirale non sia un anticoncezionale anche a livello scientifico, ma che apra euristiche finora inesplorate.
    Jacques Lacan ipotizzava un triangolo equilatero per darci conto del nostro modo di fare esperienza del mondo e di noi stessi. reale, immaginario e simbolico, il predominio di un vertice qualsiasi sugli altri due era naturalmente patologico; se una relazione fosse soltanto un gioco di specchi, io che mi identifico come uomo etero amo la mia parte femminile proiettata in un’altra donna, mi pongo sul versante prevalentemente immaginario, posso anche fare escursioni nel simbolico, ma il reale viene quasi azzerato, perché io in fondo sono innamorato di me stesso proiettato in un’altra persona, e questo vuol dire che un simile rapporto può funzionare solo se l’altra persona cessa di esistere per me come altro e si adegua a ciò che io mi attendo da lei.
    Questo è, senza dubbio, ciò che mi trovo di fronte con la maggior parte delle coppie in crisi, l’innamoramento è una “follia” che mi illude di accorciare ogni distanza, mi rende molto vicina una persona a me fino ad allora sconosciuta, abbassa fino ad annullare ogni mia diffidenza, ogni mio senso di estraneità, accorcia artificialmente ogni distanza, costruisce similitudini e identità e misconosce dissimiglianze ed estraneità.
    L’innamoramento va in crisi quando l’altro mi appare appunto come “altro”, come persona che in fondo non conosco, come fatica di dover conoscere e di dover partire praticamente da zero; in molti attualmente giunti a questo punto chiudono il rapporto esistente e cercano l’anima gemella da qualche altra parte, pochissimi sono incuriositi nel conoscere quest’altro che nel frattempo ha raggiunto con noi un certo grado di intimità, quasi nessuno percepisce che è solo attraverso quest’altro (proprio in quanto altro, che si incastra con me), che io posso conoscermi proprio come ho bisogno di uno specchio per potermi vedere.
    Questo non vuol dire soltanto che noi nel rapporto con una donna ritroviamo la nostra identità femminile negata, perché quella donna non è soltanto donna, è anche essere umano, e noi ritroviamo in lei molto di più del nostro o del suo essere donna, così come in un amico non troviamo soltanto ciò che non riusciamo ad essere, ciò che vorremmo o non vorremmo essere, ciò che è nel registro dell’immaginario o del simbolico, ma troviamo anche il reale di ciò che lui è (con noi) e di ciò che noi siamo (con lui).
    (segue)

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  3. La morte stimola la vita o l’attività sessuale? La cultura siciliana fa un’identità fra morte e stimolo sessuale e io stesso posso dirti che dopo la morte di mio padre questa impennata della libido l’ho sperimentata oltre ogni attesa, ma non era soltanto una questione di sesso, era fame di vita, la ribellione contro l’accettazione che una parte di te molto importante era appena morta, una voglia di mantenerla n vita, un tentativo di sopravvivenza.
    Sull’imbecille echiano, che vuoi che ti dica? Mi rendo conto che Eco ha le sue buone ragioni per denunciare lo scadere qualitativo del dibattito, ma lo stesso Eco ne il nome della rosa fa dire a Guglielmo che lui, al contrario di Jorge, non avrebbe paura, le proprie ragioni contro le loro, come se in fondo alla fine le buone ragioni si dovessero imporre da sé.
    L’esperienza invece ci dice quotidianamente che lo spettacolo prevale sul dibattito, la sensazione sulla buona ragione, Sgarbi su Eco, l’imbecille del bar su un Socrate redivivo e se tornasse Cristo in persona, lo crocifiggeremmo un’altra volta, e a piantare i chiodi sarebbe il papa in persona.
    È questa la molteplicità un mare sterminato e a tratti terrificante, inaccettabile, orrendo, ma è l’unico mare che c’è, dove chi volesse trasmettere qualcosa di autentico deve armarsi di pazienza, deve attendersi molti rifiuti … anzi, deve imparare a non attendersi niente (come gli antichi stoici, come Lacan che dice che la sanità mentale è credere fermamente che il domani sarà come l’oggi … o peggio, e il credere e lo sperare è nevrosi, isteria), solo così puoi piantare qualche seme che, forse, darà qualche frutto.
    Ma non sarà in ogni caso il frutto che ci aspettavamo, non un frutto che potremo mai determinare, decidere, indirizzare, influenzare in qualche modo, tutto ciò che faremo o diremo, o non faremo e non diremo non sapremo nemmeno a posteriori se e come avrà inciso sull’altro, tutto ciò di cui possiamo essere sicuri è il potere generativo, fecondativo, del nostro rapporto con l’altro.
    Quando Freud scrive di psicoanalisi inventa l’acqua calda, inventa che un essere umano parlando con un altro essere umano, interagendo con lui, ha un effetto su di lui; false (o molto limitate) si sono rivelate tutte le ipotesi su come lo influenza, questo appartiene alla singolarità e all’autodeterminazione di ciascun essere umano, che è qualcosa che sfugge persino all’interessato.
    Ti ringrazio per la descrizione che dai del mio modo di stare in rete e di cercare di interagire sul blog, è esattamente così, io cerco il dialogo, ma ancora di più cerco l’autenticità delle persone, che può passare anche per un sorriso ... o andando a schiaffeggiare insieme gli ignari passeggeri sul locale per Empoli in partenza dal binario 3 :-)
    Ciao

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  4. Caro Garbo rispondendo a te mi piace ricordare il pensiero di un uomo che ho amato tanto, un uomo complesso che ha attraversato il secolo breve, secolo di mutamenti veloci, un uomo che si è affacciato a guardare questo secolo che invece ambisce all'eterno presente. Quell'uomo è Pietro Ingrao, vissuto per la politica e attento a riconoscerne il limite che è l'umano, "lo smisurato che non si lascia misurare e che eccede l’essere sociale” e se eccede il discorso politico eccede anche il discorso scientifico, eccede il discorso religioso, eccede ogni tipo di discorso che rappresenti una qualche forma di razionalizzazione, sensu Weber. Forse solo il linguaggio poetico può abbracciare “l’indicibile di noi stessi e della relazione con l’altro che non possiamo mai afferrare fino in fondo”, non è un caso che Ingrao amasse la poesia e fosse egli stesso poeta.
    Probabilmente adotto categorie dicotomiche, o enne-tomiche. Adotto tassonomie funzionali all'intesa, ma cerco di definirle a priori e di non confondere la mappa con il territorio che descrive. C'è una fame di infinito nella conoscenza, dell'altro e del mondo, che in quanto tale non può estinguersi. Socrate aveva capito che il sapiente ama ciò che ignora più di quanto ami ciò che conosce. Non è solo un discorso epistemologico, è anche un sublime insegnamento sentimentale. Pensare di estinguere quella fame significa fagocitare l'altro, sia esso soggetto di relazione sentimentale o oggetto di studio, è una condizione patologica come quelle che hai descritto tu o che avevo in mente io quando parlavo del perverso gioco delle proiezioni. E se quando parliamo di relazioni l'estinzione della fame è pericolosa quando tiriamo dentro il discorso epistemologico la faccenda può diventare tragica. Non sappiamo e non possiamo vivere fuori dal recinto tracciato da una qualche razionalizzazione, adoriamo la prevedibilità, adoriamo portare il futuro nel presente, anche questo è affermazione di immortalità, fame di vita. Se sia bene o male non so dire ma per l'alto mare aperto navighiamo male e ritirarsi su un'isola dove ci sono strumenti sufficienti per vivere e intenderci è quasi un obbligo morale, consapevoli che l'isola di cui parlava Kant è piccolissima e che l'oceano è immenso.
    Anche io aggiungo poco al discorso di Eco, mi piaceva la consonanza tra il mio discorso sulle proiezioni "amorose" e la guerra degli specchi di cui parla Romania, per quello l'ho citato, pensando al narcisismo patologico che accomuna il discorso sentimentale degenerato e il discorso in rete o monologo collettivo, come lo definì Umberto Galimberti.
    E' vero, ogni cosa fatta o non fatta lascia un'impronta ma non sapremo mai la sua forma, è questo che ci fa disperare? Sono io che ringrazio te per le nostre "chiacchierate" che prima o poi dovremo fare seduti davanti a un bicchiere di vino, magari dopo aver schiaffeggiato ignari passeggeri sul binario... 9 e 3/4 diretto a Hogwarts. Ciao ;-)

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