Delle cose presenti e di quelle a venire. Quante le une, quante le altre, impossibile saperlo. Di questa impossibilità risuonava la corda che Blaise Pascal vedeva tesa tra l'abisso del nulla e quello del tutto.
«Quanti regni ci ignorano!»[1] dice il frammento 221 dei Pensieri, lo stesso frammento che colpì l’infinito Borges in una delle sue inquisizioni [2]. Il veggente cieco non amava Pascal, non so dargli torto. «Questi,» dice Borges di Pascal, «quando manifesta in parole incorruttibili il disordine e la miseria, è uno degli uomini più patetici della storia d’Europa; quando applica alle arti apologetiche il calcolo delle probabilità, uno dei più vani e frivoli.»[3]
Il mio sbrigativo epiteto di biscazziere dell'ignoto da straccio qual è diventa raffinato arazzo tessuto con la prosa di Borges. Eppure mi trattengo volentieri sui pensieri di Pascal proprio perché, come dice Borges, «Non la grandezza del Creatore ma la grandezza della Creazione commuove Pascal»[4]. Di fronte a quel silenzio eterno Pascal provava sgomento: «inabissato nell’infinita immensità degli spazi che ignoro e che m’ignorano, io mi spavento e stupisco di trovarmi qui piuttosto che là, oggi piuttosto che domani»[5], lo terrorizzava non potersi vedere in nessun altro dove, in nessun altro quando se non qui ed ora.
Se l'infinito creato atterriva Pascal, l'infinito non ancora creato lo meravigliava, non poteva tradire tutti i regni possibili Pascal rimanendo ancorato ai soli che gli erano noti e sapeva benissimo che le «leggi naturali, riconosciute in ogni paese» non sono altro che un povero strumento di potere nelle mani di chi non sopporta il mutamento. «Ho veduto tutti i paesi e gli uomini cambiare; e così dopo molti cambiamenti di giudizio nei confronti della vera giustizia, mi sono convinto che la nostra natura non è se non continuo mutamento, e da allora non ho più mutato [giudizio]. E se mutassi ancora, confermerei con ciò la mia opinione.»[6] «...Su che cosa fonderà l'uomo l'economia del mondo che pretende di governare? Sul capriccio del singolo? Quale confusione! Sulla giustizia? La ignora. [...] nulla si vede di giusto o di ingiusto che non muti qualità con il mutare del clima. Tre gradi di latitudine sovvertono tutta la giurisprudenza; un meridiano decide della verità; nel giro di pochi anni le leggi fondamentali cambiano; il diritto ha le sue epoche; l'entrata di Saturno nel Leone segna l'origine di questo o quel crimine. Singolare giustizia, che ha per confine un fiume! Verità al di qua dei Pirenei, errore di là.»[7]
Povero Pascal, non gli bastò restare sgomento quando scorse l’uomo teso «tra i due abissi dell’infinito e del nulla […] egualmente incapace d’intendere il nulla donde è tratto e l’infinito che lo inghiotte»[8]. Consapevole di non poter colmare quei due abissi si illuse di poterli congiungere con una scommessa. Ma era la condizione umana l’abisso che guardava con maggior sgomento l'autore dell'apologia incompiuta, l’abisso in mezzo agli abissi: «Un nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla, qualcosa di mezzo tra il tutto e il nulla.»[9] Più che ignorare l’infinito è l’essere ignorato dall’infinito che atterriva l’autore dei Pensieri, perché, in definitiva l’universo non può sapere nulla di quella fragile canna capace di pensare, infinito a sua volta e suo malgrado, ignorato dagli infiniti possibili regni. «L'uomo è solo una canna, la più fragile della natura; ma una canna che pensa. […] Ma, quand'anche l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe pur sempre più nobile di quel che lo uccide, perché sa di morire, e conosce la superiorità che l'universo ha su di lui; mentre l'universo non ne sa nulla. Tutta la nostra dignità sta, dunque, nel pensiero.»[10]
Tempo fa titolai un post con il frammento 221 di Pascal «Quanti regni ci ignorano!», nessun cenno facevo all’autore dei Pensieri eppure il post voleva essere una riflessione sui ‘regni’ che sappiamo vedere e un'invito a guardare verso la soglia del non ancora. Quanto ad eventuali regni che ci guardano o meno non so dire, credo che facesse parte della sottile presunzione di Pascal «perché è certo che non si può concepire un tal disegno senza una presunzione o una capacità infinite, come la natura.»[11] e forse Pascal poteva permettersi l'una e l'altra.
[1] B. Pascal, Pensieri. Traduzione di Paolo Serini. Frammento 221. Einaudi 1962.
[2] J.L. Borges, Altre inquisizioni. Feltrinelli, 1963, pp. 99-101
[3] J.L. Borges, op. cit. p. 100
[4] Ibidem
[5] B. Pascal, op. cit. Frammento 220
[6] B. Pascal, op. cit. Frammento 300
[7] B. Pascal, op. cit. Frammento 301
[8] B. Pascal, op. cit. Frammento 223
[9] Ibidem
[10] B. Pascal, op. cit. Frammento 377
[11] B. Pascal, op. cit. Frammento 223
Come scrivi tu, si può anche amare la filosofia! Oltre che tenerla un po' a mente.
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