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venerdì 4 marzo 2011

Storie in cerca d'autore

Solo poche considerazioni per concludere il discorso cominciato con il precedente post.
Qualche giorno fa Adriano ha pubblicato un bel post con alcune citazioni sulla scrittura, tra le citazioni ce n'erano un paio davvero straordinarie. Una di Paul Auster, tratta dalla Trilogia di New York: "Come ha detto qualcuno, le storie capitano solo a chi le sa raccontare. Analogamente, forse, le esperienze si presentano solo a chi è capace di viverle. Ma questo è un punto controverso, non ne sono sicuro.”, e l'altra di  Flannery O'Connor: “E’ l’ignoto che abbiamo dentro: scrivere vuol dire questo. E’ questo o niente. La scrittura è l’ignoto. Prima di scrivere non si sa niente di ciò che si sta per scrivere. Se si sapesse qualcosa di quello che si scriverà, prima di farlo, prima di scrivere, non si scriverebbe. Sarebbe inutile.
Da queste citazioni se ne potrebbe trarre che lo scrittore è una sorta di punto in cui le storie si incrociano, si condensano e si rendono disponibili per essere raccontate. Se le storie sono captate dallo scrittore, perché "le storie capitano solo a chi le sa raccontare" e prima di essere raccontate "non si sa niente di ciò che si sta per scrivere", allora lo scrittore (o più estesamente l'autore) è il punto di "coagulazione" di storie che appartengono a tutti. E' naturale che l'autore ci metta del suo nelle storie che racconta, perché in quei tutti c'è anche lui ma resta il fatto che le storie sono di tutti e lui ne è il portavoce. E di tutti ritorneranno ad essere dopo essere state scritte. Forse, in definitiva, le storie non hanno fatto altro che usare lo scrittore per farsi raccontare. La domanda giusta quindi non è: "a chi appartiene il testo scritto?" ma "a quali storie appartiene l'autore?", come già ci ha insegnato Pirandello quando i suoi sei personaggi irrompono sulla scena del teatro e rivendicano "consistenza".
Sono le storie a cercare gli autori e le storie non possono smettere di parlarsi tra di loro, servono a questo le citazioni, i rimandi, le allusioni tra i diversi racconti, qualunque forma essi prendano, dal saggio al romanzo, dall'articolo giornalistico a quello scientifico, dalla scritta sui muri al dramma teatrale. Le citazioni non sono solo il dovuto atto di riconoscenza, hanno anche un valore simbolico, forse metafisico, rappresentano il filo necessario a cucire la rete della narrazione che ci tiene in vita.
Senza le allusioni tra una fiaba e l'altra, senza un accenno a cosa avrebbe raccontato la notte dopo e senza un richiamo a quello che aveva raccontato la notte prima, Sherazad non si sarebbe salvata dalla vendetta del sultano.

9 commenti:

  1. In effetti, molti scrittori, dicono delle storie da loro scritte che è la storia che ha preso loro; i personaggi continuavano a vivere, prima che sulla carta, in loro stessi.
    Bel post, anche questo, Antonio: fa riflettere.
    Ciao!
    Lara

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  2. [Forse, in definitiva, le storie non hanno fatto altro che usare lo scrittore per farsi raccontare. La domanda giusta quindi non è: "a chi appartiene il testo scritto?" ma "a quali storie appartiene l'autore?"]

    Penso anch'io che l’autore non può che appartenere alle storie che premono per essere raccontate. Le storie sanno scegliersi l’autore. Le storie si parlano fra di loro e poi si addensano nell’anima dell’autore, di quel determinato autore, che le saprà riportare a nuova vita. C’è un filo di relazione che pur annodandosi non si ingarbuglia mai: ha una sapienza imperscrutabile.

    Esco “dall’isolamento volontario” per qualche sporadica boccata d’aria a pieni polmoni.
    Buon fine settimana anche a te Antonio, ciao.

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  3. Continuo a pensare che ogni possibile incantevole metafora, come quelle da te qui riportate, lasci intatto l'arcana magia della bella scrittura.

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  4. Molto interessante questo post;condivido in pieno con le tue parole.Serena domenica a presto

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  5. Grazie dei vostri apprezzamenti.
    Nounours(e), lieto di averti fatto fare questa passeggiata all'aria aperta! ;-)
    Adriano, le metafore non s-piegano, al contrario lasciano intatte le vecchie pieghe e ne aggiungono di nuove.

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  6. Caro Antonio,
    quali citazioni migliori per sviluppare un tema così complesso quale è quello della capacità di un narratore di raccontare una storia e ti faccio i miei complimenti per come sei riuscito a sviluppare questi spunti di riflessione e a legarli abilmente l’uno all’altro. La citazione di Paul Auster l’ho utilizzata anch’io tempo fa in un articolo scientifico e la condivido; ho degli amici nell’ambito dello spettacolo, capacissimi di imitare chiunque, e ho sempre trovato straordinaria la loro capacità di catalizzare avvenimenti comici, o di trasformare in comico (inavvertitamente anche) persino un avvenimento drammatico.
    Uno di loro una volta mi raccontò come a lui e alla sua fidanzata avessero un pomeriggio rubato la moto puntando contro la ragazza una pistola alla tempia, un fatto di per sé drammatico, ma man mano che me lo raccontava mi veniva da ridere e mi sono anche scusato con lui ... ma gli ho fatto notare che se uno mi dice: “Ma pensa, gli do le chiavi e non riescono neanche a metterla in moto ... sono stato costretto a dare io la pedalata della messa in moto perché me la portassero via ...”, io rido.
    C’è una grande diatriba fra chi pensa che l’artista sia lo strumento della creazione (Rilke pensava di essere lo stenografo dell’anima e molti artisti, come è già stato fatto notare da Lara e da Nounours(e) che mi hanno preceduto nei commenti, sembrano scrivere sotto dettatura, sembra che la “storia” o la poesia prenda solo forma attraverso di loro che ne sono gli inconsapevoli strumenti e gli alambicchi attraverso cui un’anima si distilla) e chi, invece, pensa di creare a partire dal caos.
    Io sarei più incline a pensare che l’arte sia una creazione, ma nei casi più riusciti una creazione “sociale”, l’artista crea e interpreta dentro il magma incandescente delle passioni, dandogli una forma che è il suo stilema, ma è anche capacità più o meno accentuata di interpretare lo stilema di un’epoca o, in caso di genio assoluto, lo stilema universale dell’umanità. Nel primo caso si tratterebbe di interpretare la “kunstwollen” o volontà artistica, la cifra artistica di un’epoca, nel secondo caso si tratterebbe di interpretare quelli che Jung chiamava archetipi fondamentali, cioè immagini primordiali, possibilità ereditarie di umana rappresentazione. In quest’ultimo caso basti pensare al David di Michelangelo o alla Gioconda di Leonardo, difficile trovare qualcuno su questo pianeta che non li definisca belli, che non esulti al capolavoro, che provenendo dal passato o dal presente, dalle aule della cultura alle montagne dell’analfabetismo, non gridi al miracolo estetico e artistico.
    Ciao

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  7. Caro Garbo, saper ridere degli avvenimenti drammatici è per certi versi un dono, ma indubbiamente l'episodio che racconti presta molti lati alla comicità!
    Amo operare una grossolana sintesi nella diatriba che citi riguardo il ruolo dell'artista, dicendo che l'artista è uno strumento del caos, ma di tanto in tanto caos e artista si scambiano di ruolo. L'artista si convince di vedere nel caos una forma, come tracciando delle linee in una nuvola di punti. Il bello della faccenda è quando tutti si convincono di vedere quello che vede l'artista!
    Davanti al David poi può succedere di tutto, conosco gente che la prima volta che l'ha visto è scoppiata a piangere come un bambino e dopo vent'anni ancora non sa spiegarsi il perché. Ciao

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  8. è come se tutto ciò che esiste fosse una materia informe che contiene già ogni forma.
    siamo investiti dalla grazia se qualcuna di quelle forme a noi si disvela...
    e la si può anche condividere.
    ciao

    cri

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