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lunedì 21 marzo 2011

Il gioco delle possibilità incompiute

So di poterlo fare! Nell'apertura di possibilità accessibili c'è la tensione del nostro agire ma sempre più spesso l'agire resta timido tentativo di accesso e la visita non avviene.
Ci dotiamo di oggetti per comunicare, muoverci, visitare mondi lontani. La tecnologia più avanzata è al servizio delle possibilità ma poi non sappiamo cosa dire, non sappiamo dove andare, diamo uno sguardo distratto a quei mondi possibili e restiamo soddisfatti della possibilità di poter agire.
Ma facciamo realmente qualcosa? O restiamo immobili, sulla soglia di quelle possibilità, contenti unicamente della possibilità di agire?
I nostri preziosi strumenti della comunicazione non rendono meno difficile la comunicazione di quanto sentiamo e, quel che è peggio, ci fanno dimenticare quanto sia difficile comunicare.
Ci piace così tanto la nostra tecnologia che abbiamo dimenticato a cosa potesse servirci.
L'agire resta nascosto dietro i suoi strumenti.

Jackson Pollock, Blue Poles: N° 11, 1952
National Gallery of Australia, Canberra

"Abramo o un qualsiasi contadino dei tempi antichi moriva «vecchio sazio della vita» poiché si trovava nel ciclo organico della vita, poiché la sua vita, anche per quanto riguarda il suo senso, gli aveva portato alla sera del suo giorno ciò che poteva offrirgli, poiché per lui non rimanevano enigmi che desiderasse risolvere ed egli poteva perciò averne «abbastanza». Ma un uomo civilizzato, il quale è inserito nel processo di progressivo arricchimento della civiltà in fatto di idee, di sapere, di problemi, può diventare sì «stanco della vita», ma non sazio della vita. Di ciò che la vita dello spirito continuamente produce egli coglie soltanto la minima parte, e sempre soltanto qualcosa di provvisorio, mai di definitivo: perciò la morte è per lui un accadimento privo di senso. E poiché la morte è priva di senso, lo è anche la vita della cultura in quanto tale, che proprio in virtù della sua «progressività» priva di senso imprime alla morte un carattere di assurdità." Max Weber, La scienza come professione, Mondadori, 2006, pp. 21-22.

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