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venerdì 24 settembre 2010

La metafisica della solitudine

"Ecco: Agostino è il primo a capire che certe questioni, viste dall'esterno, non hanno soluzione e quando capisce questo inventa il genere dell'autobiografia, le Confessioni. Ma Leibniz è il filosofo che sull'idea dell'essenziale individualità di una vita degna del nome di «personale» edifica una metafisica. C'è in questo un che di profondamente irriducibile, che ha costituito una delle categorie costanti del mio pensiero: la categoria di unicità." Roberta De Monticelli[1]

E' vero. Leibniz, con le sue monadi, in qualche modo concepisce una metafisica dell'unicità dell'individuo ma c'è qualcosa di disperato in quella metafisica. Le monadi di Leibniz "non hanno finestre", nulla da cui potersi affacciare, nulla che possa permettere l'entrata della luce. La monadologia è in realtà la più struggente metafisica della solitudine. Le  monadi sono di una tristezza incommensurabile, sembra che comunichino tra loro ma è solo apparenza, un infinito silenzio le separa, le monadi non possono comunicare. "In realtà ciascuna monade è un'anima"[2], ciascuna anima è una monade. Per colmare quel desolante silenzio quella mente eccelsa non ebbe paura di abbracciare il ridicolo. Solo la certezza che tutte le monadi avessero sogni simili nello stesso momento poteva salvare da quella terribile visione. Chiamò "armonia prestabilita" la sua salvezza. Una "peculiare metafisica" la definisce Bertrand Russell. Certamente peculiare, ma di fronte a quel mare di silenzio che circondava le monadi che Leibniz aveva visto con gli occhi della mente come poteva sopravvivere senza pensare che quello fosse il migliore dei mondi possibili?  Solo con quella musica Leibniz potè sopravvivere nell'assordante silenzio delle monadi.
Forse Voltaire con il suo Pangloss è stato troppo impietoso con Leibniz, forse non aveva capito la profonda tristezza di quell'uomo. Eppure neanche il mio adorato Voltaire poteva fare altrimenti.
Forse anche tu, cara De Monticelli, stai parlando della profonda solitudine dell'individuo. O sono io a farlo?

[1] D. Monti (a cura di) Che cosa vuol dire morire, Einaudi, 2010, p. 90. Un libro che consiglio vivamente di leggere. Il libro raccoglie le riflessioni sulla morte, o sul fine vita come si suol dire, di Aldo Schiavone, Giovanni Reale, Remo Bodei, Roberta De Monticelli, Vito Mancuso ed Emanuele Severino. Ho litigato più volte con qualche pagina, in particolare con quelle di Severino (a farla breve direi che tra ragion pura e ragion pratica c'è uno smodato squilibrio a favore della ragion pura nelle pagine di Severino). Di solito discuto animatamente con i libri che amo di più.
[2] B. Russell, Storia della filosofia occidentale e dei suoi rapporti con le vicende politiche e sociali dall'antichità a oggi, Mondadori, 1984, p. 558.

8 commenti:

  1. ..ecco, accontentarsi di dire ,da qualche parte arriva.. e orecchie e occhi invisibili ascoltano e guardano..non aspettare risposte e condivisioni ,soprrattutto attraveso il giocattolo che non ti diverte più e che hai voluto rompere
    Avrai notato la mia poca presenza, il senso che io dò è trasmettere la sintesi di una storia di un racconto di un'emozione di una vita o di una visione che scruta l'oltreconfine
    Ognuno è in compagnia del suo essere solo e unico
    a presto anton
    ach

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  2. Grazie Antonio per il suggerimento, sembra un libro molto interessante.
    La concezione monadologica di Leibniz non tiene conto di una ecologia di interrelazioni e interdipendenze . E’ proprio il concetto di ‘anima’, ovvero di un’ ‘entita’ separata dal corpo e quindi di monade isolata e ‘senza finestre’, che riduce il tutto in un dualismo, tra i tanti dualismi, quello di corpo e anima (o ‘mente’, oppure ‘io’), che e’ la piu’ grande tristezza, la piu’ pericolosa di una matafisica erroneamente intesa come trascendenza e asceticamente di carattere egoico di retaggio cristiano. Nulla e’ stabile, permanente, sia ‘spirituale’ che ‘materiale’, e questo la continua metamorfosi in divenire del barocco ce l’ho potrebbe insegnare , come direbbe Gilles Deleuze, che di Leibniz ne ha fatto una sua filosofia “la piega e’ inseparabile dal vento”. Ma Deleuze nel suo ‘Leibnitz et le Baroque’, parla di comunque di ‘anima/anime’, seguenzo Leibnitz e, nonostante gli rimane fedele, dice che “nel Barocco l’ anima intrattiene una complessa relazione con il corpo. Per sempre indissociabile dal corpo...” (traduzione mia dall’ inglese, sorry). Ma resta sempre un monadologista (?)

    Fabrizio

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  3. ho fatto qualche errore nello scrivere veloce: 'ce l'ho' invece di 'ce lo' e poi altri piccoli a seguire, scusate.

    Fabrizio

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  4. Grazie per i vostri commenti.
    Ach, volendo essere sintetici il giocattolo l'ho rotto perché mi stava stretto. Ho bisogno di spazio per pensare, ho bisogno di tempo e qui, finora, mi pare di avere una dimensione mi sia più consona...diciamo che su fb si stava poco soli! Mi piacciono le visioni che scrutano l'oltreconfine, non chiedo di meglio durante una giornata qualsiasi.
    Fabrizio, sei riuscito a rompere il muro del silenzio?! me ne rallegro. A pensarci bene il supposto dia-logo tra corpo e anima è un passo avanti rispetto alle monadi di Leibniz, una sorta di rimedio consolatorio, come dice ach "ognuno è in compagnia del suo essere solo e unico"! In quanto alla dimensione ecologica ed interrelazionale, come non essere d'accordo? Un attimo!...Vuoi vedere che alla fine scopriamo di essere in un'unica gigantesca monade? Se è così, allora è meglio non avere finestre perché si affaccerebbero sul nulla!

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  5. Ah, chissa, forse potrebbe essere un altro pieno nulla!

    Cipolla.

    Fabrizio

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  6. Splendido post, anche commentato 5 anni dopo! Grazie.

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    1. grazie, apprezzo molto chi legge post del passato in questo mondo dei blog dove tutto è presente e quello che è stato scritto due settimane prima è già vecchio, saluti

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