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mercoledì 28 luglio 2010

Se questa è razionalità

I modelli sono rappresentazioni della realtà, sono utili schemi mentali che ci permettono di interpretare il mondo che ci circonda e lo fanno perché a loro volta producono un'immagine mentale del mondo. Questa caratteristica li rende al tempo stesso lenti utili per osservare il mondo e inevitabilmente filtri al mondo. Fin qui nessuna novità, tutto sommato si tratta di una variazione su un tema che aveva già solleticato Tommaso d'Aquino (Veritas: Adaequatio intellectus ad rem. Adaequatio rei ad intellectum. Adaequatio intellectus et rei.),  con la differenza che a mio modesto avviso l'adaequatio non può dirsi mai compiuta, altrimenti, come direbbe un altro dottore della Chiesa, sarebbe come voler svuotare il mare con un bicchiere! Ma lasciamo perdere le diacroniche dispute dei dottori della Chiesa che non sono materia facile.

Perché i modelli siano effettivamente utili ad orientarci nella complessità che ci circonda devono essere semplici rispetto alla complessità del mondo, non possono contenere tutti i dettagli altrimenti sarebbero inutili, come la mappa perfetta di Borges ("una mappa dell'impero che aveva l'immensità dell'impero e coincideva perfettamente con esso", Jorge Luis Borges, Del rigore nella scienza. In L'artefice, Adelphi). Tuttavia, pur nella necessaria semplificazione, i modelli che rappresentano il mondo devono rispettare dei vincoli e solitamente si sostiene che siano i modelli a doversi adeguare o, meglio, avvicinare al mondo e non viceversa. Questa affermazione ha implicazioni davvero molto complicate: come può un modello mentale essere adeguato al mondo se è il primo e unico strumento attraverso cui conosciamo il mondo? Inoltre, ci sarebbe da specificare che la semplificazione dei modelli è una trasduzione di scala dei fenomeni ma il discorso si complicherebbe ulteriormente. Qui scarto di lato e dico che un blog è pur sempre un blog e non può certo essere il posto per trattare simili questioni! Per quanto io non sia un esperto del settore direi che anche l'economia che vediamo operare nel mondo occidentale è un modello, un gigantesco modello che rappresenta e regola le esperienze di scambio tra gli esseri umani. Ora di tutti i modelli questo mi pare quello più esposto al pericolo di diventare simulacro sostitutivo del mondo. Oserei dire che si tratta di un modello che in-forma il mondo dei suoi vincoli, insomma a farla breve non è il modello che si adegua al mondo o che imita il mondo ma il rovescio. Il rischio dei modelli è infatti quello di trasformarsi da lenti o filtri a veri e propri freni per la comprensione del mondo, in altre parole possono diventare una sorta di gabbia cognitiva. "La scienza è vera. Non fatevi traviare dai fatti." sostiene il credo di Finagle.

Ma quali sono i fondamenti del modello economico neoclassico? Qui lascio la parola a chi di queste faccende ne sa sicuramente più di me (Mauro Bonaiuti, Introduzione al testo di Nicholas Georgescu-Roegen, Bioeconomia. Verso un'altra economia ecologicamente e socialmente sostenibile. Bollati Boringhieri. 2003). Alcuni passaggi possono risultare ostici ma vi assicuro che vale la pena perderci un po' di tempo e poi se li ho capiti io allora significa che non sono proprio difficili.

«La moderna teoria del consumatore, come del resto l'intera economia neoclassica, si basa su una lunga serie di assunti o ipotesi. Tra questi, alcuni hanno un carattere generale, o potremmo dire antropologico, sono cioè relativi alla concezione dell'uomo sottesa dalla teoria. Altre hanno un carattere più tecnico e servono a garantire la deducibilità, date certe premesse, di alcune conclusioni «desiderate» (unicità, stabilità dell'equilibrio ecc.). Insieme costituiscono l'intelaiatura assiomatica su cui si regge l'intero edificio neoclassico.» [...]
«L'homo oeconomicus è razionale. Tutta la scienza economica è informata dal principio di razionalità.» [...]
«Secondo la teoria neoclassica l'unità di analisi è l'individuo: il comportamento economico è determinato dalla somma di comportamenti individuali. La dimensione sociale o di gruppo è assente dall'analisi economica standard. Difficilmente si potrebbe immaginare un'ipotesi più irrealistica di quella secondo cui il comportamento economico è astraibile dalla dimensione sociale.» [...]
«Universalismo o naturalismo. E' la concezione secondo cui l'economia rispecchia leggi naturali. Ciò porta a considerare le leggi economiche come tendenzialmente universali, cioè a-storiche, applicabili in ogni contesto geografico, storico e culturale.» [...]

«La teoria neoclassica del consumatore ha, come tutte le analisi logico-deduttive, meriti innegabili. Essa ha il pregio di sgombrare il terreno da equivoci e di impedire comuni errori di pensiero: date certe premesse è possibile dedurre certe precise conseguenze. Tuttavia i suoi meriti oggi non vanno molto oltre questo punto. Non solo la concezione dell'uomo su cui si fonda è, come abbiamo visto, inadeguata, ma anche le ipotesi più tecniche che la caratterizzano sono, come vedremo, irrealistiche se non addirittura pericolose per la sopravvivenza della specie. Non stupiscono pertanto le scarse capacità previsionali della teoria ortodossa, in particolare per quanto riguarda gli effetti della dinamica capitalistica sugli equilibri biologici, ecologici e sociali.
La teoria neoclassica del consumatore è basata su una serie di ipotesi che riportiamo di seguito per completezza:
1) L'homo oeconomicus (HO) fronteggia combinazioni alternative di diversi beni che non implicano né rischio né incertezza. Ogni punto X=( x1, x2, ..., xn) è una «allocazione» (o paniere, formato dalle quantità misurabili x, del bene 1, 2, ..., n).
2) Dati due panieri di beni X' e X'', l'HO preferirà l'uno o l'altro, o considererà le due alternative come indifferenti. L'indifferenza è una relazione simmetrica, la preferenza no. Scriviamo: X' P X'' per la preferenza e X' I X'' per l'indifferenza.
3) Le preferenze dell'HO non cambiano nel tempo.
4) Ipotesi di non sazietà. L'HO non è mai sazio: dato un paniere qualsiasi X'; allora X" è preferito a X' se X" è ottenuto aggiungendo a X' una quantità positiva di almeno un bene.
5) La relazione di non preferenza N (la negazione di P) è transitiva. Cioè, se X' N X'' e X'' N X''', allora X' N X'''.
6) Ipotesi di stretta convessità delle curve di indifferenza: se X' N X''X' N X''', allora X' N [aX'' + (1-a)X'''], dove 0≤a≤1

Estratto da Mauro Bonaiuti, Introduzione al testo di Nicholas Georgescu-Roegen, Bioeconomia. Verso un'altra economia ecologicamente e socialmente sostenibile. Bollati Boringhieri. 2003. pp. 17-25.

Lasciando perdere i tecnicismi della ipotesi 6, vi sembrano ragionevoli (non dico razionali, intenzionalmente) le altre ipotesi? Bonaiuti continua «L'ipotesi 1 esclude rischio e incertezza dall'analisi. [...] L'ipotesi 2, insieme alla 5, definisce quella che potremmo chiamare l'ipotesi di razionalità. In altre parole il consumatore è sempre in grado, posto di fronte a un'alternativa, di esprimere la propria preferenza." (Op. cit., pp. 25-26) Questo peraltro implica che il consumatore dispone di informazioni perfette circa le diverse alternative. Inoltre, a proposito della ipotesi 5, pensate ai rapporti umani: A non sopporta B e B non sopporta C ma A e C sono amici per la pelle. Bene, A e C si sbagliano! Secondo l'ipotesi 5 dovrebbero essere acerrimi nemici!!!!
«L'ipotesi di razionalità svolge dunque un ruolo fondamentale nell'ambito della teoria neoclassica: quella di garantire che tutte le possibili alternative siano ordinabili lungo un'unica dimensione, l'utilità.» (Op. cit., p. 26) ma non è possibile ordinare i «panieri» lungo un unico indice unidimensionale (l'utilità appunto) quando si abbia a che fare con beni non sostituibili tra loro. Il pane non sostituisce il bisogno di giustizia. Inoltre, i bisogni umani sono sempre multidimensionali e la felicità è sempre legata ad una molteplicità di bisogni congiunti e variabili che quasi mai sono ordinabili lungo un qualche asse.

Il vero capolavoro è rappresentato dalle ipotesi 3 (invariabilità nel tempo delle preferenze) e 4 (ipotesi di non sazietà). L'ultima ipotesi è davvero straordinaria, «una quantità maggiore di un bene è sempre preferita a una quantità minore (per ogni bene). In altre parole il consumatore non è mai sazio. [...] l'ipotesi di non sazietà è al tempo stesso biologicamente infondata e soprattutto estremamente pericolosa. [...] gli organismi biologici in generale, e i mammiferi in particolare, non mirano a disporre di quantità «massime» di alcuna variabile, quanto piuttosto al raggiungimento di un equilibrio omeostatico [...] Il troppo, come il troppo poco, è sempre da considerarsi pericoloso nel mondo biologico.» (Op. cit., p. 27).
Insomma, in natura la massimizzazione è poco più di una barzelletta quando non è una condizione patologica! Come del resto lo è la morbosa attenzione dei modelli dell'economia ai comportamenti competitivi a fronte dell'abbondanza di esempi di comportamenti di cooperazione in natura e tra gli umani. «Si potrebbe dire che tutta la razionalità occidentale è ispirata al principio e alla prassi dell'efficienza. Tutta l'economia insegnata nei corsi di base impartiti nelle università occidentali si ispira a tale, unico, principio fondamentale: l'efficienza. Essa spinge le imprese a minimizzare i costi nella prospettiva di massimizzazione dei profitti. Una maggiore efficienza è infatti il criterio che consente alle imprese di risultare vincenti nella dinamica competitiva, di superare la selezione attuata dai mercati.» (Op. cit., p. 45). Questa visione distorta nasce dal presupposto che «il comportamento economico è determinato dalla somma di comportamenti individuali», una autentica sciocchezza che l'autore della Ricchezza delle Nazioni non ha mai affermato! Smith era sicuramente convinto che l'individuo sa meglio di chiunque altro cosa è bene per sé e su questo non ci piove, ma l'individuo di Smith era assai più complesso dell'uomo a una dimensione che è sopravvissuto e il bene che perseguiva aveva una dimensione sociale che l'individuo odierno sembra aver perso.


«Nella corsa alla ricchezza, agli onori e all'ascesa sociale, ognuno può correre con tutte le proprie forze, […] per superare tutti gli altri concorrenti. Ma se si facesse strada a gomitate o spingesse per terra uno dei suoi avversari, l'indulgenza degli spettatori avrebbe termine del tutto. […] la società non può sussistere tra coloro che sono sempre pronti a danneggiarsi e a farsi torto l'un l'altro.» Adam Smith, Teoria dei sentimenti morali, 1759.
Raccomando vivamente la lettura della Teoria dei sentimenti morali e di questo link per capire quanto il pensiero di Smith sia stato travisato.

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In questo video si può vedere un esempio pratico del funzionamento dell'attuale modello economico. Sono convinto che seguirlo attentamente sia più utile della lettura di mille trattati sul capitalismo. (leggi anche questo post)

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