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sabato 3 ottobre 2009

Consigli di lettura

Nelle mie peregrinazioni internautiche serali ho trovato questo blog (bioetiche.blogspot.com) molto interessante e scritto bene che ho messo nell'elenco dei miei siti preferiti. Il soggetto è esplicito, tratta di temi bioetica, si trovano notizie e commenti su questi delicatissimi temi che spesso sono ritenuti, a torto, il terreno per disquisizioni sterili che ognuno può affrontare perché basta avere un'opinione! Per certi versi è vero, ma un po' di cognizione di causa non guasta.

Ho letto diversi post di questo blog e devo dire che trovo un'assonanza con quanto penso che non mi dispiace affatto. Non mancano ovviamente le differenze, guai a non averne, il dialogo con gli altri sarebbe un monologo senza possibilità di confronto, un vicolo angusto e cieco dove a molta gente piace sostare come se fosse in un campo aperto.

Segnalo un post dedicato ad un articolo di Roberta De Monticelli in risposta ad un articolo di Vito Mancuso. Nel suo articolo il teologo affermava la necessità di un fondamento trascendente per l'etica. Apprezzo molto il pensiero di De Monticelli ed anche quello di Mancuso (con una gigantesca epoché quando il teologo si occupa di evoluzionismo!). Non fu solo la De Monticelli ad essere sorpresa dalla posizione di Mancuso, anche Paolo Flores d'Arcais scrisse un articolo in cui rilevava i punti deboli del supposto nesso tra umanesimo ateo e nichilismo.

Devo ammettere che anch'io, nel mio piccolo, rimasi abbastanza stupito dopo aver letto l'articolo di Mancuso. Da teologo Mancuso vede nella dimensione spirituale divina lo sfondo omnipervasivo delle cose umane, ed è in questo sfondo che si confrontano le diverse visioni etiche degli uomini, di quelli atei come dei credenti. Mancuso andava oltre, affermava che un'etica laica (o atea) "non è conforme con la negazione di un fondamento ontologico" e che la presenza di comportamenti etici senza riconoscere il fondamento spirituale è frutto di un inganno logico. Nonostante l'affermazione apodittica, a Mancuso va riconosciuto il merito di non mettere in discussione la libertà dell'assenso al 'dono' della fede. In sostanza, per Mancuso esiste una verità ontologica (Dio) che gli uomini sono liberi di abbracciare oppure no.
De Monticelli però vede qualcosa di molto pericoloso nelle parole di Mancuso, la filosofa giustamente avverte il teologo: "Vito, non puoi esigere che chiamiamo Dio la dimensione 'spirituale' della vita, l'amore o la relazione ordinata da cui veniamo" esortandolo a non confondere "l'ethos - che è lo stile di vita e la scala di valori, la vocazione e la fede, l'identità personale o morale di ciascuno - con l'etica, che è il dovuto da ciascuno a tutti".

Per quanto riguarda la relazione tra umanesimo laico e nichilismo morale, individuato da Mancuso, De Monticelli scorge nell'Eutifrone di Platone l'argomento che ne dissolve il nesso, precisamente nella domanda che Socrate pone ad Eutifrone: "il bene è caro agli dei perché è bene, o è bene perché è caro agli dei?". Nel primo caso non è consentito affermare che "se Dio non esiste, tutto è permesso", con buona pace di Dostoevskij e di Ivan Karamazov. "L'etica viene prima", dice De Monticelli, perché è la "condizione della libertà di fronte alle cose ultime". In sostanza De Monticelli porta alle inevitabili conseguenze il discorso della libertà che è caro anche al teologo ma che, nell'articolo in questione, non sembra accorgersi della 'non conformità' di quanto afferma con la libertà.

Questo discorso della libertà in effetti è abbastanza insidioso, perché può avere conseguenze ancora più estreme di quelle che il fondativismo ontologico di De Monticelli consente. L'etica viene prima e il bene è il suo sfondo, sono d’accordo, ma è possibile trovare un fondamento nel bene più di quanto non sia possibile trovarlo in Dio? Io sono convinto che, nelle due possibili risposte alla domanda di Socrate, il problema resti inscritto nella verità, nel "fondamento ontologico" appunto, che per Mancuso è Dio e per De Monticelli è il bene. Non dico che il bene non sia qualcosa su cui fondare la nostra etica ovviamente, dico soltanto che il bene è qualcosa da costruire e che rappresenta un punto di partenza (non un fondamento ontologico) del discorso sull'etica che tuttavia può presentare molteplici facce in relazione alla provenienza storica e culturale dei soggetti. Se c’è qualcosa di dato per sempre, qualunque cosa sia e qualunque nome gli si voglia dare, non è più concepibile alcuna apertura della storia né alcuna libertà. Al massimo è possibile concepire un progressivo approssimarsi ad un nocciolo ontologico che ci attende speranzoso di essere raggiunto o in indifferente attesa di essere raggiunto. Questa concezione della storia mi sembra troppo “razionale” e “progressista”. Non che io preferisca l’irrazionalità, tutt’altro! però sono abbastanza scettico quando la razionalità di hegeliana memoria mi sembra piuttosto il bisogno di porre un rassicurante ordine nella contingenza dell’esistenza e in quanto alla razionalità di ciò che accade io ho una visione più modesta e mi accontento della ragionevolezza, in alcuni casi.

De Monticelli, nell’articolo citato, liquida troppo frettolosamente il pensiero di un "influente filosofo postmoderno". In Addio alla verità (Meltemi ed., 2009) Vattimo scrive che "sia Adorno che Sartre riconoscono, ma solo implicitamente, che l'ideale della verità-totalità comprende in sé uno sfondo di violenza" (p.10) e su questo punto De Monticelli non può dissentire, neanche e soprattutto facendo ricorso a Platone che, stando a Popper e a Russell, non può certo essere considerato un campione di democrazia! Che il fondamento della verità si chiami Dio o bene non è indifferente per un discorso di etica laica - ed è importantissimo che bene non sia scritto con la maiuscola - ma il problema centrale resta. Ci sarà sempre qualcuno che brandirà questo fondamento, comunque lo si chiami, e si presenterà al resto dell'umanità come depositario e custode della verità. Vattimo chiarisce questo punto in maniera cristallina quando afferma "se con l'assunzione del destino nichilistico della nostra epoca prendiamo atto di non poter disporre di alcun fondamento ultimo, è tolta ogni possibile legittimazione alla prevaricazione violenta sull'altro." (p.104)

Il nichilismo non può essere ridotto esclusivamente alla dissoluzione di tutti i principi e i valori. Il tanto vituperato Nietzsche, oltre alla caduta dei vecchi valori che reggevano il mondo (scopo, unità, verità) ha parlato anche della loro trasvalutazione, del loro riposizionamento, ha parlato di un “nichilismo attivo”, ovvero della “possibilità di iniziare una storia diversa”, come dice Vattimo. Nietzsche dice che non si possono dare più valori indefinitamente veri, non che non ci siano più valori. Questa è una lettura buona per un’omelia, non per discutere dell’abisso che ci ha indicato Nietzsche quando ci ha mostrato “il più inquietante fra tutti gli ospiti”. Heidegger diceva che “non serve a niente metterlo alla porta, perché ovunque, già da tempo e in modo invisibile, esso si aggira per la casa. Ciò che occorre è accorgersi di quest’ospite e guardarlo bene in faccia”. Vattimo sostiene che “Se si vuol cor-rispondere davvero alla dissoluzione dei principi, non pare esservi altra via che quella di un’etica esplicitamente costruita intorno alla finitezza. […] Nell’etica della finitezza il rispetto dell’altro non è neanche remotamente fondato sul presupposto che egli sia portatore della ragione umana uguale in tutti […] Rispetto dell’altro è soprattutto il riconoscimento della finitezza che ci caratterizza entrambi, e che esclude ogni superamento definitivo dell’opacità che ognuno porta con sé” (pp.100-103). Se accettiamo questa visione, non resta che la continua “costruzione di un consenso e di una amicizia civile che renderanno possibile anche la verità nel senso descrittivo del termine” (p.27) e la realizzazione di “un’etica ‘responsabile’ rispetto alla propria epoca” che cerchi di corrispondere ad “un’eredità culturale essa stessa molteplice e rappresentabile solo con un atto responsabile di interpretazione, che non dà luogo ad imperativi univoci” (p.96).

Il nichilismo è il tavolo intorno al quale siamo seduti a discutere, nel tentativo che l’abisso al centro di quel tavolo non ci trascini via. I nostri racconti, tutti i nostri discorsi tessono la trama che ci tiene saldi e lontani dall’abisso. Discorsi che ci tengono in perenne vorticoso movimento. Quando un discorso raggiunge un punto fermo cade tutto, come una bicicletta quando si smette di pedalare. Il nichilismo è il riconoscimento che la bicicletta non può fermarsi, l’etica della finitezza che nasce dopo aver guardato bene in faccia l’ospite inquietante è il riconoscimento che la bicicletta non deve fermarsi.

***

Il “fondamento delle cose” esercita da sempre un indiscutibile fascino, la sua ricerca ha impegnato fior di pensatori. Tutte le volte che ne sento parlare, o che lo vedo implicato in qualche ragionamento, non posso fare a meno di ricordare il bellissimo racconto “Micromegas” di Voltaire, in cui un gigantesco abitante di Sirio visita la terra insieme ad un altro gigante di Saturno, quest’ultimo molto più piccolo del primo. I due giganti hanno nozioni filosofiche e scientifiche inimmaginabili per noi umani, ed il primo più del secondo. Nell’incontro con gli uomini della terra, dopo notevoli peripezie dei due giganti prima che si accorgessero di quelle minuscole creature, intavolano una serie di argomentazioni filosofiche. Al termine della discussione decidono di scrivere per gli uomini un libro dove avrebbero fornito spiegazioni del “fondo delle cose”. I giganti sono ormai partiti e l’apertura del libro davanti ad una commissione di dotti rivela pagine bianche.

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