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martedì 30 giugno 2009

I drammi facili facili

E' estremamente facile licenziare 200 persone, ancora più facile se si tratta di 200 risorse umane, se poi si tratta di 200 unità lavorative allora è proprio una passeggiata. E' così che le cose drammatiche diventano facili facili. Probabilmente è un modo per rimuovere un evento drammatico dall'orizzonte della propria emotività, probabilmente è l'unico modo di esprimersi di una emotività ormai afona, probabilmente è ciò che resta dopo la soppressione dell'emotività. (A scanso di equivoci e per farla breve io intendo per emotività ogni esperienza cognitiva intima e profonda che mi pone in relazione empatica con l'altro, un'esperienza che muove dal riconoscimento consapevole della propria inevitabile incompletezza e che cerca nell'altro, altra faccia di me stesso, il proprio complemento).

In un tempo lontano, diciamo tra 5 e 10 anni prima, un Ente statale prende 200 soggetti, tutti con la loro esperienza di lavoro, a volte pluriennale, gli fa un contratto come lavoratori a progetto, come collaboratori coordinati, collaboratori a partita IVA, li fa lavorare in attività istituzionali, di quelle attività la cui rilevanza, anche economica, richiede una continuità contrattuale compatibile con un contratto a tempo indeterminato, ma questi sono dettagli per gente naif (così si rischia di essere etichettati oggi se si ha ancora un codice etico).
Naturalmente il lavoro che fanno non è compatibile con altri incarichi, l'Ente chiede l'esclusiva e anche se non sono pagati tanto non possono crearsi una rete di relazioni professionali che assicuri un altro lavoro. Questi soggetti credono e gli hanno fatto credere, a buona ragione, che quello che fanno non può essere in alcun modo sospeso per cui il loro contratto sarà sempre rinnovato ed un giorno, chissà, saranno definitivamente assunti dopo un concorso. Invece ad un certo punto il loro contratto viene lasciato scadere, nel silenzio assordante dei più ed il giorno dopo i duecento non hanno più lavoro.
Dopotutto erano lavoratori a progetto, in tutti questi anni avrebbero dovuto abituarsi alle intemperie della flessibilità!
Visto! Non è così difficile. Basta un artificio linguistico, basta parlare di un gruppo di soggetti.

Più difficile, assai più difficile è passarle in rassegna tutte e 200 queste persone, con i loro nomi e cognomi, con le loro biografie, le loro aspirazioni, le loro storie familiari, le loro storie individuali. Cominciare con il primo e proseguire uno dopo l'altro, lentamente, fino all'ultimo:
Chiara A. 35 anni, lavora nello stesso istituto da 5 anni, è una biologa, adora il suo lavoro ed ha un compagno, vorrebbero cambiare casa ma non possono avere un mutuo, anche lui lavora in maniera saltuaria ....
Lucia C. 41 anni, ingegnere ambientale, lavora da 7 anni nello stesso istituto, sua madre non sta bene e non sa nulla che lei sta per perdere il lavoro, Lucia non le ha detto nulla per non farla preoccupare....
Alfredo S. 50 anni, sistemista di rete, lavora nello stesso istituto da 8 anni, è sposato ed ha una bambina di 6 anni, non sa come dire a sua moglie che domani non andrà al lavoro....
Raffaele R., 36 anni, è un chimico e lavora nello stesso istituto da 6 anni, vive con i suoi ma vorrebbe andare a vivere per conto suo, suona la chitarra, si è innamorato ma non si sente ancora pronto....
Luca A. 40 anni, lavora nello stesso istituto da 7 anni, è uno statistico, ha due figli, è divorziato, sua moglie non riusciva a vivere una condizione di continua instabilità professionale, lui vorrebbe un'altra famiglia ma ha paura che si ripeta la stessa storia che ha già vissuto....
Maria L. 37 anni, lavora nello stesso istituto da 5 anni, quando si è laureata in fisica ha promesso ai suoi genitori che li avrebbe aiutati a ristrutturare la loro casa in campagna, ma a Roma la vita è cara e da quando si è trasferita per il lavoro non riesce a mettere da parte molti risparmi....
Federica V. 39 anni, è una biologa marina ed è appassionata del suo lavoro, quando 9 anni fa è entrata in questo istituto ha pensato che aveva una grande responsabilità, sono più di dieci anni che continua a viaggiare tutti i fine settimana per stare con la sua famiglia, vorrebbe comprare una casa qui ma nessuna banca è disposta a darle un mutuo, il suo contratto non lo consente....
Michele G. 37 anni, lavora nello stesso istituto da 5 anni, esperto informatico, vorrebbe....
E via e via e via, uno dopo l'altro fino al duecentesimo. Ci vorrebbe qualche ora solo a nominarli tutti dedicandogli poche righe per ciascuno. Alla fine ne saremmo stremati, solo con pochi cenni per ciascuno.
Invece è molto più facile dire che 200 unità erano in sovrannumero e che le esigenze di ottimizzazione delle risorse richiedevano un taglio delle unità lavorative.

Oggi nell'Istituto dove lavoro è successo questo, i vertici dirigenziali, inerti e invisibili, hanno onorato le esigenze dell'ottimizzazione del budget ed hanno lasciato scadere 200 contratti. Il ministero vigilante di cui l'istituto è l'organo tecnico non si è espresso. Del resto non è scontato che un ministro faccia gli interessi di un istituto pubblico quando si sta dando tanto da fare per far passare le attività dell'istituto pubblico ad uno privato con fondi pubblici!
Per loro licenziare 200 unità lavorative è stato facile facile, senza troppi dolori. Si tratta di numeri, i conti devono quadrare, e dopo, tutti a bere una birra e fare due rutti, con la mano sulla bocca perché è gente educata e solitamente veste bene.
Invece per me:
Chiara A. 35 anni, lavora nello stesso istituto da 5 anni, è una biologa, adora il suo lavoro ed ha un compagno, vorrebbero cambiare casa ma non possono avere un mutuo, anche lui lavora in maniera saltuaria....
Domani non avrà il suo lavoro.
Lucia C. 41 anni, ingegnere ambientale, lavora da 7 anni nello stesso istituto, sua madre non sta bene e non sa nulla che lei sta per perdere il lavoro, Lucia non le ha detto nulla per non farla preoccupare....
Domani non avrà il suo lavoro.
Alfredo S. 50 anni, sistemista di rete, lavora nello stesso istituto da 8 anni, è sposato ed ha una bambina di 6 anni, non sa come dire a sua moglie che domani non andrà al lavoro....
Domani non avrà il suo lavoro.
Raffaele R., 36 anni, è un chimico e lavora nello stesso istituto da 6 anni, vive con i suoi ma vorrebbe andare a vivere per conto suo, suona la chitarra, si è innamorato ma non si sente ancora pronto....
Domani non avrà il suo lavoro.
Luca A. 40 anni, lavora nello stesso istituto da 7 anni, è uno statistico, ha due figli, è divorziato, sua moglie non riusciva a vivere una condizione di continua instabilità professionale, lui vorrebbe un'altra famiglia ma ha paura che si ripeta la stessa storia che ha già vissuto....
Domani non avrà il suo lavoro.
Maria L. 37 anni, lavora nello stesso istituto da 5 anni, quando si è laureata in fisica ha promesso ai suoi genitori che li avrebbe aiutati a ristrutturare la loro casa in campagna, ma a Roma la vita è cara e da quando si è trasferita per il lavoro non riesce a mettere da parte molti risparmi....
Domani non avrà il suo lavoro.
Federica V. 39 anni, è una biologa marina ed è appassionata del suo lavoro, quando 9 anni fa è entrata in questo istituto ha pensato che aveva una grande responsabilità, sono più di dieci anni che continua a viaggiare tutti i fine settimana per stare con la sua famiglia, vorrebbe comprare una casa qui ma nessuna banca è disposta a darle un mutuo, il suo contratto non lo consente....
Domani non avrà il suo lavoro.
Michele G. 37 anni, lavora nello stesso istituto da 5 anni, esperto informatico, vorrebbe....
Domani non avrà il suo lavoro.

E via e via e via, uno dopo l'altro, lentamente, fino al duecentesimo.

mercoledì 24 giugno 2009

Dialettica della scienza

Il titolo è impegnativo ma un blog 'non è una cosa seria' per cui posso farla breve per evitare il rischio di una trattazione adeguata!


Tesi/Antitesi (confutazione dell'induzione)

E' la celebre metafora del tacchino induttivista di Bertrand Russell.
Un tacchino in un allevamento osservò che alle ore 9 di ogni mattina gli veniva portato il cibo.
Tutte le mattine, puntuale alle 9, arrivava l'allevatore con le granaglie che lo nutrivano.
L'osservazione era corroborata in ogni circostanza, in tutte le condizioni atmosferiche, in tutte le stagioni. Il tacchino, che aveva deciso di formarsi una visione scientifica del mondo, sulla base delle sue osservazioni inferì una regola generale: alle 9 della mattina si mangia.
La regola non era poi così generale perché resse fino alle 9 di mattina della vigilia di Natale, quando invece di essere nutrito fu sgozzato.
Per quante osservazioni si possono effettuare il metodo induttivo non fornisce alcuna garanzia che le successive osservazioni rientrino nell'inferenza formulata.


Antitesi/Tesi (confutazione della deduzione)

Anche questa è una metafora, non è celebre come quella di Russell. La raccontò Nando Boero, il mio professore di zoologia, durante una lezione.
Uno scienziato decide di mettere alla prova la sua ipotesi che gli organi acustici delle pulci siano situati nelle zampe. Per dimostrare l'ipotesi allena una pulce perché salti al suo comando. Quando la pulce è ormai addestrata ad obbedire ai comandi dello scienziato comincia l'esperimento.
"Salta!" dice lo scienziato e la pulce salta.
Lo scienziato strappa una zampa alla pulce: "Salta!" e la pulce salta.
Lo scienziato strappa un'altra zampa alla pulce: "Salta!" e la pulce salta.
L'esperimento continua fino all'ultima zampa: "Salta!" e la pulce salta ancora.
Una volta strappata l'ultima zampa: "Salta!", la pulce non salta più.
La conclusione è che la pulce sente con l'ultima zampa, l'ipotesi è dimostrata.
Il metodo deduttivo non è indenne dai rischi di conclusioni errate che possono 'reggere' per un certo tempo alla prova dei fatti.


Sintesi

E' una delle geniali storielle raccontate da Walter Chiari.
Un uomo è intento a cercare qualcosa sotto un lampione, un altro gli si avvicina e vedendolo piuttosto preoccupato chiede "Hai perso qualcosa?". L'altro risponde "Sì, il mio portafoglio".
- "Se vuoi posso aiutarti a cercarlo"
- "Grazie, mi saresti di grande aiuto"
Ma dopo aver cercato attentamente dappertutto il portafoglio non viene trovato.
- "Sei sicuro di averlo perso qui?"
- "Non l'ho perso qui, l'ho perso 200 metri più in là in quella zona buia"
L'uomo chiede esterrefatto: "Ma allora perché lo cerchi qui?" e l'altro risponde, indicando il lampione: "Perché qui c'è la luce!"

venerdì 19 giugno 2009

Le parole sono pietre

Il fumo fa male, questo è noto ma non sempre si comprende realmente quali siano i suoi veri danni. Ieri per esempio mentre fumavo una sigaretta, durante una pausa al lavoro, ho avuto modo di ascoltare una conversazione tra tre individui, anche loro in pausa. Accento vagamente milanese, entusiasmo imprenditoriale, aspetto giovanile, vestito curato e immancabile cravatta d'ordinanza. Il soggetto della conversazione era un locale a Milano dove si poteva mangiare bene, a loro avviso. Non nomino il locale per non fare pubblicità tra i miei venticinque lettori!

Tra una boccata di fumo e l'altra sento pronunciare una frase che mi ha lasciato senza respiro: "un posto molto fashion, davvero trendy, un po' glamour". Tre colpi, uno dopo l'altro, la perfetta regolarità e coincidenza con le loro parole di 'apprezzamento' mi ha convinto che ci fosse una indubitabile relazione tra il mio arresto respiratorio e quella frase e naturalmente con la mia decisione di fumare una sigaretta! Devo proprio smettere di fumare.

Mi è tornata alla mente la celebre scena di Palombella Rossa di Nanni Moretti e sinceramente avrei desiderato prendere a ceffoni quei tre sventurati ma poi ho rinunciato all'idea di farmi arrestare per un raptus di follia. Mi sono allontanato immaginando quale potesse essere il pensiero politico di tre tipi che parlano così. Naturalmente per pensiero politico non intendo il partito per il quale votano ma qualcosa di molto più complesso, quali siano le loro categorie sociali, che tipo di patto sociale possano avere in mente se ne hanno uno, quali siano le loro idee sui principi cardine di libertà, uguaglianza, solidarietà, insomma se hanno una vaga idea di società giusta in cui desiderino vivere. Mi voglio rovinare, userò anch'io una parola straniera, mi sono chiesto se hanno una qualche Weltanschauung.

Ecco, ho pensato che questa è una cosa davvero importante. Prima di chiederci come vota la gente è utile chiederci dove e come mangia, dove e come desidera mangiare, come parla dei posti in cui ha mangiato e dei piatti che ha assaporato. Ci sarà chi parlerà dei sapori, delle emozioni, del calore dell'accoglienza e ci sarà chi invece parlerà come quei tre miserabili che tra l'altro parlavano della "solita cotoletta che non è per niente male"!


Probabilmente potrebbe non esserci una relazione chiara tra il modo di parlare ed il partito votato, tre cretini restano tali indipendentemente dal partito scelto, ma capire come la gente parla ci chiarirebbe sicuramente molte cose sul tipo di partiti che esistono in un paese. Sulla loro Weltanschauung, appunto.
Se, come sosteneva Heidegger, il linguaggio è la casa dell'essere e nella sua dimora abita l'uomo, ci sarà un bel da fare per ricostruire queste nostre case diroccate.

M. Heidegger, Lettera sull'"umanismo". Adelphi, 1995

giovedì 18 giugno 2009

Il viaggio definitivo

… E me ne andrò. E resteranno gli uccelli
a cantare;
e resterà il mio giardino, col suo verde albero
e col suo pozzo bianco.
Tutte le sere, il cielo sarà azzurro e placido,
e suoneranno, come suonano stasera,
le campane del campanile.
Moriranno quelli che mi amarono;
e il paese si rinnoverà di gente ogni anno;
e nell’angolo, là, del mio giardino fiorito e incalcinato,
vagherà, nostalgico, il mio spirito…
E me ne andrò, e sarò solo, senza casa, senza albero
verde, senza pozzo bianco,
senza cielo azzurro e placido…
E resteranno gli uccelli a cantare.

Juan Ramon Jimenez (1881-1958)

martedì 16 giugno 2009

Al sire vincitor

Mentre da Teheran passa la storia che celebreremo nei prossimi anniversari, mentre nelle piazze e nelle Università italiane non si fanno sit-in e cortei 'pacifisti' in sostegno di quella rivoluzione...

lunedì 15 giugno 2009

La questione morale

A qualche giorno dal 25° anniversario della morte di Enrico Berlinguer che avvenne l'11 giugno del 1984 ho riletto questa storica intervista al segretario di quello che un tempo era il Partito Comunista Italiano.
Di fronte al disgusto per la politica di oggi, popolata da accattoni danarosi, incompetenti parolai, psicolabili popolari e demagoghi professionisti non posso che ricorrere ai miei antidoti. Lo faccio spesso e ho il timore che continuerò a farlo ancora. In quegli antidoti è evidente che il marcio di oggi viene da lontano ma almeno gli anticorpi c'erano ancora.
Nel medioevo si diceva che siamo nani sulle spalle di giganti, oggi la frase rischierebbe una querela per diffamazione e nei casi più disperati farebbe gridare al complotto eversivo!

* * *

Intervista a Enrico Berlinguer
di Eugenio Scalfari


* * *

Scalfari: La passione è finita?
Berlinguer: Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora...

S.: Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.
B.: È quello che io penso.

S.: Per quale motivo?
B.: I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.

S.: Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle.
B.: E secondo lei non corrisponde alla situazione?

S.: Debbo riconoscere, signor Segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo.
B.: La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel '74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell'81 per l'aborto, gli italiani hanno fornito l'immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane.

S.: Veniamo all'altra mia domanda, se permette, signor Segretario: dovreste aver vinto da un pezzo, se le cose stanno come lei descrive.B.: In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il nostro, che va così decisamente contro l'andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito "diverso" dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità.

S.: Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d'infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C'è da averne paura?
B.: Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all'equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?

S.: Veniamo alla seconda diversità.
B.: Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.

S.: Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.B.: Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant'anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi.

S.: Non voi soltanto.B.: È vero, ma noi soprattutto. E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell'economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche -e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC- non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee?

S.: Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto socialdemocratico europeo. Però a lei sembra un'offesa essere paragonato ad un socialdemocratico.B.: Bè, una differenza sostanziale esiste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s'intende) si è sempre molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente organizzati e poco o nulla degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, ora che si sono esauriti gli antichi margini di uno sviluppo capitalistico che consentivano una politica socialdemocratica, ora che i problemi che io prima ricordavo sono scoppiati in tutto l'occidente capitalistico, vi sono segni di crisi anche nella socialdemocrazia tedesca e nel laburismo inglese, proprio perché i partiti socialdemocratici si trovano di fronte a realtà per essi finora ignote o da essi ignorate.

S.: Dunque, siete un partito socialista serio...
B.: ...nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo...

S.: Le dispiace, la preoccupa che il PSI lanci segnali verso strati borghesi della società?
B.: No, non mi preoccupa. Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e i loro interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere adeguatamente difesi e rappresentati. Anche noi lo facciamo. Se questi gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro voti verso i partiti laici e verso il PSI, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non c'è che da esserne soddisfatti: ma a una condizione. La condizione è che, con questi nuovi voti, il PSI e i partiti laici dimostrino di saper fare una politica e di attuare un programma che davvero siano di effettivo e profondo mutamento rispetto al passato e rispetto al presente. Se invece si trattasse di un semplice trasferimento di clientele per consolidare, sotto nuove etichette, i vecchi e attuali rapporti tra partiti e Stato, partiti e governo, partiti e società, con i deleteri modi di governare e di amministrare che ne conseguono, allora non vedo di che cosa dovremmo dirci soddisfatti noi e il paese.

S.: Secondo lei, quel mutamento di metodi e di politica c'è o no?B.: Francamente, no. Lei forse lo vede? La gente se ne accorge? Vada in giro per la Sicilia, ad esempio: vedrà che in gran parte c'è stato un trasferimento di clientele. Non voglio affermare che sempre e dovunque sia così. Ma affermo che socialisti e socialdemocratici non hanno finora dato alcun segno di voler iniziare quella riforma del rapporto tra partiti e istituzioni -che poi non è altro che un corretto ripristino del dettato costituzionale- senza la quale non può cominciare alcun rinnovamento e sanza la quale la questione morale resterà del tutto insoluta.

S.: Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?
B.: La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semmplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono profare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. [...] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.

S.: Signor Segretario, in tutto il mondo occidentale si è d'accordo sul fatto che il nemico principale da battere in questo momento sia l'inflazione, e difatti le politiche economiche di tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell'obiettivo. È anche lei del medesimo parere?B.: Risponderò nello stesso modo di Mitterand: il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L'inflazione è -se vogliamo- l'altro rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l'una e contro l'altra. Guai a dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio, che pur di domare l'inflazione si debba pagare il prezzo d'una recessione massiccia e d'una disoccupazione, come già in larga misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili.

S.: Il PCI, agli inizi del 1977, lanciò la linea dell' "austerità". Non mi pare che il suo appello sia stato accolto con favore dalla classe operaia, dai lavoratori, dagli stessi militanti del partito...B.: Noi sostenemmo che il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità e che, comunque, la situazione economica dei paesi industializzati -di fronte all'aggravamento del divario, al loro interno, tra zone sviluppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e all'avanzata dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipendenza- non consentiva più di assicurare uno sviluppo economico e sociale conservando la "civiltà dei consumi", con tutti i guasti, anche morali, che sono intrinseci ad essa. La diffusione della droga, per esempio, tra i giovani è uno dei segni più gravi di tutto ciò e nessuno se ne dà realmente carico. Ma dicevamo dell'austerità. Fummo i soli a sottolineare la necessità di combattere gli sprechi, accrescere il risparmio, contenere i consumi privati superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Dicemmo che anche i lavoratori avrebbero dovuto contribuire per la loro parte a questo sforzo di raddrizzamento dell'economia, ma che l'insieme dei sacrifici doveva essere fatto applicando un principio di rigorosa equità e che avrebbe dovuto avere come obiettivo quello di dare l'avvio ad un diverso tipo di sviluppo e a diversi modi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo fu il nostro modo di porre il problema dell'austerità e della contemporanea lotta all'inflazione e alla recessione, cioè alla disoccupazione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati.

S: E il costo del lavoro? Le sembra un tema da dimenticare?
B.: Il costo del lavoro va anch'esso affrontato e, nel complesso, contenuto, operando soprattutto sul fronte dell'aumento della produttività. Voglio dirle però con tutta franchezza che quando si chiedono sacrifici al paese e si comincia con il chiederli -come al solito- ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire.

«La Repubblica», 28 luglio 1981

domenica 14 giugno 2009

I benefici della crisi

Le patate sono giunte a maturazione, passeggiando per i campi del Salento quelle pepite nutrienti sono gettate sul terreno, nessuno le raccoglierà più per portarle al mercato generale. I contadini le han dovute tirare via dal terreno perchè non vi marcissero dentro. Portarle al mercato per venderle non renderebbe la fatica della raccolta, il prezzo per il produttore è di 7 euro al quintale e scenderà ancora, così si preferisce raccoglierle in tutta calma, con l'aiuto di pochi amici disposti a lavorare per le patate che porteranno a casa e lasciare le altre a seccare al sole. Naturalmente in queste occasioni si dice a tutte le persone che si conoscono che per terra ci sono patate a volontà e che si può andare a raccogliere quelle che servono ma nonostante questo restano per terra decine di quintali di patate che seccheranno al sole. Qualcuno più fortunato le ha potute raccogliere prima quando il prezzo era più alto ma, si sa come vanno queste cose, si aspetta che magari il prezzo salga per avere un guadagno che sia un guadagno e invece no, scende senza risalire.
I contadini sono esseri speciali, hanno imparato a convivere con gli imprevisti del tempo, sanno che il loro lavoro è sempre sospeso ad un filo che non possono controllare, hanno da sempre un patto con la terra, lei si lascia strappare i suoi segreti e in cambio un giorno prenderà le loro vite. Anime fataliste, sono diffidenti delle spiegazioni razionali, tuttavia quest'anno si parla tanto di crisi economica e forse deve esserci una qualche relazione tra le patate gettate per terra, la loro fatica non riconosciuta e questi tempi di vacche magre.
Sì, quest'anno c'è una spiegazione plausibile a quella che in tutta evidenza è un incomprensibile infamia, facessero un altro mestiere parlerebbero di ingiustizia ma i contadini parlano di infamia, non è una questione politica o morale è una questione che riguarda l'ordine dell'universo. Ma quest'anno la crisi spiega sicuramente la situazione: la gente non ha i soldi per far girare l'economia, la richiesta delle patate scende, così il prezzo pagato al produttore cala.
Sì, deve essere proprio così, se non altro la crisi economica è servita a dare una spiegazione per il prezzo basso delle patate di quest'anno e rompere il millenario fatalismo dei contadini.
Mio nonno ne è convinto, quest'anno si è trattato senz'altro della crisi economica anche se gli manca una ragione sufficiente per spiegarsi la stessa identica situazione nei precedenti 80 anni!

mercoledì 10 giugno 2009

Il gioco della lippa

C’era una volta un paese dove era proibito tutto.
Ora, l’unica cosa non proibita essendo il gioco della lippa, i sudditi si riunivano in certi prati che erano dietro al paese e lì, giocando alla lippa, passavano le giornate.
E siccome le proibizioni erano venute un poco per volta, sempre per giustificati motivi, non c’era nessuno che trovasse a ridire o non sapesse adattarsi.
Passarono gli anni. Un giorno i connestabili videro che non c’era più ragione a che tutto fosse proibito e mandarono messi ad avvertire i sudditi che potevano fare quel che volevano.
I messi andarono in quei posti dove usavano riunirsi i sudditi.
- Sapete – annunziarono – non è più proibito niente.
Quelli continuavano a giocare alla lippa.
- Avete capito? – insistettero i messi. – Siete liberi di fare quello che volete.
- Bene – risposero i sudditi. – Noi giochiamo alla lippa.
I messi s’affannarono a ricordar loro quante occupazioni e belle e utili vi fossero cui loro avevano atteso in passato e cui potevano di nuovo attendere d’allora in poi. Ma quelli non davano retta e continuavano a giocare, una botta dopo l’altra, senza nemmeno prender fiato.
Visti i vani tentativi, i messi andarono a dirlo ai connestabili. – Proibiamo il gioco della lippa.
Fu la volta che il popolo fece la rivoluzione e li ammazzò tutti.
Poi senza perdere tempo, tornò a giocare alla lippa.

Italo Calvino, Prima che tu dica 'Pronto'.


Questo racconto di Calvino fa parte di una raccolta di opere brevi pubblicate tra il 1943 e il 1984. Da allora sono passati parecchi anni, i connestabili sono cambiati e si sono guardati bene dal proibire il gioco della lippa, anzi adesso la trasmettono su tutti i canali televisivi, è argomento di discussione al lavoro. Molta gente è disposta a vendere propria madre pur di vincere alla lippa e quelli che qualche volta hanno vinto sono guardati da tutti con ammirazione perpetua. Così tutti quanti continuiamo a giocare alla lippa.
Passiamo il tempo, ci divertiamo un mondo ma ogni tanto ci assale un pensiero fastidioso che prontamente scacciamo via con un moto di stizza. In effetti non sappiamo in cosa consista esattamente questo dannato gioco della lippa!

lunedì 8 giugno 2009

Chi troppo vuole...

Straordinario. La sinistra 'radicale' italiana è fuori dal Parlamento Europeo ma non è questo ad essere straordinario, semmai questo rappresenta ancora una volta l'ordinaria pulsione all'estinzione della sinistra italiana. Ciò che è straordinario è che i risultati di queste elezioni che stando ai numeri vedono vincente il 'centro-destra' vanno valutati nella dimensione psicologica più che in quella numerica* [il 'centro-destra' è virgolettato perchè quando prevale l'affarismo che di volta in volta segue il vento degli accordi economicamente convenienti mi risulta difficile individuare una posizione politica che sia identificabile nell'asse sinistra-centro-destra].
Il cosiddetto centro-destra, avendo alla sua 'guida' un soggetto emotivamente disturbato costretto a giocare continuamente al raddoppio con le sue 'performance' per riempire il buco nero di un ego infantile ancora alle prese con il complesso di onnipotenza, ha perso queste elezioni!
Il 43% era la buona notizia che gli facevano leggere per farlo addormentare contento, i tre milioni di voti facevano bene al pancino quando mangiava pesante. Niente di tutto questo. Adesso se ne sta nascosto, perchè non è in grado di metabolizzare la sconfitta, non è attrezzato per elaborarla.
Poveretto, potrebbe frequentare per un po' di tempo noi della sinistra 'radicale', avremmo un sacco di cose da insegnargli, noi che invece non siamo in grado di elaborare le vittorie!

* Per quanto riguarda l'eventuale giudizio di insensatezza della lettura psicologica dei risultati elettorali, non vorrei dover sottolineare che attualmente in Italia si aggirano una mezza dozzina di nanetti (e non parlo di statura fisica bensì di quella morale e intellettuale) che vanno dicendo che la crisi economica è una questione psicologica.
Può essere! Sicuramente per i nanetti si tratta di un caso di rimozione terapeutica della realtà!

sabato 6 giugno 2009

Increspature nel nulla ovvero il buon caffè

E' una giornata calda, il vento di scirocco non ha la forza di sollevare le onde nel mare e intorno a Castel dell'Ovo a Napoli si leva un'afa che toglie il respiro.
Le mura di tufo del castello si riflettono nell'acqua e la rendono ancora più immobile. Sembra quasi che il tempo si sia fermato in questa giornata di metà settembre. Nel castello c'è un bar, forse è stato aperto per l'occasione, nelle sale del castello c'è un congresso, forse il bar è sempre stato lì. Il bar è piccolo, si entra da una porticina con una tenda di strisce di plastica colorata, all'interno un bancone di un paio di metri, due tavoli, qualche sedia, un vecchio ventilatore che gira affannosamente per assolvere il disperato compito di raffrescare l'aria e una finestra aperta sul mare alle spalle del barista. Appena si entra nel bar, una volta scostate le strisce della tenda, si vede solo la luce diffusa di quella finestra aperta sul mare, per alcuni secondi non si distingue altro.
Nel bar non c'è nessuno, siamo io e il barista, un ragazzo che può avere la mia età, chiedo un caffè, mi siedo ad un tavolo per leggere qualche riga di un giornale spaginato. Mi piace il caffè e qui è davvero buono, non è un luogo comune che a Napoli il caffè sia buono. Lo gusto lentamente quando dalla porta fa capolino un signore anziano che dapprima guarda la finestra poi rivolge uno sguardo sorpreso e pieno di apprensione al barista, "Antò che fai?".
Il barista guarda il suo interlocutore, lo riconosce, gira la testa verso la finestra, si porta le mani al volto, "Gesù! Peppì c'hai ragione", fa due passi verso la finestra e tira a sé le imposte socchiudendole ma lasciando passare comunque un po' d'aria. Lancia una sguardo verso Peppino e con una espressione che cerca comprensione gli dice "L'aria oggi è pesante".
Peppino ciondola la testa, si avvicina, gira dietro il bancone e guardando la macchina del caffè misura la distanza dalla finestra, tira a sé le imposte della finestra chiudendole ancora un po' e rivolgendosi con tono paziente al ragazzo: "Lo so che oggi fa caldo ma se tieni la finestra così aperta il caffè si rovina. La macchina è troppo vicina alla finestra."
Antonio capisce perfettamente "Sei sicuro che così va bene?", l'altro, guardando un'altra volta la distanza che c'è tra la finestra e la macchina del caffè, risponde "Così va bene se non l'hai tenuta aperta per troppo tempo."

Assisto a tutta la scena mentre sorseggio il mio caffè, all'inizio non capisco cosa stia succedendo ma poi mi rendo conto che sono in una pagina scritta da Eduardo De Filippo. Posando la tazzina sul bancone chiedo a quei due personaggi cosa stessero facendo e Peppino "Eh, che sta succedendo? con una giornata così umida la miscela si rovina se la finestra sta completamente aperta e il caffè non viene bene, Antonio è giovane e certe cose ancora non le sa." Io gli rispondo sorridendo che il caffè che ho appena bevuto era davvero ottimo e, anzi, potevo dire sicuramente che era uno dei migliori che avessi mai bevuto eppure la finestra era spalancata sul mare quando il barista lo aveva preparato. Peppino mi guarda e con un sorriso lieve mi dice "Perché tu hai la stessa età di Antonio caro mio".

***

Questo episodio è accaduto tredici anni fa. Può sembrare solo un fatto curioso ma io lo ricordo con grande affetto, come si ricorda una pagina di un libro che ti ha cambiato la vita. Per il Signor Peppino il buon caffè doveva essere molto importante e la cura di ogni dettaglio era fondamentale per avere un aroma perfetto. Eduardo, mentre gustava il suo caffè, diceva che basta poco per rendere felice un uomo, aveva ragione, può bastare un buon caffè ma quello che ci rende davvero felici è una sorta di increspatura nel nulla che ci è dato vivere, non è poco. La nostra vita è tutta in quelle increspature nel nulla.
Ero a Napoli per partecipare al congresso, era un appuntamento importante - era un congresso di Ecologia. Sarebbe potuto essere un appuntamento decisivo per la mia carriera professionale, da allora di carriere ne ho cambiate tre o quattro e di quel giorno ricordo solo Peppino, Antonio e il caffè che probabilmente non ho mai bevuto.

venerdì 5 giugno 2009

Quel ragazzo è sempre lì

20 anni fa questo ragazzo fermò da solo una colonna di carriarmati. Era il 5 giugno del 1989, Piazza Tienanmen a Pechino fu il teatro di una sommossa popolare che chiedeva libertà e democrazia. La rivolta fu soffocata nel sangue, ci furono migliaia di morti.
Da allora in Cina è attiva una campagna per cancellare la memoria di quei giorni.

Le nuove generazioni di Pechino, e forse anche in occidente, non sanno nulla di questo 'rivoltoso sconosciuto' ma lui è ancora lì davanti a quei carriarmati. Forse quel ragazzo di 20 fa è ancora vivo, forse no.

Una cosa è certa, il suo gesto è vivo, decisamente vivo. Più vivo di noi che abbiamo l'assoluta certezza di essere vivi.

giovedì 4 giugno 2009

La luna c'è ancora

SE SEI DI SINISTRA, DILLO FORTE (di Pietro Ingrao)

Viviamo il tempo buio di una crisi inedita e strutturale del capitalismo, una crisi economica, sociale, ambientale e alimentare determinata da decenni di politiche neoliberiste: si apre la strada ad una vera e propria crisi di civiltà il cui emblema è la guerra tra i poveri.

Il rischio è l’uscita da destra dalla crisi: la progressiva frantumazione del mondo del lavoro, il passaggio dal welfare alla carità, lo svuotamento della democrazia, resa sempre più impermeabile ai conflitti e ai soggetti sociali, e la ripresa di ideologie nazionaliste, razziste, fondamentaliste, sessiste e omofobe. È un processo che in Italia assume il volto di un nuovo autoritarismo – quello plebiscitario e populista del berlusconismo – che potrebbe essere rafforzato da una ulteriore deriva maggioritaria e dalla cancellazione definitiva di ogni possibile rappresentanza dell’opposizione sociale.

Noi ci battiamo per una uscita da sinistra dalla crisi e per questo motivo sosteniamo la lista anticapitalista e comunista a cui hanno dato vita esponenti dei movimenti altermondialista, femminista, pacifista, ambientalista, antirazzista, LGBTQ assieme a Rifondazione comunista – Sinistra Europea, Comunisti italiani, Socialismo 2000 e Consumatori Uniti. Un progetto di critica radicale e profonda alle politiche neoliberiste che in Europa hanno accomunato popolari, liberali e socialisti, cioè tutti i partiti attualmente presenti nel parlamento italiano.

Sosteniamo la lista anticapitalista e comunista per mantenere aperta la strada dell’alternativa, in Italia e in Europa. Un voto utile per proporre un’uscita da sinistra dalla crisi, per rafforzare un’ipotesi di ricostruzione della sinistra basata sulla connessione fra diversi soggetti del conflitto e culture critiche, fra vertenze territoriali e movimenti globali, fra ambiente e lavoro, fra uguaglianza e libertà: una sinistra che non abbia rinunciato ad elaborare un pensiero forte dalla parte dei deboli, alla sfida per l’egemonia e la costruzione di un nuovo senso comune.

Pensiamo in primo luogo ad un voto d’ascolto di questa giovane generazione di invisibili, o meglio di invisibili alla politica, che sembrava condannata, dalla precarietà del lavoro, dei saperi, delle vite a non poter immaginare il futuro, a non poter lottare per il futuro, e che ha invece trasformato la propria atipicità nell’anomalia di un’onda che ha invaso, con gioia e rabbia, scuole, università, città; che ha reclamato diritto alla conoscenza, cittadinanza, reddito sociale; che ha nominato la contraddizione tra il capitale e le vite con parole – noi la crisi non la paghiamo- che hanno connesso le tante lotte e vertenze di questi mesi.

Un voto che tenga aperta la speranza, che apra la strada all’aggregazione della sinistra anticapitalista, comunista e della sinistra socialista. Perché il futuro si può ancora scrivere, il 6 e 7 giugno votiamo la lista comunista.

***

Questo appello di Pietro Ingrao e di altri 200 firmatari è del 22 maggio scorso.
Ci ho pensato, ripensato. Noi di sinistra siamo fatti così, siamo soliti spaccare in quattro un capello, ci chiediamo se votare questa o quell'anima della sinistra. Averne tante a volte può essere un problema e chi ne ha una sola o peggio nessuna può godere di alcuni vantaggi in campo elettorale.
Comunque sia alla fine ho deciso che, con tutta probabilità, resterò senza rappresentanza parlamentare anche in Europa (naturalmente spero di sbagliarmi).
A dire il vero è strano che noi di sinistra ci si interroghi così tanto, già perché, nonostante la dispersione di voti della sinistra, il potere è saldamente nelle nostre mani nell'universo mondo, almeno stando alle fonti di Palazzo Chigi che della faccenda deve essere sicuramente più informato di me!
Abbiamo conquistato tutte le redazioni dei giornali nazionali ed internazionali, non c'è procura della Repubblica dove non ci sia un pericoloso infiltrato comunista, non c'è università che non sia infestata di professori politicizzati di sinistra, non c'è istituzione che non ne abbia nei posti nevralgici, le librerie trasudano di libri scritti da intellettuali di sinistra. Praticamente, in ossequio a Gramsci, abbiamo realizzato una solida egemonia culturale su tutto il pianeta.
In realtà abbiamo disseminato gente di sinistra ovunque che votare per questo o quel partito, anche di destra per dire una assurdità, sarebbe praticamente indifferente. Comunque vanno le cose comandiamo noi e se la crisi sociale, ambientale, economica può sembrare il risultato di un neoliberismo senza freni di stampo capitalista lo abbiamo fatto per ingannare chi non è abituato a leggere attentamente tra le pieghe della storia!

***

Carissimo Pietro, volevi la luna, per tutta la tua lunga vita è stata a guardare, indifferente come sempre alle vicende umane. Di questi tempi non si sa più desiderare la luna, non sono in tanti a sapere che si può ancora desiderarla ma lei è ancora lì, indifferente come sempre, forse a farci credere che fino a quando ci saremo continuerà a sussurrare che 'il futuro si può ancora scrivere'. Grazie Pietro per averci fatto sentire ancora quel sussurro.

mercoledì 3 giugno 2009

Il mezzo secolo brevissimo in Italia

Anni '50, ottimismo spaventato e temperato dai ricordi della guerra che operavano un ‘correttore’ alla naturale espansività dell’uomo.
Anni '60, la memoria vacilla e l’ottimismo perde i freni, a fine decennio la disponibilità di beni materiali non basta a soddisfare le esigenze di espansione culturale, il calderone esplode e il privato diventa politico.
Anni '70, le richieste si estremizzano senza ottenere risultati solidi, il fallimento si riflette sulle richieste di espansione culturale e sulla politica che dovrebbe elaborarle.
Anni '80, scellerata e idiota rimozione della politica, anche dal pubblico.
Anni '90 fino a inizio del nuovo millennio, consolidamento della rimozione cominciata nel decennio precedente, rovesciamento dello slogan degli anni della contestazione, il politico è privato e un ruminante se lo è messo in tasca!

lunedì 1 giugno 2009

Presbiopia del passato e miopia del presente

63 anni fa, il 2 giugno del '46, si tenne il referendum che decise del futuro repubblicano dell'Italia e le elezioni dell'Assemblea Costituente che avrebbe scritto la Carta Costituzionale di questo Paese. Partecipò quasi il 90% degli aventi diritto e in quell'occasione votarono per la prima volta in Italia anche le donne.
Altri tempi, l'Italia veniva fuori da una dittatura e da una guerra. La partecipazione politica era appassionata, da qualunque parte ci si schierasse. La gente aveva un sogno da realizzare, doveva chiudere i conti con il passato. Si voleva e si doveva tracciare il cammino per il futuro.
La Costituente composita delle sue anime socialista, comunista, cattolica e liberale scrisse qualcosa di magnifico, maestoso. Non mancarono i compromessi rabberciati, come quello che si legge nel famigerato articolo 7 che sancisce i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, ma la Costituzione italiana resta un documento fondamentale della storia che molti paesi hanno successivamente preso come modello di riferimento. Una Costituzione 'presbite', come la chiamava Calamandrei, che guardava con fatica alle cose prossime ma che vedeva benissimo ciò che era lontano.
Un articolo su tutti, il più alto a mio avviso, merita di essere letto con lentezza, le sue parole soppesate, assaporate, perchè si abbia la misura degli ideali che si volevano costruire.

Art. 3.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.


63 anni dopo ne abbiamo fatta di strada.
Guardiamo fiduciosi al futuro, la prossima oretta non tarderà ad arrivare!