"Non siamo per il principio di autodeterminazione, ma per una legislazione che eviti sia l'accanimento terapeutico sia l'abbandono terapeutico", "la decisione non deve spettare alla persona." Queste parole furono pronunciate da Monsignor Betori in una conferenza stampa della CEI e pubblicate il 1° ottobre del 2008. Parole di una gravità inaudita che non passarono inosservate ai più attenti osservatori, soprattutto a quelli vicini alla cultura cattolica. Roberta de Monticelli le considerò così gravi da arrivare addirittura ad una abiura dalla Chiesa cattolica.
De Monticelli ha letto in quelle parole la rottura di una nozione tipicamente cristiana che è quella di individuo e di responsabilità. Questo concetto nasce in occidente con la tradizione cristiana. Solo con il riconoscimento dell'individualità dell'anima e della irrevocabilità di una storia lineare è possibile concepire la responsabilità e indissolubilmente la libertà di azione, da cui discendono colpa e perdono. Impianto concettuale che troviamo trasposto nel diritto quando il riconoscimento della responsabilità penale dell'individuo non può prescindere dalla volontà del soggetto e dalla libertà di esercitare tale volontà.
Solitamente l'anima di Platone viene posta a fondamento del concetto cristiano di individuo ma per il filosofo greco l’anima è modello di riferimento per la conoscenza che nulla può modificare dell’ordine cosmico, per il cristiano l'anima può intercedere presso Dio. In Platone l’ordine immanente e quello trascendente non comunicano e non interagiscono, il primo deve imitare il secondo, poiché questo ha abbandonato il mondo terreno. E' per questo motivo che l'uomo deve organizzare politicamente il proprio agire, in una dimensione politica dove la collettività ha il primato sul singolo.
Nonostante il principium individuationis apollineo avesse ormai definitivamente vinto la sua battaglia contro l'universale dionisiaco ed il tempo della tragedia greca fosse già finito[1], il tempo di Platone scorreva ancora ciclicamente secondo necessità che gli Dei non potevano turbare e alle quali essi stessi erano assoggettati. Il tempo cristiano è governato da una divinità che può tutto e che può intervenire nelle cose terrene secondo disegni imperscrutabili. Il cristiano, eredita dalla cultura giudaica la storia nata dalla creazione del mondo che scioglie il circolo del tempo greco rendendolo lineare e progressivo verso una meta di salvezza. La giustizia dei greci è scalzata dalla colpa dei cristiani e se l’una riguarda l’ordine universale, l’altra investe i singoli individui.
In buona sostanza per Platone il concetto di anima (che nelle sue trasmigrazioni ha conosciuto le idee) era un concetto metodologico, squisitamente epistemologico, ossia modello di conoscenza al quale conformarsi per non cadere vittime degli inganni della sensibilità. In altre parole è un concetto più vicino alla razionalità di quanto non si sia inteso successivamente. E' con Agostino che l'anima diventa sede dell'identità personale e della rivelazione della verità della fede. Il registro platonico, da modello di conoscenza diventa strumento di salvezza. Con Agostino l'io diventa oggetto di interrogazione e assume valenza concreta di realtà. Il modello di realtà che prima era esterno all'interrogante adesso è portato al suo interno. E' in questo rivolgimento della filosofia platonica che prende forma l'individuo cristiano[2].
Da qui all'individuo della modernità, con la sua fiducia nella ragione, c'è un altro rivolgimento. Le similitudini tra il cogito cartesiano e l'intima interrogazione delle Confessioni di Agostino sono innegabili ma "se davvero, con Descartes, la prima modernità è caratterizzata «dall'interesse esclusivo per l'io» e dalla «perdita del mondo» (ma il dubbio è lecito), la fase successiva mira piuttosto, in alcune delle sue più rilevanti espressioni, all'acclimatazione del soggetto alla «fertile pianura dell'esperienza» condivisa e al terreno accidentato della storia collettiva. Questa impresa s'intreccia con lo sviluppo del giusnaturalismo, che lega il singolo uomo a tutti gli altri in un patto politico artificiale, sottraendolo così al suo isolamento e spingendolo verso l'universalità."[3]
L'individuo moderno, titolare di diritti che la collettività non può negargli e che varrebbero etsi Deus non daretur, non ha alcun senso se estratto dal contesto sociale in cui questi diritti hanno riconoscimento. Molto tempo dopo le guerre di religione tra cattolici e protestanti (tutti cristiani) che insanguinarono l'Europa per decenni e da cui l'Europa rinacque ormai secolarizzata, l'individuo fu riconosciuto nel suo contesto sociale e l'atto politico in cui tale individuo venne definitivamente alla luce è la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 26 agosto 1789. In quel testo si imponevano "l'intreccio di due temi contrapposti, quello dei diritti individuali e quello della volontà generale, che si è soliti associare al nome di Locke il primo, di Rousseau il secondo, e con tanta forza che il problema centrale diventa quello di sapere cosa li unisca, cosa conferisca unità e coerenza a questa dichiarazione." [4] La storia poi prese un'altra strada e quell'individuo, che doveva essere la sintesi delle due tendenze, rimase in bilico, ora spostato tutto da una parte, ora tutto dall'altra. Ciononostante quell'individuo era stato concepito e l'Europa non sarebbe più stata quella di prima.
Quando si parla di individuo ci confrontiamo con un concetto dalle molteplici forme e significati, francamente devo ammettere che il concetto di individuo di matrice cristiana su cui si baserebbero le radici dell'Europa moderna mi lascia un po' perplesso. In un libro recente Dario Antiseri si chiede se relativismo, nichilismo ed individualismo siano manifestazioni fisiologiche o patologiche dell’Europa[5]. In quelle che solitamente vengono presentate come le piaghe dell’occidente Antiseri vede giustamente ciò che ha costruito un’Europa aperta al pluralismo dei valori, consapevole dell’assenza di senso assoluto che è sorgente di tolleranza, e dove l’individuo libero, cosciente e responsabile ha il primato rispetto allo Stato.
Antiseri riconosce nel concetto di individuo le radici cristiane dell’Europa. Indubbiamente questo concetto sorge con il cristianesimo ed è innegabile che l’individuo, manifestazione di una libera coscienza, si oppone allo Stato totalitario e totalizzante. Il filosofo ci guida per le vie di un pensiero debole che apre alla fede, riconoscendone tuttavia l’infondabilità. Le motivazioni del suo pensiero sono convincenti, a differenza di quanti, dietro il paravento del pensiero forte e dei paramenti papali, nascondono solo un’adolescenziale arroganza. Pertanto se il concetto di individuo, di matrice cristiana, fonda un’Europa dalle radici cristiane è cosa che va considerata seriamente. Tuttavia manca a mio avviso una precisazione di non poco conto per avere un quadro completo della faccenda, ovvero se insieme all’individuo doveva nascere anche il cittadino perché l’Europa, così come la conosciamo, prendesse forma. Se avevano ragione Rousseau ad affermare che il cristiano è un cattivo cittadino, perché incurante dei problemi terreni[6], e Agostino che invocava la subordinazione della città terrena a quella divina[7], mi pare difficile riconoscere al cristianesimo un diritto esclusivo di paternità dell’Europa solo sulla base del concetto di individuo. Il cristianesimo ha creato l’individuo ma non lo ha certamente concepito per le cose terrene. Ma allora l’Europa non sarà mica il regno dei cieli?
Comunque sia, se non si possono disconoscere del tutto le radici cristiane dell'Europa, né vedo ragioni per farlo, è anche vero che è forte l'impressione che, come Agostino ha tirato un brutto scherzo a Platone, a volte si confonda l'individuo di Agostino, soggetto recipiente della verità e titolare del rapporto con Dio, con l'individuo sociale della polis.
Se l'individuo è l'atomo del discorso (i due termini, individuo/atomo, hanno simili radici, l'uno latina, l'altro greca) è necessario considerare che esistono molti tipi atomi, alcuni non stabiliscono legami con altri atomi, sono i cosiddetti gas nobili, altri non possono esistere se non in stretto legame con altri atomi. La struttura atomica dei gas nobili è stabile, gli orbitali più esterni hanno una configurazione elettronica completa e non presentano valenze di legame disponibili. Per comprendere le interazioni tra gli atomi comuni si deve spostare l'attenzione non tanto sulla loro individualità ma sulla loro valenza, ovvero sulla loro disponibilità a creare legami equilibrando il rispettivo eccesso o difetto di elettroni. Io ho l'impressione che all'individuo, che nasce dal cristianesimo di matrice agostiniana, sia connaturata una sorta di autosufficienza che manca all'individuo che prende forma nella modernità, sebbene non si può non riconoscerne dell'uno la filiazione dall'altro, né si può disconoscere l'evoluzione del concetto di individuo nella cultura cristiana e le implicazioni che questo ha avuto in termini di partecipazione sociale. L'individuo cristiano "adulto" che viene fuori da questa evoluzione più che il padre dell'Europa moderna ne è il figlio. Un'Europa che annovera tra le sue radici Atene, Gerusalemme e Roma, e inevitabilmente l'elaborazione illuministica dell'individuo[8]. Elaborazione che in nessun modo può essere messa da parte, sia pure con tutte le sue degenerazioni successive.
Per ritornare alla questione di partenza, De Monticelli scrive della dichiarazione di Betori "questa dichiarazione è la più tremenda, la più diabolica negazione di esistenza della possibilità stessa di ogni morale: la coscienza, e la sua libertà. La sua libertà: di credere e di non credere (e che valore mai potrebbe avere una fede se uno non fosse libero di accoglierla o no?), di dare la propria vita, o non darla, di accettare lo strazio, l'umiliazione di non essere più che cosa in mano altrui, o di volerne essere risparmiato." Monsignor Betori nella sua replica a De Monticelli opera una netta distinzione, a mio avviso assurda, tra libertà di coscienza e auto-determinazione. Il problema è se Betori e De Monticelli si riferiscono allo stesso individuo. A quale individuo fa riferimento Betori? A quello di Agostino o a quello del cristianesimo sociale e del personalismo? All'individuo dell'infanzia cristiana o a quello della sua maturità che ha trovato espressione nel magistero del Concilio Vaticano II?
A seconda delle risposte a queste domande la replica di Betori potrebbe apparire persino sensata, anche se devo ammettere che per farla apparire tale lo sforzo deve essere proprio enorme e giustamente Vito Mancuso non ha fatto questo sforzo. Il teologo, non riuscendo a cogliere la pertinenza della distinzione di Betori, chiede "che cosa se ne fa un uomo di una coscienza libera a livello teorico, se poi, a livello pratico, non può autodeterminarsi deliberando su se stesso?". Mancuso, quando pone questa fondamentale domanda e De Monticelli, quando vede la terribile lacerazione nel concetto di individuo aperta dalle affermazioni di Betori, forse hanno in mente un individuo che sostiene Sapere aude! Un individuo che osa guardare alla bellezza e all'orrore dell'esistente, che guarda quell'abisso, ne è meravigliato e atterrito, eppure sa di non potersi sottrarre da quello sguardo. E' un individuo che sa di correre il rischio di rimanere pietrificato da quello sguardo ma lo affronta pur di "consegnare alla morte una goccia di splendore / di umanità / di verità."[9] Monsignor Betori aveva in mente un altro tipo di individuo.
Un mio carissimo amico, che non vedo da tanto tempo e che ricordo molto sensibile al discorso della fede, diceva "ci sono tre grandi temi che nostro Signore, nella sua infinita onniscienza, non potrà mai sapere, il primo è quanti soldi hanno i salesiani, il secondo è quanti ordini monastici femminili esistono al mondo e il terzo, di tutti il più arduo, è cosa pensano i gesuiti." Se è impresa ardua per Dio, figuriamoci per filosofi e teologi, e per me che non sono né l'uno né l'altro!
[1] F. W. Nietzsche, La nascita della tragedia. Newton Compton, 1991.
[2] U. Galimberti, Il corpo, 2008.
[3] R. Bodei, Destini personali. L'età della colonizzazione delle coscienze. Feltrinelli, 2009, p.11
[4] A. Touraine, Critica della modernità. L'epoca moderna tra soggetto e ragione. Il Saggiatore, 2005, p.71
[5] D. Antiseri, Relativismo, nichilismo, individualismo. Fisiologia o patologia dell’Europa? Rubbettino, 2005.
[6] J. J. Rousseau, Il contratto sociale. Einaudi, 1966. "Ciò che i pagani avevano temuto è accaduto. Allora tutto ha cambiato aspetto; gli umili cristiani hanno cambiato linguaggio; e ben presto si è visto questo preteso regno dell'altro mondo divenire, sotto un capo visibile, il più violento dispotismo di questo mondo.", p. 206.
"Rimane dunque la religione dell'uomo o il cristianesimo, non quello d'oggigiorno (era il 1761, nota mia) , ma quello del Vangelo, che è del tutto differente. Con questa religione santa, sublime, vera, gli uomini, figli dello stesso Dio, si riconoscono tutti fratelli e la società che li unisce non si dissolve neanche con la morte.
Ma questa religione, non avendo alcun legame particolare con il corpo politico, lascia alle leggi la sola forza che esse traggono da se stesse senza conferirne loro alcun'altra; e con ciò uno dei grandi vincoli della società particolare resta senza effetto. Inoltre, invece di far sì che i cuori dei cittadini si affezionino allo Stato, li distacca da esso come da tutte le cose di questo mondo. Non conosco niente di più contrario allo spirito sociale." p. 210.
[7] Agostino di Tagaste, La città di Dio. Rusconi, 1984.
[8] T. Todorov, Lo spirito dell'illuminismo. Garzanti, 2007.
[9] F. De André, I. Fossati, Smisurata preghiera. In: Anime salve, 1996.
Come potrai immaginare trovo questo post semplicemente meraviglioso, perché tratta problematiche a me care e le affronta nel modo in cui io vorrei affrontarle e discuterle. Io credo che ci sia una intrinseca contraddizione di fondo fra il libero arbitrio cristiano, o l'autodeterminazione, e un sistema morale basato sulla colpa. Nietzsche ha sostenuto in maniera impareggiabile che il soggetto non può mai essere davvero libero se non si scrolla di dosso i confini fra bene e male. Il relativismo moderno ci fa riflettere sul fatto che non siamo davvero liberi se non abbandoniamo l'idea di una verità assoluta.
RispondiEliminaCiao
Questo post è uno dei miei vox clamantis in deserto dei primi tempi, l'entusiasmo del blog era alle stelle, poi...
RispondiEliminaQuella contraddizione che rilevi c'è ma è funzionale al concetto stesso di peccato/colpa che è possibile solo se c'è "capacità di intendere e volere", nessuno sa definirla in maniera soddisfacente ma tutti se ne servono. Quanto allo scrollarsi di dosso i confini fra bene e male io andrei sempre molto cauto, pur senza concedere nulla alla verità assoluta, il rischio è scatenare la "bestia bionda". Grazie dell'apprezzamento e ciao ;-)