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venerdì 22 dicembre 2023

Processo al patriarcato: note per una indagine preliminare

I tanti, troppi, casi di femminicidio interrogano le coscienze, la mia sicuramente. Premono per avere spiegazioni, perché un fatto che può essere spiegato è meno inquietante di un fatto senza spiegazioni. Forse a questo dobbiamo l'avventura del pensiero filosofico e scientifico, non alla meraviglia, come diceva Aristotele, bensì alla paura del buio.

Fermo restando la condanna senza appelli di qualsiasi forma di maschilismo, machismo, superomismo fisico, esaltazione della forza muscolare e quant'altro richiama la supremazia nelle tribù più primitive, mi preme qualche considerazione sul processo al patriarcato che si tiene da qualche tempo. In più di un'occasione mi è parso che il processo sia frettoloso, per certi versi disonesto. Forse necessita di un'istruttoria preliminare.

L'affermazione del principio mater mi sta molto a cuore e sicuramente sta a cuore a chi accusa il patriarcato di ogni nefandezza, ma che un principio stia a cuore non consente menzogne sull'altro, sebbene opposto e persino responsabile della negligenza storica del principio da affermare. Non è con la disonestà che si recuperano secoli di negligenza e neanche di colpa grave.

Il patriarcato è alla base di tutta la nostra cultura, non solo di quella da emendare. Di questo dobbiamo tenere conto. Ci sono epoche in cui tutto il male sembra originare da una sola fonte. Non è mai così, è solo più facile catalogarlo. È facile illudersi che individuata e vinta la fonte del male si sconfigga il male, allora quale miglior fortuna che la fonte sia una sola?

Così accade che il patriarcato entra nel dibattito prestandosi al processo che dovrebbe subire il maschilismo con l'abuso sconsiderato delle parole nei tempi asfittici dei programmi televisivi.

Certamente la supposta, direi benvenuta se fosse davvero compiuta, perdita di ruolo del maschio è fattore da considerare per capire il fenomeno del femminicidio ma non sembra ugualmente pertinente chiamare in causa la società del consumo che deresponsabilizza i soggetti, sempre meno autori di atti irrevocabili e sempre più attori di una commedia che si rinnova continuamente e a ritmi serrati?

La supremazia del consumo prevede, anzi richiede, la morte dell'irreversibilità; la morte della morte, si potrebbe dire. La sola morte consentita, anzi prescritta, è quella della durabilità; la nostra morte è stata trasferita agli oggetti, come scriveva Günther Anders.

La morte è diventata una rappresentazione scenica con decine di supereroi che radono al suolo intere città e pianeti con larga profusione di boati, effetti speciali. Una ecatombe che non suscita alcun orrore. I versi dell'Iliade erano scritti per suscitare orrore, paura, ammirazione. Cosa suscitano le saghe degli avengers? Ieri Eracle, oggi Hulk. Mutatis mutandis davvero l'umanità sembra immobile?

La morte non è più qualcosa di serio. La morte è bandita, la vecchiaia è bandita, la malattia è bandita, il dolore è bandito, salvo quando serve a mettere in scena pornografie della sofferenza con generosi zoom sulla lacrima incipiente. Come può non essere un gioco da ragazzi la vita se la sua parte oscura non è più introiettata ma è anzi espunta dalla vita interiore?

Lo stoico Seneca poteva dire che la filosofia non serve a vivere bene ma a bene morire. Chi potrebbe dire oggi la stessa cosa? La filosofia forniva a Seneca anche strumenti per vivere bene e ieri come oggi una certa doppiezza sembra ingrediente insostituibile ma la sua forma muta e oggi nessuno scriverebbe la frase di Seneca, al massimo cela lauti affari privati dietro beneficenze natalizie o scala posizioni di governo con le menzogne più becere e irrealizzabili. Insomma, altra pasta rispetto a un Seneca che seppe vivere bene ma seppe essere all'altezza della sua filosofia con la sua morte.

A me pare che alla base del femminicidio, che non è un problema solo italiano, ci sia una infantilizzazione diffusa. È dell'infante l'immortalità perché non ha ancora scoperto la morte. Oggi questa condizione appartiene, se vogliamo dire così, anche agli adulti che adulti sono solo anagraficamente, secondo canoni che vengono continuamente rivisti nei costumi. È dell'infante non distinguere la verità dalla menzogna; usare la menzogna per attirare attenzione e consenso; vivere nella menzogna, quasi innocentemente.

Intendo la menzogna del virtuale, la menzogna della comunicazione social, comunicazione senza comunicazione, monologo collettivo, scrive Umberto Galimberti; gara di narcisismi che fanno pieno di like ma aborrono ogni analisi, rimasta dov'è sempre stata, nei presidi della comunicazione dell'era predigitale e che nel migliore dei casi trovano tollerata ospitalità nei domini social, con quale seguito è sotto gli occhi di tutti.

Ma se l'infantilizzazione è diffusa e quindi tocca entrambi i sessi, perché osserviamo femminicidi e non la controparte? Perché da sempre il forte soverchia il debole. Da sempre - almeno da Platone - la materia è considerata inferiore, bassa. Lo spirito è considerato superiore, alto. E i due principi sono tristemente assimilati all'opposizione femminile/maschile. Questo è il miserabile lascito della cultura occidentale. È partendo da qui, dal primitivismo della forza e dalle sue metamorfosi, che possiamo analizzare gli effetti nefasti della cultura patriarcale. Se lo facciamo senza individuare questi aspetti rischiamo di sostituire una soverchieria antica con una nuova.

L'illusione di bruciare in breve tempo le tappe dei secoli passati espone a dinamiche dettate dall'incontro tra rivalsa e senso di colpa. Dubito che l'incontro di questi stati emotivi produca la matura elaborazione dei fattori storici da superare. Gli strali contro il patriarcato, quando non sono puerili, sono tipici di slogan à la page. Gli slogan non sono mai stati amici del pensiero anche se troppo spesso hanno fatto la storia. Per questo, come scriveva Elsa Morante, la storia è uno scandalo che dura da 10.000 anni.

Possiamo anche pensare, non so con che probabilità di verifica, che l'attuale assetto di potere socioeconomico sia il frutto marcio di una cultura patriarcale millenaria. Possiamo anche pensare, in un delirio monogenetico, che tutta la storia di conquiste, guerre, sopraffazioni e persino l'accumulazione capitalistica occidentale siano il risultato della millenaria posizione di potere del maschio e della sua aggressività ma per ricorrere a questa spiegazione dobbiamo superare la critica della selezione sessuale per cui su scale temporali più ampie della nostra storia il comportamento di un sesso è sottoposto al vaglio dell'altro, Darwin docet.

La selezione sessuale vale nel mondo animale, vale tra gli umani, sia pure in quest'ultimo caso integrata da fattori culturali con connotazioni differenti ma non esenti dalla selezione naturale. 

La donna non ha potuto scegliere, si dirà, confondendo la dimensione storica con quella evolutiva, facendo coincidere un atto volontaristico singolo con l'esito a grande scala del gioco evolutivo. E sia. Restiamo sulla nostra dimensione storica.

Non è di oggi l'inaugurazione di quella che possiamo considerare l'era della scelta consapevole, l'epoca in cui i fattori culturali devono esaminare quelli naturali e correggerne l'abominio. Lo stato di natura non ha nulla del felice selvaggio di Rousseau, non come Rousseau lo immaginava. È il regno dove gli esseri viventi possono cooperare e possono sbranarsi con uguale probabilità. Homo sapiens a un certo punto della sua storia ha imparato a aumentare le probabilità di uno solo dei due poli, con una scelta precisa ma pur sempre inserita nel contesto della sua natura, anche se sarebbe meglio dire delle sue nature. Da lì non si scappa.

Correggere lo stato di natura. A qualcuno può sembrare blasfemo ma è quello che abbiamo saputo fare riconoscendo pari dignità e diritti a soggetti che in tempi remoti non avevano alcuno spazio. È quello che abbiamo saputo fare concependo sistemi politici democratici, imperfetti certo ma pur sempre vibranti del titanico compito di opporsi a uno stato di natura dove la vita è in balia di eventi calamitosi e predatori. È vero che abbiamo fatto molti passi indietro e molti altri ne faremo ma non è scoprendo che i discorsi di Pericle erano scritti da Aspasia che correggeremo questo cammino da gamberi.

Nel cammino dell'umanità verso il polo desiderato le lotte femministe sono una pietra miliare, a mio avviso tra le più importanti e potenti. Quindi facciamo pure una critica serrata al patriarcato ma evitiamo di farlo con il fanatismo dei risvegliati, si rischierebbero comportamenti che mettono in luce i più antichi istinti animali camuffati dal desiderio di giustizia e uguaglianza. Non sarebbe la prima né l'ultima volta nella storia. Dopotutto la prima conquista di uguaglianza pare sia stato il cristianesimo, anche se la morte di Ipazia e la storia di molti secoli dopo ci raccontano un'altra versione.

Detto questo, pur con tutti gli errori che potremmo commettere - in quale epoca storica non ne sono stati commessi? - benvengano le proposte dei critici del patriarcato, comprese le famigerate quote rosa; mostruosità necessarie perché i detentori del potere, maschi, sono attaccati alle posizioni dominanti come cozze su uno scoglio. Siccome l'intelligenza, la misura, l'onestà intellettuale e la lungimiranza sono sempre state merce rara, almeno avremo il vantaggio di raddoppiare le scarse probabilità di incontrarle, che scarse continueranno a essere ma almeno raddoppiate.

Resta comunque vero che l'analisi del presente e delle sue degenerazioni non si esaurisce sul patriarcato. La gente si cambia come si cambia un cellulare e il principale responsabile sarebbe la cultura patriarcale?

I sistemi complessi, poco attenti a biografie e sentimenti, rendono i singoli sostituibili. Il modello della logica lineare sarebbe stato sostituito da un modello di logica diffusa, quello della rete; ingannevole illusione per Giovanni Sartori, ma l'inganno è sufficiente per mettere in moto qualcosa di devastante: la sostituzione della metafora della catena con quella della rete. 

Le metafore disegnano il mondo in cui viviamo. Nella catena nessun anello può essere trascurato e la forza della catena è determinata dall'anello più debole. Nella rete l'assenza di un soggetto non perturba il sistema. Se il soggetto è un nodo con poche connessioni il sistema non vacilla, se ha molte connessioni sarà vicariato da altri in breve tempo. Tutto questo è stato introiettato nel nostro apparato emotivo. Le "nuove emozioni" non seguono più i vecchi modelli. 

Tutto questo dovrà essere chiamato in causa prima o poi, perché le emozioni vere restano roba antica, si muovono molto più lentamente del nostro sistema artificiale: economico e tecnologico. Autori come Antonio Damasio e Martha Nussbaum, ci hanno regalato, da diversi fronti, monumentali analisi del nostro sistema emotivo, hanno mostrato quanto l'intero edificio etico trovi in quel sistema le sue radici. Una volta tagliate le radici l'albero muore.

Lo sfasamento tra biologia e cultura è sempre più ampio e l'esplosione tecnologica allarga lo iato sempre di più. È in quel disaccoppiamento che risiede il bipolarismo collettivo e ormai costitutivo. Lo si dà per scontato, anzi è quasi richiesto come indice di adeguamento al sistema, salvo bruschi risvegli quando genera mostri. Ma i mostri da notiziario sono mostri che hanno esagerato, gli altri hanno di che distinguersi e assolversi tra un sentimento di ripulsa e un altro di shadenfreude.

Quando si invoca l'educazione sentimentale e emotiva si parla di sentimenti antichi, della necessità di metterli di fronte alla minaccia dell'efficientismo della contemporaneità. Ebbene sì, l'efficienza non è solo progresso! 

L'educazione invocata è quella trasmessa dalla letteratura, dalla poesia, dall'arte; regni di un mondo guardato con sospetto da chi vuole avere successo che significa fare soldi a palate! Un sogno (o incubo?) antico ma se in un passato non recente risuonava forte l'avvertimento di quanto fossero inaccessibili ai ricchi le sfere davvero alte oggi quell'eco è spenta.

Ora, di fronte all'oceano di sospetto che circonda chi si rivolge al bello, al sublime inutile, davvero vogliamo liberarci da ogni responsabilità incriminando solo il patriarcato? Non dobbiamo trascinare sul banco degli imputati anche altri soggetti?

La vita è diventata un videogioco e quel che è peggio è che quel videogioco è diventato il sogno di molti. Va tutto bene fino a quando non ci si risveglia all'improvviso, perché, oggi come millenni fa, quando si muore si muore davvero e per una volta sola.

Smettere di avere paura del buio non ci ha reso migliori.

venerdì 1 dicembre 2023

Occultati messaggi?

Qualche giorno fa ho visitato per la prima volta l'aula gotica nella basilica dei Santi Quattro Coronati. Scoperta nel 1995 l'aula ha rappresentato un terremoto nella storia dell'arte, dopo un restauro decennale è accessibile al pubblico con prenotazione. La straordinarietà di quel documento pittorico potete leggerla nelle parole di chi è più qualificato di me per parlarne.
 
Io farò un breve cenno al ciclo pittorico della cosiddetta Constitutum Constantini nell'oratorio di San Silvestro, sotto l'aula gotica. Ho visitato l'oratorio altre volte ma in quest'ultima occasione ho potuto osservare con attenzione particolari che in precedenza non avevo notato.

Che la donazione delle insegne imperiali di Costantino a papa Silvestro sia un falso storico è cosa assodata da tempo, almeno dal 1440, sebbene messa in dubbio fin dal tempo di Ottone III di Sassonia (1001). 
Il ciclo pittorico della donazione di Costantino è datato 1248 e la mia supposizione è che la falsità del documento da rappresentare non fosse ignota al pittore che ha affrescato le pareti dell'oratorio o che comunque ha diretto i lavori delle maestranze al suo seguito. Quei pittori non lasciavano nulla al caso e i loro dipinti sono intrisi di simboli e rimandi che oggi passano inosservati.
Naturalmente la mia è solo una congettura, al massimo un'ipotesi, ma senza documentazione resta solo una suggestione favorita dall'espressività dei volti rappresentati in quei dipinti in transito tra la fissità bizantina e l'espressionismo gotico che vedrà la sua piena realizzazione diversi decenni dopo con Giotto. 

Di seguito una breve descrizione dei primi otto riquadri secondo l'ordine di lettura. Il ciclo pittorico ha altri riquadri, qui non considerati, in cui ormai Costantino scompare dalla scena. Le immagini le ho prese da questo blog perché le mie foto sono abbastanza brutte!

Costantino è colpito dalla lebbra, i suoi medici gli suggeriscono di fare un bagno nel sangue di fanciulli sacrificati, le madri implorano che il sacrificio non si faccia;

Costantino rinuncia al sacrificio, due personaggi gli appaiono in sogno e lo esortano ad invitare papa Silvestro a rientrare a Roma. Il papa è rifugiato sul monte Soratte per fuggire le persecuzioni dei cristiani;

I messi imperiali vanno al monte Soratte per incontrare Silvestro;

I messi di Costantino salgono sul monte Soratte;

Silvestro rientra a Roma e mostra a Costantino le effigi di Pietro e Paolo, Costantino riconosce i due personaggi che gli sono apparsi in sogno;

Costantino, spogliato delle vesti regali, riceve da Silvestro il battesimo per immersione, i dignitari dell'imperatore reggono l'abito imperiale;

Silvestro siede in trono di fronte a Costantino che indossa l'abito imperiale e piega il ginocchio. L'imperatore offre al papa la tiara, un messo dell'imperatore offre a Silvestro l'umbraculum, un ombrellino a strisce rosse e gialle. Costantino non ha la corona, tenuta dal personaggio sul torrione: il papa avrebbe infatti rifiutato la corone che l'imperatore gli offriva;

Silvestro sul cavallo bianco è in corteo, accompagnato a piedi da Costantino che indossa la corona. Due dignitari portano la croce e la spada, simboli dei due poteri spirituale e temporale. E' ragionevole supporre che il messo con la spada sia di Costantino, mentre quello con la croce sia di papa Silvestro.

Detto questo la mia congettura, come anticipato, è che il pittore fosse a conoscenza del falso storico e che volesse in qualche modo lasciarne traccia. Perché dico questo? Perché il dignitario che porta le insegne dell'imperatore negli ultimi tre riquadri a partire dal battesimo è insolitamente accigliato, direi quasi irato se confrontato con le espressioni degli altri personaggi dello stesso pannello e dei pannelli precedenti. Ho messo in evidenza i volti in questione con un cerchio rosso. Un accenno di quell'espressione è visibile anche nei riquadri dei messi imperiali diretti al monte Soratte. Il terzo messo in entrambi i pannelli appare corrucciato ma direi in maniera non così accentuata come negli ultimi tre riquadri.

Forse in quei volti il pittore ha voluto lasciare un messaggio in attesa di essere decifrato. Non è raro che i pittori si siano presi licenze che esulavano dalla committenza, certamente quei volti non sono passati inosservati in secoli di storia e neanche agli stessi committenti. Probabilmente il volto del dignitario più che disappunto esprime sussiego e prima della guarigione prevaleva una espressione addolorata. Chissà! 

Una cosa è certa, quel dignitario sa cose che noi non sappiamo e forse aveva il volto di un pittore che  simpatizzava per Federico II.