parleremo della stagione atroce
e di brezze fuori tempo,
di quando ti aspettavo a scuola,
sudato per la poca corsa.
Parleremo delle notti bianche
per la fame della tua voce
e taceremo come sapevamo fare
quando le parole non bastavano.
Vienimi a cercare nelle pagine vuote
in attesa di parole che non arrivano.
A volte è labile quel confine dal quale tu devi andare a cercare..
RispondiEliminaè bella bella...
RispondiEliminaSono sempre a disagio di fronte ad una poesia, so dire se mi piace, se mi evoca qualcosa, se riesce a farmi riflettere o sognare, ma stento ad entrarci dentro e a commentare, come chi non sa dipingere o suonare guarda e ascolta in silenzio le opere altrui, apprezzandole, magari godendosele, senza sapere quali parole articolare, con una mente che cerchi “pagine vuote in attesa di parole che non arrivano”.
RispondiEliminaCiao
Io invece provo disagio a dire qualcosa in risposta ai commenti alle mie promemorie, pudore mi impone di non usare per quell’urgenza di scrivere la parola che per altri è poesia. È tuttavia l’urgenza che forse distingue questo linguaggio da altri, l’urgenza di darsi memoria, di piantare un chiodo arrugginito sulla parete di roccia che in quel momento stai scalando. Non so dire d’altri, io scrivo per me, perché ne ho bisogno, mi guadagno da vivere facendo altro, per fortuna. Questa era “gettata” da qualche tempo nelle bozze della mia mail e lì dimenticata, come altri chiodi arrugginiti gettati nei miei taccuini che dico sempre di dover riordinare ma che non riordino mai, forse per paura di prendermi il tetano! Non si entra mai davvero dentro questa roba qui, a volte ne resta fuori persino l’autore che le ha scritte come si fa uno scrigno per tenerci dentro cose che non vuole che altri vedano. Ed è paradossale che questo scrigno sia fatto di parole che vengono in qualche modo condivise…valla a capire davvero l’anima degli umani.
RispondiEliminamolto bella...
RispondiEliminaBella!
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