Io, pensando tra me, l’estinta madre
Volea stringermi al sen: tre volte corsi,
Quale il mio cor mi sospingea, ver lei,
E tre volte m’usci fuor delle braccia,
Come nebbia sottile, o lieve sogno.
Cura più acerba mi trafisse, e ratto,
Ahi, madre, le diss’io, perchè mi sfuggi
D’abbracciarti bramoso, onde anco a Dite,
Le man gittando l’un dell’altro al collo,
Di duol ci satolliamo ambi, e di pianto?
Fantasma vano, acciò più sempre io m’anga,
Forse l’alta Proserpina mandommi?
O degli uomini tutti il più infelice,
La veneranda genitrice aggiunse,
No, l’egregia Proserpina, di Giove
La figlia, non t’inganna. È de’ mortali
Tale il destin, dacchè non son più in vita,
Che i muscoli tra sè, l’ossa, ed i nervi
Non si congiungan più: tutto consuma
La gran possanza dell’ardente foco,
Come prima le bianche ossa abbandona,
E vagola per l’aere il nudo spirto.
Ma tu d’uscire alla superna luce
Da questo bujo affretta; e ciò, che udisti,
E porterai nell’anima scolpito,
Penelope da te risappia un giorno.
Omero - Odissea, Libro XI, vv. 265-290
Traduzione di Ippolito Pindemonte (1822)
Sono passati tre millenni, secolo più secolo meno, da quando quest'epopea è stata codificata in forma scritta, eppure i sentimenti filiali non sono cambiati, né son o cambiati io sentimento della morte della madre e l'inafferrabilità degli affetti dopo la morte. Questa versione che proponi, nella traduzione del Pindemonte, è molto più poetica di quella che ho io a cura di Rosa Calzecchi Onesti e di Fausto Codino.
RispondiEliminaCiao, un abbraccio
Non avrei dovuto passare a rileggere oggi il tuo ultimo post e non dovrei nemmeno ascoltare Renato, perché, almeno oggi non volevo piangere. Invece piango. Sai Antonio, in questi giorni ho il cuore gonfio di pianto, non so nemmeno perché vengo a dirtelo. Vabbe' . Buon Natale Antonio. Ti abbraccio forte.
RispondiEliminaUn abbraccio buon Natale anche a te Nair, a te Garbo.
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