Uno studio condotto seguendo il tracciato dei cellulari, ha stabilito che la gran parte delle persone ha comportamenti estremamente abitudinari, ai limiti dell’automatismo. Tutti i giorni fanno la stessa strada, dicono grosso modo le stesse cose, e, immancabilmente soffrono della propria routine.
Erich Fromm, parlando di una società costituita da schizofrenici “a basso voltaggio”, affermava “Quando i processi patologici assumono uno schema sociale, perdono il loro carattere individuale […] l’individuo medio non percepisce l’isolamento e la separazione che affliggono lo schizofrenico totale. Anzi, egli si sente a suo agio fra coloro che soffrono della stessa deformazione; invece è la persona completamente sana a sentirsi isolata nella società pazza, e l’incapacità di comunicare può instillarle sofferenze tali da renderla psicotica.”[1]
Se l’automatismo umano è di diversa natura rispetto all’automatismo animale lo si deve cercare nella sofferenza per una natura cui aspira ma che non possiede. Riguardo all’onestà intellettuale di tale aspirazione basta considerare come vengono guardati quanti cercano una propria strada non necessariamente uguale a quella degli altri. Ci si ammanta di cultura ma spesso non è altro che imitazione e assuefazione, scatenata forse da una qualità squisitamente umana, ma non per questo encomiabile, quale è la suggestione.
Se di tanto in tanto qualcuno basta a donare il sigillo dell’unicità all’intera specie umana, allora è proprio vero che chi si accontenta gode.
[1] E. Fromm, Anatomia della distruttività umana. Mondadori, 1975, p. 444
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