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martedì 4 settembre 2018

La cattura del gatto [Note (20)]

Nell’indagine antropologica condotta da Elias Canetti in Massa e potere emerge il drammatico rapporto tra il potere e la condizione della paranoia. “La morte quale minaccia è la moneta del potere”[1], se la morte è l’origine del potere, la massa ne è l’alimento e nelle sue disparate forme prende le sembianze dell’assurdo rimedio. Non diversamente dalle diverse forme di massa evocate da Canetti che trovano la loro antica unità nella muta di caccia, di guerra, del lamento e dell’accrescimento, nella massa dell’accrescimento e dell’accumulo, odierno sembiante della massa cullata dal mito della produzione, l’uomo celebra la morte sfuggendola. Günther Anders ha chiaramente rilevato questa duplice faccia della produzione quando a proposito dell’industria ha affermato che “la mortalità dei suoi figli è la garanzia della sua immortalità e della nostra.”[2] Nella sua opera, pubblicata nel 1960, Canetti dice che “ogni paese si mostra oggi più incline a proteggere la sua produzione che i suoi uomini. Nulla trova maggiori giustificazioni, nulla gode maggiormente dell’approvazione generale […] Negli incomprensibili estremi di annientamento e di produzione che caratterizzano la prima metà del nostro secolo, in questo duplice inesorabile accecamento che agisce oggi in una direzione, domani nell’altra, le religioni del lamento – nella misura in cui si sono conservate come organizzazioni – offrono un’immagine assolutamente miseranda. In ritardo o in anticipo, seppure con qualche eccezione, esse impartiscono la loro benedizione a tutto ciò che accade.”[3] Per Canetti l’eredità del Cristianesimo, da non sottovalutare, è nella legittimazione dell’indistruttibilità di ogni singolo uomo in vece di quella indistruttibilità di cui gode solo il potente, ma è forte il sospetto che in ciò che resta delle “agonizzanti religioni dell’amore”[4] l’antidoto al potere si sia mutato nel veleno e come un mitridatismo al rovescio abbia smesso di avere il suo originario effetto legittimando nelle masse non il rovesciamento del potere bensì l’originario bisogno di affidarsi al potere barattando la sicurezza con la libertà. La libertà chiede pegni difficili da sostenere e le insidie presenti sul suo cammino fanno paura quanto la morte. Dopotutto se la gente non chiede altro che giocare alla lippa, perché rischiare una rivoluzione in nome della libertà?

[1] E. Canetti, Massa e potere, Opere 1932-1973, Bompiani, 1990, p. 1557.
[2] G. Anders, L’uomo è antiquato, Vol. II, Bollati Boringhieri, 2007, p. 32.
[3] E. Canetti, Op. cit., p. 1552 e seguenti.
[4] E. Canetti, La provincia dell’uomo, Opere 1932-1973, Bompiani, 1990, p. 1631.

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