Pagine

giovedì 12 gennaio 2012

I tecnici e la tecnica

Ieri sera leggevo un articolo molto interessante di Pietro Modiano pubblicato sul numero 06/2011 di Limes interamente dedicato alla crisi dell'euro e dell'Europa. Oggi, volendo cercare informazioni sull'autore, sono stato molto contento di trovare l'intero articolo on line a questo indirizzo del sito Linkiesta, così mi sarà più facile proporre qualche frammento, anche se consiglio la lettura dell'intero articolo di Modiano. Nell'articolo, che su Limes si intitola "Ma il problema è L'Italia o il suo debito pubblico?", viene fornita una panoramica delle tendenze della nostra finanza pubblica alla luce della recente crisi del debito sovrano. Modiano prende in esame recenti pubblicazioni del Fondo Monetario Internazionale (settembre 2011) e della Banca d'Italia (novembre 2011) che riprende a sua volta dati elaborati dalla Commissione Europea. I dati riportati nei documenti citati fanno emergere che le prospettive di riduzione del nostro debito pubblico, su un orizzonte temporale 2010-2030, sono migliori rispetto a quelle della Francia e, per certi aspetti, anche a quelle della Germania. Questa conclusione può sembrare sorprendente alla luce delle notizie che siamo soliti leggere ed ascoltare da un po' di tempo ma questo è quello che dicono i dati tecnici.
Di seguito estrapolerò solo alcuni passaggi dell'articolo di Modiano che ritengo significativi per via delle domande che mi hanno suscitato.

Modiano scrive: «l’Italia sta male su tre fronti: ovviamente il debito (121,1% del Pil, secondi dopo il Giappone), ovviamente i fabbisogni finanziari annui lordi (GFN, 22,8%, terzi dopo Usa e Giappone), ovviamente la differenza fra costo del debito e tasso di crescita del Pil (in cui siamo primi). Ma da qui in poi la realtà si dissocia dagli stereotipi, ed è necessario provare a ristabilirla.
L’Italia risulta largamente la più virtuosa per disavanzo pubblico al netto delle componenti cicliche (CAPD, l’Italia è l’unico Paese in surplus); l’Italia risulta il terzo Paese più virtuoso (dopo Giappone e Francia e molto meglio della Germania) per quanto riguarda le pensioni e addirittura il primo in materia di equilibri nella spesa sanitaria (con la Francia e gli Stati Uniti, dopo la recente riforma, a larga distanza). [...]
Gli uffici del Fondo hanno misurato (in termini “illustrativi”) lo sforzo che ogni Paese deve fare da qui al 2030 per raggiungere un rapporto debito/Pil del 60%, identificato come soglia di sostenibilità di lungo termine. Lo sforzo, che è misurato in termini di punti percentuali di riduzione del disavanzo pubblico annuale rispetto all’anno di partenza necessario per raggiungere l’obiettivo, è tanto maggiore quanto più alti sono i debiti e i deficit di partenza, e quanto meno favorevoli le tendenze demografiche e di crescita economica in campo pensionistico e sanitario, a legislazione data. Ebbene, per raggiungere il 60% del rapporto debito/Pil lo sforzo aggiuntivo dell’Italia rispetto al 2010 consiste nell’aumento di 3,1 punti percentuali dell’avanzo primario da conseguire entro il 2020 e nel mantenimento di tale più elevato livello fino al 2030. Includendo pensioni e sanità, l’Italia deve migliorare di un punto in più, cioè del 4,1%. In base alla prima misura l’impegno dell’Italia è più gravoso di quello della Germania (2,3) ma molto meno di quello della Francia (6,3); includendo sanità e pensioni, l’Italia risulta essere addirittura il paese meno disequilibrato, il più virtuoso, almeno fra quelli di maggiori dimensioni con i quali si confronta, quello con minori oneri di aggiustamento per raggiungere la sostenibilità del debito.
C’è di più: lo sforzo aggiuntivo che dobbiamo fare per raggiungere in vent’anni il 60% di rapporto debito/Pil, è realistico più di quanto non lo sia quello necessario per l’aggiustamento di altri Paesi.»

Fonte: IMF Fiscal Monitor, settembre 2011.
Clicca sulla tabella per ingrandire

Insomma, tirando le somme sembra che sul fronte pensionistico la Germania e la Francia stiano messe peggio dell'Italia ma non è questo l'aspetto interessante, non mi piacciono i confronti al ribasso. Quello che mi interessa è che a settembre 2011 il Fondo Monetario Internazionale diceva che la variazione della spesa pubblica italiana a lungo termine per pensioni dal 2010 al 2030 era piuttosto stabile, in altre parole le entrate sono compensate dalle uscite, e che l'aggiustamento richiesto per raggiungere il 60% di rapporto debito/Pil nel 2030 è inferiore a quello richiesto per altri paesi. Per la verità nulla di nuovo, l'INPS stila annualmente rapporti sulla sostenibilità del sistema pensionistico ma la terzietà e l'internazionalità del FMI danno quel certo non so che di affidabilità in più! A farla breve quella del FMI sembra essere una valutazione tecnica, basata su dati oggettivi. Pertanto la domanda che mi pongo è questa, se il sistema pensionistico era stabile fino a settembre scorso perché è stato il primo sul quale si è intervenuti allungando l'età pensionabile?
Ammetto che la mia domanda è retorica perché un governo di tecnici non può che rispondere "perché la quantità di soldi che gira per le pensioni è enorme ed è facile intervenire su questo tema, insomma hai un alta resa con poco impegno". La risposta non mi piace, è troppo tecnica, ma facciamo finta che mi accontento. Ma c'è un altro aspetto interessante che solleva Modiano citando dati di un altro organismo internazionale, l'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico).

Scrive Modiano: «Pensiamo al mercato del lavoro. Nel 1992 era la rigidità dei salari a compromettere la competitività e frenare la crescita: si agì infatti sulla scala mobile, e poi con la svalutazione, e negli anni successivi con le riforme del mercato del lavoro. Oggi, la legislazione a protezione del lavoro, ovviamente migliorabile, appare del tutto allineata agli standard dei Paesi concorrenti (come si può notare nella tabella qui sotto riportata), e non sembra agire da freno evidente e immediato della competitività. La forza delle esportazioni, pur in presenza di indici non eccellenti di competitività di prezzo, lo conferma.»

Clicca sulla tabella per ingrandire

Anche qui nulla di nuovo. La legislazione sulla protezione del lavoro italiana ed il confronto con la legislazione internazionale è cosa nota. A parte la Marcegaglia, sono in molti a conoscerla bene e Luciano Gallino non perde occasione di mostrare come la nostra legislazione di garanzia del lavoro sia passata da uno dei valori più elevati d'Europa ad uno dei più bassi (articolo 18 compreso). Per quanto riguarda poi gli aspetti tecnici di una possibile eliminazione sull'articolo 18, "anomalia italiana" secondo il presidente di Confindustria, qualche tempo fa Carlo Clericetti scrisse un bell'articolo fitto di dati su La Repubblica. Da un governo tecnico ci si aspetterebbe che tenesse in alta considerazione i dati tecnici ma potrei sbagliarmi anche qui! Mi chiedo, quale sarebbe il vantaggio dell'abolizione dell'articolo 18? Siamo di fronte anche qui ad una battaglia ideologica? Di solito viene accusata la CGIL, e in particolare la FIOM, di fare le battaglie ideologiche ma non avremmo qui sufficienti elementi tecnici per dire che la Confindustria ne sta conducendo una? Oppure la Marcegaglia non ha un sufficiente background tecnico per capire le cifre dell'OCSE?

O magari potremmo concludere che in molti casi il rigore tecnico può essere descritto da questa fantastica vignetta che illustra in maniera impietosa e ineccepibile come funzionano i mercati.

Vignetta ripresa dal blog Effetto Cassandra.

Questo per quanto riguarda gli aspetti tecnici, per quanto riguarda invece quelli politici è singolare che si parli di privatizzazione anche per quelle materie, come l'acqua, che sono state recentemente oggetto di consultazione referendaria, con i risultati che sono noti a tutti.
Forse ha ragione Lucio Caracciolo, il direttore di Limes, quando dice che "la crisi dell'euro è anche una crisi di credibilità della democrazia. I vecchi stati si sono indeboliti e non sono stati sostituiti da un nuovo forte potere centralizzato a livello europeo. C'è un rischio autoritario in Europa, perchè di fatto le decisioni imposte da Merkel, Sarkozy e dalla BCE non hanno l'avallo del consenso popolare."
Lui parla di crisi della democrazia in un contesto europeo, io, nel mio piccolo, la vedo in Italia.

2 commenti:

  1. Credo, purtroppo, stiano dilagando effetti similari a quelli disegnati nelle vignette.

    RispondiElimina
  2. Ma pensiamo veramente che sia solo crisi monetaria? o crisi di valori che abbiamo o meglio hanno ammantato con la crisi dell'euro?
    Ciao:))

    RispondiElimina

Adoro lo scambio di opinioni e i commenti mi fanno molto piacere ma se stai scrivendo qualcosa che riterrò offensivo o di cattivo gusto allora il commento non avrà risposta e sarà cancellato.
Per evitare spam la moderazione è attiva solo per post pubblicati da più di 30 giorni.