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sabato 4 giugno 2011

Altri frammenti

Dopo le passeggiate hegeliane dello spirito fuori e dentro sé stesso, l’alienazione era per Marx la condizione di disagio ed impotenza di fronte ai risultati del proprio lavoro. Oggi abbiamo posto rimedio al disagio! I ninnoli del fine settimana e i gadget del mercato ci curano, il risultato e le conseguenze del nostro lavoro non sono più una preoccupazione. Una volta scambiato il nostro agire con il denaro che può tradursi in ogni bene utile che sia stato opportunamente pubblicizzato, il nostro compito è finito e l’impotenza di una volta è tradotta nella potenza degli atti mancati.
Quel senso di impotenza conservava ancora i tratti della matrice umana di cui ci diciamo fatti. La vergogna prometeica che Anders ha descritto è qualcosa che appartiene agli uomini, uomini antiquati perché non si sentono all’altezza della perfezione delle proprie macchine, ma ancora uomini che sentono qualcosa. Ho il timore che la soluzione alla vergogna prometeica non sia stata l’espansione dell’emotività umana che Anders sperava, bensì una progressiva contrazione dell’emotività nel tentativo di rimuovere il disagio dell’esistere. La macchina adesso è perfetta, non richiede manutenzione e l’erpice non si sporca più.

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Illustrazione di Luigi Serafini

"«Capisce la procedura? L’erpice comincia a scrivere; quando la prima stesura sulla schiena dell’uomo è finita, lo strato di ovatta ruota e gira il corpo lentamente su un lato, per dare nuovo spazio all’erpice. Nel frattempo i luoghi scritti con le ferite vengono a contatto con l’ovatta, la quale grazie a una speciale preparazione arresta immediatamente il sanguinamento e predispone a un nuovo approfondimento della scrittura. Qui poi i denti sull’orlo dell’erpice alla successiva rotazione del corpo strappano l’ovatta dalle ferite, la gettano nella fossa, e l’erpice ricomincia a lavorare. Così esso può scrivere per tutte le dodici ore. Durante le prime sei ore il condannato è vivo più o meno come prima, solo prova dolore. Dopo due ore il feltro viene rimosso, perché l’uomo non ha più la forza di gridare. Qui dalla parte della testa, in questa ciotola scaldata elettricamente, si mette della pappa calda di riso, dalla quale l’uomo, se ne ha voglia, può prendere quel che riesce a raggiungere con la lingua. Nessuno rinuncia a questa possibilità. Non ho mai visto nessuno rinunciarvi, e la mia esperienza è grande. Solo intorno alla sesta ora il condannato perde il gusto di mangiare. Allora di solito mi inginocchio qui e osservo il fenomeno. E’ raro che l’uomo ingoi l’ultimo boccone, di solito si limita a girarlo in bocca e poi a sputarlo nella fossa. Allora devo ritrarmi, altrimenti mi arriva in faccia. Ma come diventa silenzioso l’uomo intorno alla sesta ora! Anche il più stupido raggiunge la comprensione. E’ una cosa che comincia dagli occhi. Da lì si diffonde a tutto il resto. E’ uno spettacolo che potrebbe sedurre qualcuno a mettersi anche lui sotto l’erpice. Non succede nient’altro, semplicemente l’uomo comincia a decifrare la scrittura, appuntisce le labbra come se fosse in ascolto. Come ha visto, non è facile decifrare la scrittura con gli occhi; ma il nostro uomo la decifra con le proprie ferite. Per la verità, è un lavoro lungo: impiega sei ore per giungere a termine. Ma alla fine l’erpice lo trafigge completamente e lo getta nella fossa, sbattendolo sull’acqua insanguinata e sull’ovatta. Allora il giudizio è compiuto, e io e il soldato lo copriamo di terra.»" Estratto da Nella colonia penale, F. Kafka, 1919.

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