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domenica 18 ottobre 2009

Un democratico in allarme


In occasione del centenario della nascita di Norberto Bobbio invito alla lettura di un paio di suoi articoli. Uno del 1958, l'altro molto breve del 2001, a pochi anni dalla sua morte. Nel secondo articolo il filosofo parla di un caso emblematico per cui diventa chiaro perché il primo articolo si concludeva con la celebre frase: "Noi siamo, dobbiamo essere, democratici sempre in allarme."

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Sono tanti i libri di Bobbio che inviterei a leggere, da Il futuro della democrazia a L'età dei diritti, da Politica e cultura a De Senectude, ma uno che mi sta particolarmente a cuore è la raccolta di saggi Elogio della mitezza[1].
Nei saggi si ha il privilegio di leggere le lucide considerazioni del filosofo su diversi soggetti di carattere morale: il rapporto tra etica e politica, le ragioni (o la ragionevolezza) della tolleranza e, per converso, le cause dell’intolleranza e del razzismo.
Uno degli aspetti su cui Bobbio ripetutamente ci sollecita nelle nostre valutazioni dell’esperienza collettiva, in riferimento alle varie forme di discriminazione, è la differenza tra giudizi di fatto e giudizi di valore (p. 112). Fin da Hume la cosa è tanto nota in filosofia quanto ignorata nell’esperienza e va sotto il nome di fallacia naturalistica per la quale si confondono i fatti (l’essere) con la loro necessità metafisica (il dover essere). Che una persona abbia certe proprietà (che sia nero, omosessuale, donna, ebreo o altro) è un fatto ma questo non ha alcuna relazione con il giudizio di inferiorità né con la volontà di ridurre l’essere di un soggetto all’essere di un altro soggetto in quella che in definitiva non è che una assurda reductio ad unum che semplifica e mortifica la meravigliosa e difficile complessità dell’esistenza.
Il cardine intorno a cui ruota il pensiero del filosofo è il rapporto tra verità e tolleranza, l’una e l’altra possono coesistere in virtù della irriducibilità degli esseri (p. 150). La confusione a buon mercato tra relativismo e scetticismo, che oggi abita le stanche menti pseudoliberali e pontificali, cela dietro gli scricchiolanti edifici dell’argomentazione l’intrinseca necessità dello scetticismo per fondare l’autorità (p. 151).
Il continuo mettersi in discussione costa fatica ma “Può valere la pena di mettere a repentaglio la libertà, facendo beneficiare di essa anche il suo nemico, se l’unica possibile alternativa è di restringerla sino a rischiare di soffocarla o per lo meno di non permetterle di dare i suoi frutti. Meglio una libertà sempre in pericolo ma espansiva che una libertà protetta incapace di evolversi. Solo una libertà in pericolo è capace di rinnovarsi. Una libertà incapace di rinnovarsi si trasforma presto o tardi in una nuova schiavitù.” (p. 158)
Solo il costante rapporto con il dubbio da parte del filosofo (p. 146) consente all’uomo di ragione di riconoscere i limiti della ragione e scoprire gli orizzonti delle ragioni (p. 181) e di fronte ad ogni scelta ultima permette di ammettere che “come tutte le scelte ultime è tale da non essere sostenibile soltanto con argomenti razionali.” (p. 199)
In questo contesto la creazione di una vita morale sorge quale “unica antitesi del male” (p. 201), e a tal proposito torna alla mente la meravigliosa esortazione del Leopardi nel Dialogo di Plotino e di Porfirio, “Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamo a tenerci mano e soccorso scambievolmente; per compier nel miglior modo questa fatica della vita.”[2]Ricordando che il mite “è colui che lascia essere l’altro quello che è” (p. 40) auguro buona lettura a quanti vorranno leggere le opere di Bobbio ma il mio augurio è più utilmente indirizzato a quanti, pur richiamandosi alla mitezza, ne ignorano premesse e conseguenze.

[1] N. Bobbio, Elogio della mitezza e altri scritti morali. Net, Milano, 2006.
[2] G. Leopardi, Operette morali - Il Dialogo di Plotino e di Porfirio. Garzanti, Milano, 1984, p. 311.

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