Il 29 giugno scorso è stata pubblicata la terza enciclica di Benedetto XVI,
Caritas in Veritate. Molti hanno considerato rivoluzionaria l'enciclica per l'attenzione dedicata all'economia, al lavoro, ai problemi della globalizzazione, agli obiettivi di sviluppo dell'essere umano che spesso il mondo dell'economia ignora. Attenzione apprezzabile, senza dubbio. Il testo è complesso e va letto con cura. Chi proviene da una cultura laica, non può abbracciare tutte le premesse implicite nel testo, come la creaturalità dell'essere umano, o il messaggio escatologico sotteso, e questo appare ovvio, ma ciò non annulla il valore dell'analisi dei problemi dello sviluppo neanche rinunciando alla cornice teologica (cfr.
G. Ruffolo su L'Espresso).
C'è tuttavia un aspetto che sta a fondamento dell'enciclica e che ricorre in tutto il testo, a partire dal titolo, dal quale è davvero difficile prescindere.
Caritas in Veritate è davvero rivoluzionaria perchè propone il rovesciamento del principio paolino della "
veritas in caritate". Il nodo della questione è cosa è contenuto e cosa è contenitore. La Verità è il contesto della Carità o è la Carità a contenere la Verità? L'enciclica papale propende per la prima alternativa ed è inevitabile che tutto ciò che discende da tale premessa ne sia profondamente influenzato. Può sembrare un banale problema terminologico ma la faccenda fa tremare i polsi a pensarci bene. Di fronte a questo problema mi chiedo se tutte le rivoluzioni sono davvero necessarie!
L'arcinota parabola del Samaritano ci suggerisce qualcosa di diverso rispetto al nodo teologico sollevato dalla
Caritas in Veritate. Il Samaritano non ha chiesto quale fosse la verità dell'uomo che ha soccorso, dalla parabola non sappiamo quale fosse la verità del Samaritano e in fin dei conti non ci interessa saperla. Al Samaritano non importava nulla della verità dell'uomo e neanche della sua. La verità o le verità in quel momento albergavano, con discrezione, nel
cum patere che accomunava quei due uomini. Sarebbe enormemente più interessante pensare che nell'orizzonte cognitivo ed emotivo del Samaritano non fosse all'opera uno sterile dualismo tra Verità e Carità e che la Verità fosse proprio quella Carità di cui la parabola ci parla, ma è comprensibile che questa lettura può risultare ostica ad un pensiero che liquida con troppa leggerezza la complessità delle emozioni ed il loro ruolo nello sviluppo individuale e sociale, emozioni che Benedetto XVI declassa ad 'emotivismo' se prive della verità che il pontefice ha in mente (consiglio la lettura di alcuni autori meno disinvolti sul tema delle emozioni
[1, 2]).
Forse per la teologia di Benedetto XVI appare necessario che la verità sia precondizione della carità, ma se è così ha tutta l'aria di essere una "teologia che oggi, com'è noto, è piccola e brutta. E che non deve farsi scorgere da nessuno." (W. Benjamin,
Tesi di filosofia della storia, 1940).
E' davvero paradossale che proprio per condividere buona parte dell'analisi dei problemi sociali ed economici sviluppata nell'enciclica
Caritas in Veritate io debba prenderne il
contenuto e versarlo fuori dall'angusto
contenitore in cui è stato costretto!
[1] A. Damasio, Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello. Adelphi, 2003.
[2] M.C. Nussbaum, L'intelligenza delle emozioni. il Mulino, 2004.
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Muovendomi, come sempre, pericolosamente in bilico tra sacro e profano riporto due brani. Il primo riguarda la carità ed è la parabola del Samaritano, dal Vangelo di Luca. Il secondo riguarda la verità (almeno quella delle religioni monoteiste ma non costa fatica estenderne l'ambito) ed è tratto dal Decameron del Boccaccio. Lui che chiamò Divina la Commedia di Dante, scrisse nella sua opera maggiore la commedia umana, fatta di mille espedienti, di imbrogli, di saggezza popolare e di amore tra viandanti che si dividono un ombrellino strappato mentre camminano sotto la pioggia, parlando di
"quel che non ha governo né mai ce l'avrà, quel che non ha vergogna né mai ce l'avrà, quel che non ha giudizio." (
C. Buarque de Hollanda - I. Fossati)
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Luca 10,25-37
25 Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?».
26 Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?».
27 Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso».
28 E Gesù: «Hai risposto bene; fa' questo e vivrai».
29 Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?».
30 Gesù riprese:
«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.
31 Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte.
32 Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre.
33 Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione.
34 Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.
35 Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno.
36 Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?».
37 Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' lo stesso».
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Decameron di Boccaccio
Prima giornata, Novella Terza
Melchisedech giudeo, con una novella di tre anella, cessa un gran pericolo dal Saladino apparecchiatogli.
Poiché, commendata da tutti la novella di Neifile, ella si tacque, come alla reina piacque, Filomena così cominciò a parlare.
La novella da Neifile detta mi ritorna a memoria il dubbioso caso già avvenuto ad un giudeo. Per ciò che già e di Dio e della verità della nostra fede è assai bene stato detto, il discendere oggimai agli avvenimenti e agli atti degli uomini non si dovrà disdire; e a narrarvi quella verrò, la quale udita, forse più caute diverrete nelle risposte alle quistioni che fatte vi fossero. Voi dovete, amorose compagne, sapere che, sì come la sciocchezza spesse volte trae altrui di felice stato e mette in grandissima miseria, così il senno di grandissimi pericoli trae il savio e ponlo in grande e in sicuro riposo. E che vero sia che la sciocchezza di buono stato in miseria altrui conduca, per molti essempli si vede, li quali non fia al presente nostra cura di raccontare, avendo riguardo che tutto '1 dì mille essempli n'appaiano manifesti. Ma che il senno di consolazione sia cagione, come promisi, per una novelletta mosterrò brievemente.
Il Saladino, il valore del qual fu tanto che non solamente di piccolo uomo il fe' di Babillonia soldano, ma ancora molte vittorie sopra li re saracini e cristiani gli fece avere, avendo in diverse guerre e in grandissime sue magnificenze speso tutto il suo tesoro, e, per alcuno accidente sopravvenutogli bisognandogli una buona quantità di danari, né veggendo donde così prestamente come gli bisognavano aver gli potesse, gli venne a memoria un ricco giudeo, il cui nome era Melchisedech, il quale prestava ad usura in Alessandria, e pensossi costui avere da poterlo servire quando volesse; ma sì era avaro che di sua volontà non l'avrebbe mai fatto, e forza non gli voleva fare; per che, strignendolo il bisogno, rivoltosi tutto a dover trovar modo come il giudeo il servisse, s'avvisò di fargli una forza da alcuna ragion colorata. E fattolsi chiamare e familiarmente ricevutolo, seco il fece sedere e appresso gli disse:
- Valente uomo, io ho da più persone inteso che tu se' savissimo e nelle cose di Dio senti molto avanti; e per ciò io saprei volentieri da te quale delle tre leggi tu reputi la verace, o la giudaica o la saracina o la cristiana.
Il giudeo, il quale veramente era savio uomo, s'avvisò troppo bene che il Saladino guardava di pigliarlo nelle parole per dovergli muovere alcuna quistione, e pensò non potere alcuna di queste tre più l'una che l'altra lodare, che il Saladino non avesse la sua intenzione. Per che, come colui al qual pareva d'aver bisogno di risposta per la quale preso non potesse essere, aguzzato lo 'ngegno, gli venne prestamente avanti quello che dir dovesse, e disse:
- Signor mio, la quistione la qual voi mi fate è bella, e a volervene dire ciò che io ne sento, mi vi convien dire una novelletta, qual voi udirete.
Se io non erro, io mi ricordo aver molte volte udito dire che un grande uomo e ricco fu già, il quale, intra l'altre gioie più care che nel suo tesoro avesse, era uno anello bellissimo e prezioso; al quale per lo suo valore e per la sua bellezza volendo fare onore e in perpetuo lasciarlo né suoi discendenti, ordinò che colui de' suoi figliuoli appo il quale, sì come lasciatogli da lui, fosse questo anello trovato, che colui s'intendesse essere il suo erede e dovesse da tutti gli altri essere come maggiore onorato e reverito.
E colui al quale da costui fu lasciato il simigliante ordinò né suoi discendenti e così fece come fatto avea il suo predecessore; e in brieve andò questo anello di mano in mano a molti successori; e ultimamente pervenne alle mani ad uno, il quale avea tre figliuoli belli e virtuosi e molto al padre loro obedienti, per la qual cosa tutti e tre parimente gli amava. E i giovani, li quali la consuetudine dello anello sapevano, sì come vaghi d'essere ciascuno il più onorato tra' suoi ciascuno per se', come meglio sapeva, pregava il padre, il quale era già vecchio, che, quando a morte venisse, a lui quello anello lasciasse.
Il valente uomo, che parimente tutti gli amava, né sapeva esso medesimo eleggere a qual più tosto lasciar lo dovesse, pensò, avendolo a ciascun promesso, di volergli tutti e tre sodisfare; e segretamente ad uno buono maestro ne fece fare due altri, li quali sì furono simiglianti al primiero, che esso medesimo che fatti gli avea fare appena conosceva qual si fosse il vero. E venendo a morte, segretamente diede il suo a ciascun de' figliuoli. Li quali, dopo la morte del padre, volendo ciascuno la eredità e l'onore occupare, e l'uno negandolo all'altro, in testimonianza di dover ciò ragionevolmente fare ciascuno produsse fuori il suo anello. E trovatisi gli anelli sì simili l'uno all'altro che qual di costoro fosse il vero non si sapeva conoscere, si rimase la quistione, qual fosse il vero erede del padre, in pendente, e ancor pende.
E così vi dico, signor mio, delle tre leggi alli tre popoli date da Dio padre, delle quali la quistion proponeste: ciascuno la sua eredità, la sua vera legge e i suoi comandamenti dirittamente si crede avere e fare; ma chi se l'abbia, come degli anelli, ancora ne pende la quistione.
Il Saladino conobbe costui ottimamente essere saputo uscire del laccio il quale davanti a' piedi teso gli aveva; e per ciò dispose d'aprirgli il suo bisogno e vedere se servire il volesse; e così fece, aprendogli ciò che in animo avesse avuto di fare, se così discretamente, come fatto avea, non gli avesse risposto.
Il giudeo liberamente d'ogni quantità che il Saladino richiese il servì; e il Saladino poi interamente il soddisfece; e oltre a ciò gli donò grandissimi doni e sempre per suo amico l'ebbe e in grande e onorevole stato appresso di sé il mantenne.