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martedì 5 maggio 2009

Il re sobrio e l’etica del boudoir

L'Avvenire fa sentire la sua autorevole voce sui temi etici che questi giorni impegnano il dibattito della politichetta.

"Non ci è piaciuto quel clima da scambio di 'favorini' veri, falsi o presunti tra amici e amiche. E ci ha inquietato lo spargersi, tra alzatine di spalle e sorrisetti irridenti o ammiccanti, di un'altra manciata di sospetti sulle gesta del presidente del Consiglio. Il sospetto per chi gestisce la cosa pubblica può essere persino peggiore della verità più scomoda. E comunque, prima o poi arriva il momento del conto. [...] La stoffa umana di un leader, il suo stile e i valori di cui riempie concretamente la sua vita non sono indifferenti: non possono esserlo. Per questo noi continuiamo a coltivare la richiesta di un presidente che con sobrietà sappia essere specchio, il meno deforme, all'anima del Paese".

Ho letto l'editoriale dell'Avvenire con molto interesse e l'ho trovato condivisibile dalla prima all'ultima parola. Anche il mio grillo parlante l'ha letto e quando ha finito di leggerlo mi ha raccontato questa storia:
"In un paese molto lontano qualche tempo fa ho visto un re che aveva insegnato ai suoi sudditi che tutto ciò che desiderano nella loro vita era vedere trasmissioni divertenti in televisione. Trasmissioni che non facessero pensare troppo e che distraessero dai problemi della vita. Il re diceva a tutti che prima o poi sarebbero stati ricchi come lui e le folle lo applaudivano compiacenti. Il re aveva un folto seguito e tutti erano convinti che con lui al potere sarebbero stati felici. Il re non si curava della collettività e quando fu al massimo del suo consenso oltraggiava i fondamenti della vita sociale e ignorava le regole del buon governo, ingiuriava i suoi oppositori e faceva scempio dell’azione legislativa per volgerla al suo personale interesse. Il re giocava con le parole, raccontava barzellette e menzogne e tutti erano contenti. Il re non temeva rovesciamenti perché aveva tra i suoi alleati i sacerdoti del tempio che, al sicuro tra promesse e sorrisi, rinunciavano alla loro memoria più antica in nome di favori e finanziamenti. Il re incontrava i sacerdoti del tempio, abbracciava il loro capo ed assicurava al tempio il primato desiderato. Il re prometteva che non avrebbe messo le mani nelle tasche del suo popolo anche se, con il favore dei sacerdoti del tempio, non esitava a mettere a forza un sondino nel naso di quanti non potevano accettare la devastazione della propria persona.
Il re regnava incontrastato nella terra dell’etica pubblica dove i fiori stentavano a crescere perché il suolo era stato contaminato dalle sue sementi avvelenate.
Ma un giorno il re superò il limite invalicabile, entrò nel regno del privato con la stessa alterigia con cui cavalcava dissennatamente nel regno del pubblico. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. I sacerdoti del tempio non perdonarono tanta tracotanza. Il re non aveva capito che poteva continuare a fare strage in quel territorio che aveva già conquistato ma non doveva toccare il territorio del privato. Quel territorio tra l'altro non era più così vasto come un tempo perchè ormai i sacerdoti del tempio ne rivendicavano solo le zone confinanti con le camere da letto. Il discrimine etico era diventato così facile da riconoscere che il re non avrebbe mai dovuto varcarlo.
Fu così che l’etica delle mutande fece dire ai sacerdoti del tempio che il re era empio."

Il mio grillo mi ha poi spiegato di apprezzare molto il richiamo alla sobrietà del re ma non riesce proprio a togliersi dalla testa l'idea che l'indignazione, come una sorta di meccanismo a molla, scatti solo quando si evoca una camera da letto!
Se l’immoralità della filosofia del boudoir del divino marchese meritava una smentita, quale migliore terreno dell’etica del boudoir?

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