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mercoledì 22 aprile 2009

L'ultima libertà

Ieri è stato pubblicato da Micromega il video dell'appello di Paolo Ravasin al Presidente della Repubblica ed ai Presidenti di Camera e Senato. Ravasin è malato di sclerosi laterale amiotrofica e si rivolge alle massime autorità dello Stato per rivendicare il suo diritto di scelta di fronte alla morte.
"Mi viene sottratta l'unica libertà che mi è rimasta: quella di poter decidere sulla mia morte." Nelle parole di Ravasin abbiamo chiaramente la terribile consapevolezza che quella è anche una nostra libertà, se per lui è l'unica che gli è rimasta per tutti gli uomini è sicuramente l'ultima. Una libertà erosa da un potere tecnico travolto dal proprio successo e che non discerne più tra vita e non morte. Un potere che non riceverà mai l'attenzione che merita fino a quando sarà nelle mani di quanti lo leggono secondo le più assurde asimmetrie (Sotto il vessillo della 'natura' quale differenza si rileva tra la tecnica della fecondazione assistita e la tecnica della 'sospensione' della morte? La prima fa nascere, l'altra nega la morte! E' per questo che in un caso la tecnica viene demonizzata e nell'altro viene divinizzata?).
Quest'uomo chiede di esercitare una sua libertà, una libertà che la Costituzione di questo paese gli riconosce, una libertà che chiede per sè, chiede che gli venga garantito il diritto di esercitare quella libertà, l'ultima per lui come per chiunque altro, non ha alcuna pretesa che la sua dolorosa scelta sia imposta ad altri. La sua richiesta è rivolta alle massime autorità dello Stato così come a ciascun cittadino di questo paese, nessuno può sottrarsi al suo appello.
La stessa richiesta è venuta e continua a venire da quanti hanno vissuto e vivono la sua tragedia volendo decidere per sé della propria morte. Era la richiesta di Beppino Englaro per sua figlia, prima ancora era la richiesta di Luca Coscioni, di Piergiorgio Welby, di Giovanni Nuvoli e chissà di quanti altri non hanno avuto voce. Quando arriverà il momento in cui di fronte a questi drammi non dovremo più aspettarci nessuna alzata di spalle indifferente camuffata da amore per la vita?
La legge che oggi è in discussione sul testamento biologico al Parlamento è la manifestazione più brutale di un biopotere che vuole gestire quest'ultima libertà.

Più di 30 anni fa Michel Foucault scriveva in La volontà di sapere:
«Si potrebbe dire che al vecchio diritto di far morire o di lasciar vivere si è sostituito un potere di far vivere o di respingere nella morte. E' forse così che si spiega il discredito della morte che caratterizza la desuetudine recente dei rituali che l'accompagnavano. La cura che si pone nell'evitare la morte è legata al fatto che le procedure di potere non hanno cessato di allontanarsene piuttosto che ad una nuova angoscia che la renderebbe insopportabile alle nostre società. Con il passaggio da un mondo all'altro, la morte era la sostituzione di una sovranità terrestre ad opera di un'altra, molto più potente; il fasto che la circondava partecipava della cerimonia politica. E' ora sulla vita e lungo tutto il suo svolgimento che il potere stabilisce la sua presa; la morte ne è il limite, il momento che gli sfugge; diventa il punto più segreto dell'esistenza, il più "privato". [...]
La vecchia potenza della morte in cui si simbolizzava il potere sovrano è ora ricoperta accuratamente dall'amministrazione dei corpi e dalla gestione calcolatrice della vita.»
(M. Foucault, Diritto di morte e potere sulla vita. In: Antologia. L'impazienza della libertà. Feltrinelli, 2006, pp. 99-100.)

Nel 1976, quando Foucault scriveva queste parole, non era ancora chiaro che in un futuro non troppo lontano al discorso del potere sulla vita si sarebbe aggiunto il discorso del potere sulla non morte.

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