“La bellezza salverà il mondo”, scriveva Dostojieski. Josif Brodskij è altrettanto chiaro sulla matrice estetica del comportamento umano quando scrive: “Ogni nuova realtà estetica ridefinisce la realtà etica dell’uomo. Giacché l’estetica è madre dell’etica…”.[1]
Luigi Zoja ci riporta all’unica radice greca di due concetti di ‘bello e buono’ che in quel mondo antico non conoscevano distinzione ed avevano una sola parola per essere designati, “kalokagathìa (da kalòs kài agathós, «bello e buono/valido»)”.[2]
La salvaguardia dell’ambiente che ci ospita e tutto ciò che può essere messo in atto per realizzare questo obiettivo è spesso oggetto di discussione perché ostacolerebbe la crescita economica e non ci sarebbe accordo sulle reali responsabilità dell’uomo riguardo il degrado ambientale. Ma questo non è solo un problema di economia o di scienza, è soprattutto un problema di estetica e di etica. Fino a che discuteremo se il clima cambia a causa delle emissioni atmosferiche di origine umana e se ridurle possa danneggiare le nostre economie non ci accorgeremo che, fatti salvi i centri storici (non è un caso), le nostre città sono orribili, che le nostre relazioni affettive non sono più beni in sé che accrescono il nostro essere ma sono subordinate ad una pletora di altre attività che sottraggono tutte le nostre energie.
Tutto ciò è avvenuto per un’idea di sviluppo che ha portato a quelle emissioni in atmosfera e all'inquinamento in generale di cui tanto si discute. Che siano o no responsabili dei cambiamenti climatici la sostanza dei fatti non cambia, hanno comunque avvelenato la nostra vita.
[1] J. Brodskij, Dall’esilio, Adelphi, Milano, 1987. Cit. In: Luigi Minozzi, La visione est-etica nella decisione politica partecipata. éupolis, 45/46, Lug-Dic 2007, p. 83.
[2] L. Zoja, Giustizia e Bellezza, Bollati Boringhieri, 2007, p. 20.
"Concludiamone dunque che il mondo sarebbe assai migliore se ciascuno si accontentasse di quello che dice, senza aspettarsi che gli rispondano, e soprattutto senza chiederlo né desiderarlo." José Saramago
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lunedì 30 marzo 2009
venerdì 27 marzo 2009
Razionalità dell'homo oeconomicus
Riprendo integralmente dal sito de Le Scienze un interessante articolo che potrebbe darci un po' di elementi per riflettere sulle possibili basi biologiche della crisi economica. Sempre che gli economisti abbiano gli stessi schemi neuronali del campione di soggetti utilizzati dagli autori degli esperimenti.
Naturalmente non parlo degli economisti a cui danno il premio Nobel, ho sempre sospettato che agli economisti illuminati dessero il premio così non gli sarebbe venuto in mente di dedicarsi alla politica, insomma un premio ai piccoli per farli giocare con i loro numeri, mentre i grandi facevano le cose serie!
Cavolo! Per una volta almeno non si poteva fare eccezione per l'illuminazione e dare il Nobel a Brunetta?
Le basi neurologiche dell'illusione monetaria
La rappresentazione dei soldi che utilizza il cervello è di tipo "nominale" e non "reale", ossia: è facile cadere nella seduzione dei grandi numeri.
Meglio un aumento del reddito del tre per cento con un'inflazione al cinque, o un taglio del due per cento mentre i prezzi restano perfettamente stabili? Ovviamente il potere d'acquisto nelle due situazioni è esattamente identico, eppure la grande maggioranza delle persone opta per la prima delle due alternative.
Molti vedono infatti positivamente un aumento del loro reddito, anche se esso è poi di fatto annullato dall'inflazione. Gli economisti chiamano questo fenomeno "illusione monetaria" e spesso ritengono che essa non dovrebbe esistere, considerato che alla fin fine il potere d'acquisto resta invariato: un agente economico razionale dovrebbe dunque restare del tutto insensibile alla salita o alla discesa nominale del reddito. Diversi studi ed esperimenti confermano però che l'effetto esiste realmente.
Ora Armin Falk e Bernd Weber, il primo economista e il secondo neuroscienziato dell'Università di Bonn, hanno cercato di scoprire quali siano i processi neuronali sottostanti a questa situazione, esaminando l'attività cerebrale di diversi volontari mentre erano impegnati in un gioco di simulazione di attività economiche.
Nelle due serie di esperimenti condotti, illustrati in un articolo pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), i partecipanti si sono venuti a confrontare con situazioni analoghe a quella descritta, ossia con uno scenario a reddito nominalmente alto e a reddito nominalmente basso, ma con identico potere di acquisto, cosa di cui essi erano ben consapevoli.
"Abbiamo rilevato che c'era un'area sistematicamente meno attiva nello scenario a basso reddito di quanto non lo fosse nello scenario ad alto reddito", spiega Bernd Weber. "Si tratta della corteccia prefrontale ventromediale, un'area che produce un senso di quasi euforia associato a esperienze piacevoli."
I risultati degli esperimenti condotti hanno dunque mostrato che la rappresentazione dei soldi che utilizza il cervello è di tipo "nominale" e non "reale", ossia: è facile cadere nella seduzione dei grandi numeri.
Questa conclusione, osservano i ricercatori, ha rilevanza pratica, in quanto l'illusione monetaria permette di spiegare perché l'economia può essere rilanciata da una politica finanziaria espansiva. E conferma altresì l'ipotesi di molti economisti che l'illusione monetaria rappresenti anch'essa un fattore da considerare nella spiegazione delle bolle speculative.
Naturalmente non parlo degli economisti a cui danno il premio Nobel, ho sempre sospettato che agli economisti illuminati dessero il premio così non gli sarebbe venuto in mente di dedicarsi alla politica, insomma un premio ai piccoli per farli giocare con i loro numeri, mentre i grandi facevano le cose serie!
Cavolo! Per una volta almeno non si poteva fare eccezione per l'illuminazione e dare il Nobel a Brunetta?
Le basi neurologiche dell'illusione monetaria
La rappresentazione dei soldi che utilizza il cervello è di tipo "nominale" e non "reale", ossia: è facile cadere nella seduzione dei grandi numeri.
Meglio un aumento del reddito del tre per cento con un'inflazione al cinque, o un taglio del due per cento mentre i prezzi restano perfettamente stabili? Ovviamente il potere d'acquisto nelle due situazioni è esattamente identico, eppure la grande maggioranza delle persone opta per la prima delle due alternative.
Molti vedono infatti positivamente un aumento del loro reddito, anche se esso è poi di fatto annullato dall'inflazione. Gli economisti chiamano questo fenomeno "illusione monetaria" e spesso ritengono che essa non dovrebbe esistere, considerato che alla fin fine il potere d'acquisto resta invariato: un agente economico razionale dovrebbe dunque restare del tutto insensibile alla salita o alla discesa nominale del reddito. Diversi studi ed esperimenti confermano però che l'effetto esiste realmente.
Ora Armin Falk e Bernd Weber, il primo economista e il secondo neuroscienziato dell'Università di Bonn, hanno cercato di scoprire quali siano i processi neuronali sottostanti a questa situazione, esaminando l'attività cerebrale di diversi volontari mentre erano impegnati in un gioco di simulazione di attività economiche.
Nelle due serie di esperimenti condotti, illustrati in un articolo pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), i partecipanti si sono venuti a confrontare con situazioni analoghe a quella descritta, ossia con uno scenario a reddito nominalmente alto e a reddito nominalmente basso, ma con identico potere di acquisto, cosa di cui essi erano ben consapevoli.
"Abbiamo rilevato che c'era un'area sistematicamente meno attiva nello scenario a basso reddito di quanto non lo fosse nello scenario ad alto reddito", spiega Bernd Weber. "Si tratta della corteccia prefrontale ventromediale, un'area che produce un senso di quasi euforia associato a esperienze piacevoli."
I risultati degli esperimenti condotti hanno dunque mostrato che la rappresentazione dei soldi che utilizza il cervello è di tipo "nominale" e non "reale", ossia: è facile cadere nella seduzione dei grandi numeri.
Questa conclusione, osservano i ricercatori, ha rilevanza pratica, in quanto l'illusione monetaria permette di spiegare perché l'economia può essere rilanciata da una politica finanziaria espansiva. E conferma altresì l'ipotesi di molti economisti che l'illusione monetaria rappresenti anch'essa un fattore da considerare nella spiegazione delle bolle speculative.
giovedì 26 marzo 2009
Par(s) condicio
Ieri sera a Rai 3 c'è stato uno speciale di Che tempo che fa interamente dedicato a Roberto Saviano. E' stato un appuntamento con il coraggio civile di un uomo che ha sfidato il potere criminale che deforma le coscienze dissanguandole di quanto di più nobile si possa pretendere dalla vita, la libertà di decidere della propria esistenza. Un giovane che di fatto ha dovuto rinunciare a vivere la vita che desiderava per un impegno che pure ha ritenuto irrinunciabile e di cui tutti gli italiani devono essergli grati.
E' un compito davvero ingrato per me criticare Roberto Saviano, ma in mezzo alla bufera di terribili emozioni di dolore e di rabbia che ha saputo suscitare nel suo lungo monologo c'è stato un passaggio dove alle emozioni si è aggiunto lo sconcerto. Saviano ha detto: "Nell'ultima campagna elettorale da qualsiasi parte non si è parlato di mafia perché c'era l'impressione che la gran parte della gente non fosse interessata". Sicuramente i temi che tratta Saviano meritano molta più attenzione di quanta non ne ricevano dalla stampa nazionale ma forse in questo punto lo scrittore ha dovuto rispettare il codice della cosiddetta par condicio, pagare un ragionevole tributo alle regole della casa che lo ospitava. Infatti, non posso credere completamente a quelle particolari parole di Saviano, né credo possa essergli sfuggita qualche notizia di un certo rilievo durante la scorsa campagna elettorale.
Io ho buona memoria - a questo punto chi mi conosce starà già ridendo, ma ragazzi questo blog potrebbe essere letto anche da sconosciuti e allora devo pur darmi un tono! - e la par condicio non la intendo esattamente come la intendono alcuni conduttori televisivi, ovvero una sorta di colta acquiescenza nei panni profumati della gradevole buona educazione.
Ricordo infatti che fondamentalmente alle elezioni si fronteggiavano due schieramenti principali, in uno c'era un leader (adesso non c'è più, forse fortunatamente) che durante un comizio a Napoli, rivolgendosi a camorra, mafia e 'ndrangheta, disse: "Non votate per il Partito Democratico, sappiate che con noi al Governo cercheremo di distruggervi". Nell'altro schieramento c'era un altro leader (c'è ancora, di sicuro sfortunatamente) che aveva già dichiarato che i magistrati "sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana", proponeva perizie psichiatriche per i giudici e dava sostegno ad un suo luogotenente che diceva che un mafioso era un eroe. Pensiero peraltro già anticipato diversi anni prima da un altro luogotenente.
Uno dei due leader ha vinto le elezioni!
Da notare che la fonte giornalistica che ho richiamato non può essere considerata di parte politica avversa al leader che poi ha vinto le elezioni! Un bell'esempio di par condicio, vero? Per sgomberare il campo da ogni accusa di parzialità per i due leader in questione dico anche di far parte di quel gruppo di persone che attualmente non ha rappresentanza parlamentare, per la gioia di entrambi i leader!
Poi chi proprio non resiste ad essere di parte può leggere l'articolo di Marco Travaglio o ascoltare il passaggio del leader che adesso non c'è più.
Sono assolutamente convinto che Roberto Saviano avesse perfettamente in mente tutto questo e se per qualche motivo non l'ha potuto dire resta comunque il fatto che non va taciuto.
Ad ogni modo e sinceramente, grazie Roberto.
E' un compito davvero ingrato per me criticare Roberto Saviano, ma in mezzo alla bufera di terribili emozioni di dolore e di rabbia che ha saputo suscitare nel suo lungo monologo c'è stato un passaggio dove alle emozioni si è aggiunto lo sconcerto. Saviano ha detto: "Nell'ultima campagna elettorale da qualsiasi parte non si è parlato di mafia perché c'era l'impressione che la gran parte della gente non fosse interessata". Sicuramente i temi che tratta Saviano meritano molta più attenzione di quanta non ne ricevano dalla stampa nazionale ma forse in questo punto lo scrittore ha dovuto rispettare il codice della cosiddetta par condicio, pagare un ragionevole tributo alle regole della casa che lo ospitava. Infatti, non posso credere completamente a quelle particolari parole di Saviano, né credo possa essergli sfuggita qualche notizia di un certo rilievo durante la scorsa campagna elettorale.
Io ho buona memoria - a questo punto chi mi conosce starà già ridendo, ma ragazzi questo blog potrebbe essere letto anche da sconosciuti e allora devo pur darmi un tono! - e la par condicio non la intendo esattamente come la intendono alcuni conduttori televisivi, ovvero una sorta di colta acquiescenza nei panni profumati della gradevole buona educazione.
Ricordo infatti che fondamentalmente alle elezioni si fronteggiavano due schieramenti principali, in uno c'era un leader (adesso non c'è più, forse fortunatamente) che durante un comizio a Napoli, rivolgendosi a camorra, mafia e 'ndrangheta, disse: "Non votate per il Partito Democratico, sappiate che con noi al Governo cercheremo di distruggervi". Nell'altro schieramento c'era un altro leader (c'è ancora, di sicuro sfortunatamente) che aveva già dichiarato che i magistrati "sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana", proponeva perizie psichiatriche per i giudici e dava sostegno ad un suo luogotenente che diceva che un mafioso era un eroe. Pensiero peraltro già anticipato diversi anni prima da un altro luogotenente.
Uno dei due leader ha vinto le elezioni!
Da notare che la fonte giornalistica che ho richiamato non può essere considerata di parte politica avversa al leader che poi ha vinto le elezioni! Un bell'esempio di par condicio, vero? Per sgomberare il campo da ogni accusa di parzialità per i due leader in questione dico anche di far parte di quel gruppo di persone che attualmente non ha rappresentanza parlamentare, per la gioia di entrambi i leader!
Poi chi proprio non resiste ad essere di parte può leggere l'articolo di Marco Travaglio o ascoltare il passaggio del leader che adesso non c'è più.
Sono assolutamente convinto che Roberto Saviano avesse perfettamente in mente tutto questo e se per qualche motivo non l'ha potuto dire resta comunque il fatto che non va taciuto.
Ad ogni modo e sinceramente, grazie Roberto.
martedì 24 marzo 2009
Fosse ardeatine
Era il 24 marzo del 1944.
Quel giorno furono trucidati dai nazisti 335 civili e militari italiani come atto di rappresaglia ad una azione partigiana.
Di tanto in tanto mi capita di andare a quel mausoleo. La prima volta, molti anni fa, ci sono andato con i miei genitori. Sotto la pesante lastra che toglie il respiro, in quella luce di piombo passavamo lentamente tra le file di tombe.
In una di quelle tombe c'è Ferruccio Caputo, era uno studente, aveva 21 anni e veniva da Melissano, il mio paese. Non fu facile trovare la sua tomba.
I miei genitori erano stanchi, non possono camminare a lungo. Non trovando la tomba di Ferruccio, mio padre disse "non fa niente, qui sotto sono tutti uguali, gli abbiamo fatto visita anche se non lo abbiamo trovato".
Aveva ragione, lì sotto, ripeto, lì sotto sono tutti uguali. La morte non ha annullato le loro differenze, le loro soggettività ma li ha accomunati allo stesso destino, alla stessa atroce fine.
Oggi si usa troppo spesso e a sproposito la frase "i morti sono tutti uguali". Non è così. Le loro morti li hanno resi uguali ma se vogliamo rendere davvero giustizia alle loro vite dobbiamo rispettare le loro differenze.
Non è un problema di "pacificazione", come si usa dire. E' una questione di rispetto.
Quel giorno furono trucidati dai nazisti 335 civili e militari italiani come atto di rappresaglia ad una azione partigiana.
Di tanto in tanto mi capita di andare a quel mausoleo. La prima volta, molti anni fa, ci sono andato con i miei genitori. Sotto la pesante lastra che toglie il respiro, in quella luce di piombo passavamo lentamente tra le file di tombe.
In una di quelle tombe c'è Ferruccio Caputo, era uno studente, aveva 21 anni e veniva da Melissano, il mio paese. Non fu facile trovare la sua tomba.
I miei genitori erano stanchi, non possono camminare a lungo. Non trovando la tomba di Ferruccio, mio padre disse "non fa niente, qui sotto sono tutti uguali, gli abbiamo fatto visita anche se non lo abbiamo trovato".
Aveva ragione, lì sotto, ripeto, lì sotto sono tutti uguali. La morte non ha annullato le loro differenze, le loro soggettività ma li ha accomunati allo stesso destino, alla stessa atroce fine.
Oggi si usa troppo spesso e a sproposito la frase "i morti sono tutti uguali". Non è così. Le loro morti li hanno resi uguali ma se vogliamo rendere davvero giustizia alle loro vite dobbiamo rispettare le loro differenze.
Non è un problema di "pacificazione", come si usa dire. E' una questione di rispetto.
domenica 22 marzo 2009
Vero all'alba
Se mi presentassi ad un gruppo di persone affamate e dicessi loro che il cibo non è sufficiente per risolvere il problema della fame ma serve anche una consapevole coscienza del valore intrinseco del cibo, del suo valore simbolico oltre che energetico, qualcuno sicuramente potrebbe guardarmi con sospetto. A favore della mia argomentazione potrei addurre che il cibo non elimina i problemi della fame ma anzi è portatore di gravi disturbi di origine alimentare, si pensi al diabete, al colesterolo e alle mille malattie legate all'obesità del mondo occidentale. Il sospetto nei miei confronti probabilmente crescerebbe ancora.
La cosa stupefacente è che, per quanto possa destare perplessità, quanto vado affermando ai miei confusi interlocutori è vero ed è altrettanto stupefacente che il mio stupore di non essere compreso cresca in misura proporzionale alla veridicità delle mie tesi.
Per uscire da questa impasse, volendo rimanere nel contesto della verità, dovrei fare esercizio di onestà intellettuale e riconoscere che, per quanto vere le mie argomentazioni, sono condizionate all'interno di un ordine di priorità che può essere decisamente diverso tra me e i miei interlocutori. La verità è uno specchio andato in mille frantumi ed è sempre importante capire quali pezzi si stanno guardando e in quale ordine si stanno guardando di volta in volta. Questa è una tesi che a qualcuno potrebbe sembrare di natura relativistica e per questo aborrita, eppure a volte è grazie a questa tesi che un argomento semplicemente vero in alcuni contesti può non essere scambiato per un crimine in altri.
Prendendo per buona una visione umanistica, che in virtù della mia formazione di biologo trovo ingenua oltre che presuntuosa, si può essere d'accordo che l'uomo è libero dalla cogenza degli istinti. In altre parole tra i vari vessilli della supposta unicità umana ci sarebbe la possibilità di dire 'no' alle esigenze biologiche (tra gli altri vessilli che si sventolano e che non avrebbero riscontro nel resto del mondo animale c'è l'uso di un linguaggio sintattico, il possesso di una mente simbolica, la presenza del ministro Brunetta tra i membri della specie, e tante altre cose!). Che piaccia o meno tra gli istinti umani c'è il bisogno alimentare come quello sessuale. Dire 'no' a tali istinti è appunto una possibilità che ha valore caratterizzante l'umano se pronunciato in libertà e che, se resta fedele a sé stessa ne rimane anche vittima, potendo essere quindi rifiutata e proprio in virtù del rifiuto di un rifiuto tale possibilità può essere rivendicata ancora di più quale peculiarità umana.
In Africa, come ovunque, il desiderio sessuale è una peculiarità umana, ma qui più che altrove i milioni di donne che partoriscono figli a volontà (altrui) non godono di quel naturale desiderio come il maschio. L'educazione all'utilizzo del preservativo in Africa quindi non riguarda solo ed esclusivamente la gravissima trasmissione dell'AIDS e i dati sulla inutilità del preservativo al riguardo sono tutt'altro che incontestabili (presumo che su questi temi i rapporti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità abbiano più valenza degli articoli di Avvenire).
Se è vero, come dice il Pontefice, che "la soluzione per combattere questa malattia può solo essere una umanizzazione della sessualità, un rinnovo spirituale e umano", allora potrebbe essere altrettanto vero che quel rinnovo passi attraverso la doppia negazione che dicevo e allora l'uso dei preservativi non sarebbe stato così inutile come si sostiene, da ambienti esperti suppongo!
La cosa stupefacente è che, per quanto possa destare perplessità, quanto vado affermando ai miei confusi interlocutori è vero ed è altrettanto stupefacente che il mio stupore di non essere compreso cresca in misura proporzionale alla veridicità delle mie tesi.
Per uscire da questa impasse, volendo rimanere nel contesto della verità, dovrei fare esercizio di onestà intellettuale e riconoscere che, per quanto vere le mie argomentazioni, sono condizionate all'interno di un ordine di priorità che può essere decisamente diverso tra me e i miei interlocutori. La verità è uno specchio andato in mille frantumi ed è sempre importante capire quali pezzi si stanno guardando e in quale ordine si stanno guardando di volta in volta. Questa è una tesi che a qualcuno potrebbe sembrare di natura relativistica e per questo aborrita, eppure a volte è grazie a questa tesi che un argomento semplicemente vero in alcuni contesti può non essere scambiato per un crimine in altri.
Prendendo per buona una visione umanistica, che in virtù della mia formazione di biologo trovo ingenua oltre che presuntuosa, si può essere d'accordo che l'uomo è libero dalla cogenza degli istinti. In altre parole tra i vari vessilli della supposta unicità umana ci sarebbe la possibilità di dire 'no' alle esigenze biologiche (tra gli altri vessilli che si sventolano e che non avrebbero riscontro nel resto del mondo animale c'è l'uso di un linguaggio sintattico, il possesso di una mente simbolica, la presenza del ministro Brunetta tra i membri della specie, e tante altre cose!). Che piaccia o meno tra gli istinti umani c'è il bisogno alimentare come quello sessuale. Dire 'no' a tali istinti è appunto una possibilità che ha valore caratterizzante l'umano se pronunciato in libertà e che, se resta fedele a sé stessa ne rimane anche vittima, potendo essere quindi rifiutata e proprio in virtù del rifiuto di un rifiuto tale possibilità può essere rivendicata ancora di più quale peculiarità umana.
In Africa, come ovunque, il desiderio sessuale è una peculiarità umana, ma qui più che altrove i milioni di donne che partoriscono figli a volontà (altrui) non godono di quel naturale desiderio come il maschio. L'educazione all'utilizzo del preservativo in Africa quindi non riguarda solo ed esclusivamente la gravissima trasmissione dell'AIDS e i dati sulla inutilità del preservativo al riguardo sono tutt'altro che incontestabili (presumo che su questi temi i rapporti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità abbiano più valenza degli articoli di Avvenire).
Se è vero, come dice il Pontefice, che "la soluzione per combattere questa malattia può solo essere una umanizzazione della sessualità, un rinnovo spirituale e umano", allora potrebbe essere altrettanto vero che quel rinnovo passi attraverso la doppia negazione che dicevo e allora l'uso dei preservativi non sarebbe stato così inutile come si sostiene, da ambienti esperti suppongo!
martedì 17 marzo 2009
Parcheggio perfetto, forse
Molte volte ci troviamo di fronte a delle cose apparentemente inspiegabili, a me capita spesso. Alcune cose sono palesemente assurde, altre hanno sicuramente una spiegazione. Ad esempio questo parcheggio sulle prime può sembrare bizzarro ma se poi si osserva con una certa regolarità, in altre parole la stessa scena si ripropone decine di volte, allora bisogna essere onesti e ammettere che potrebbe esserci una spiegazione che ci sta sfuggendo.
Del resto cos'è che spinge all'indagine scientifica se non le cose che si presentano inspiegabili che tuttavia si manifestano con regolarità, forse dopotutto la scienza potrebbe essere solo questo, scoperta e codificazione di regolarità. A mio avviso è altrettanto importante rivolgere attenzione alle singolarità che, oltre a fornire la proverbiale conferma della regola quando sono eccezioni, in molti casi potrebbero aprire un orizzonte di regolarità successive, ma questo è un altro discorso. Per questo parcheggio la regolarità è ormai assodata, fidatevi.
Probabilmente agli occhi del proprietario l'auto è perfettamente nascosta dietro al palo della luce! Non so, il motivo potrebbe essere una asimmetria spazio-temporale, la materia dell'auto potrebbe essere completamente assorbita dalla proiezione del palo. Oppure il parcheggio è avvenuto in una dimensione quantistica che poi, notte tempo, è andata dissolvendosi, o magari potrebbe essere dovuto ad una singolarità percettiva del conducente.
La cosa davvero curiosa dal mio punto di vista è che questo tipo di fenomeni, sebbene si manifestino con regolarità, vengono considerati delle stravaganze e dimenticati con troppa superficialità. In realtà meriterebbero maggiore attenzione, magari potrebbero aprirci ad altre prospettive e scoprire che l'unica auto parcheggiata perfettamente è proprio quella dietro al palo, oppure che una qualche mutazione dei conducenti sta facendo evolvere le modalità di parcheggio e noi, vecchi dinosauri destinati all'estinzione, non riusciamo proprio a coglierne la novità. O no?
Del resto cos'è che spinge all'indagine scientifica se non le cose che si presentano inspiegabili che tuttavia si manifestano con regolarità, forse dopotutto la scienza potrebbe essere solo questo, scoperta e codificazione di regolarità. A mio avviso è altrettanto importante rivolgere attenzione alle singolarità che, oltre a fornire la proverbiale conferma della regola quando sono eccezioni, in molti casi potrebbero aprire un orizzonte di regolarità successive, ma questo è un altro discorso. Per questo parcheggio la regolarità è ormai assodata, fidatevi.
Probabilmente agli occhi del proprietario l'auto è perfettamente nascosta dietro al palo della luce! Non so, il motivo potrebbe essere una asimmetria spazio-temporale, la materia dell'auto potrebbe essere completamente assorbita dalla proiezione del palo. Oppure il parcheggio è avvenuto in una dimensione quantistica che poi, notte tempo, è andata dissolvendosi, o magari potrebbe essere dovuto ad una singolarità percettiva del conducente.
La cosa davvero curiosa dal mio punto di vista è che questo tipo di fenomeni, sebbene si manifestino con regolarità, vengono considerati delle stravaganze e dimenticati con troppa superficialità. In realtà meriterebbero maggiore attenzione, magari potrebbero aprirci ad altre prospettive e scoprire che l'unica auto parcheggiata perfettamente è proprio quella dietro al palo, oppure che una qualche mutazione dei conducenti sta facendo evolvere le modalità di parcheggio e noi, vecchi dinosauri destinati all'estinzione, non riusciamo proprio a coglierne la novità. O no?
lunedì 16 marzo 2009
Questioni di scala
Il più piccolo di tutti[1] si accorse dei suoi undici fratelli ed ebbe subito la sensazione che insieme costituivano una solida maggioranza in quel circolo[2]. Ne facevano parte altri dodici soggetti più grossi, sei erano un po' più pesanti[3] degli altri sei, ma i sei più leggeri erano visibilmente più voluminosi[4]. Bisticciavano tra loro su chi contasse di più nel gruppo.
"Senza di me questo circolo si scioglierebbe", disse uno di quelli più pesanti, che in effetti doveva vedersela a destra e a sinistra con due soggetti voluminosi mentre gli altri cinque simili a lui erano impegnati con uno soltanto di quelli voluminosi e con uno dei più piccoli. I voluminosi risposero in coro: "Non farci ridere, con le tue due braccine non fai che gonfiarti di boria. Guardaci bene, ognuno di noi ha quattro braccia, e senza queste il circolo non sarebbe unito."
I più pesanti, dopo essersi consultati, riconobbero che era vero e uno di loro, con tono conciliante e serio, disse: "La verità è che insieme siamo proprio un circolo di importanza fondamentale e direi, senza tema di smentita, che se non fosse per noi la baracca non si muoverebbe, si fermerebbe tutto."
“Vedo che cominci a ragionare”, risposero quelli con quattro braccia, “abbiamo fatto bene a costituire questo circolo, dura da tanto tempo e tutti dovrebbero riconoscere di dipendere da noi.”
I più piccoli, che oltre ad essere veramente piccoli avevano solo un braccio, erano ancora un po’ restii ad accettare l’argomentazione, per via della consapevolezza che ormai avevano acquisito di essere la maggioranza, ma ritennero ragionevole non opporsi, perchè dopotutto gli altri erano davvero grossi.
Poco più in là, all’interno di un edificio, un gruppo assisteva alla scena. Erano in tanti[5], tutti diversi e seduti intorno ad un tavolo tondo con il centro vuoto popolato da altri tipi[6]. Ognuno passava qualcosa all'altro con l’aiuto di quelli al centro del tavolo. Era una vera e propria fabbrica. A quel tavolo arrivava di tutto e usciva fuori di tutto.
“Ma li hai sentiti quelli là fuori quante arie si danno?”
“Certo che li ho sentiti, non se ne può più. Non si rendono conto che li usiamo per i nostri scopi, noi non facciamo che aspettare che il loro circolo si sciolga per usarli nella nostra filiera di produzione e poi pensano di essere al centro del mondo.”
“Già! Questa è proprio bella, lo vedrebbero pure i ciechi che senza la nostra fabbrica il paese non si muoverebbe.”
In effetti la fabbrica era un modello di efficienza e di coordinamento ma nonostante le apparenze anche lì c’era qualche dissapore. Quelli al centro del tavolo sostenevano che senza di loro non passava di mano in mano proprio un bel niente e la catena di produzione si sarebbe presto interrotta, quelli seduti dicevano che senza di loro la catena si sarebbe interrotta ugualmente e che ad ogni modo erano loro a fornire la materia prima.
Il tipo che ospitava tutti[7] se la rideva di quei battibecchi e disse ai contendenti: “Io non la farei così lunga, se non fosse stato per un mio antenato che si rincantucciò qua dentro, voi non fareste il vostro lavoro con tanta sicumera”.
In effetti era proprio così, tuttavia convennero con l’ospite che insieme godevano di una certa autonomia e che gli altri dovrebbero essere grati a tutti loro.
Un signore magrissimo[8], che usava raccogliersi in se stesso, disse: “Che sciocchi, non si accorgono che sono io a dare avvio a tutte le loro attività”.
Intorno si levò un coro di protesta[9]: “Ma quando mai! senza di noi tu non ti staccheresti nemmeno da tuo fratello e se rimani attaccato a lui col cavolo che dai avvio a qualcosa. Caro, tu avrai pure tutte le istruzioni ma non ti è mai venuto in mente che siamo state noi a fornirtele perché avevi una buona memoria? Sei un ingrato, da libro adesso ti vanti come fossi lo scrittore!”
“Sì”, rispose il signore magro, “certo che ci ho pensato ma questo non toglie che senza di me voi morireste e non potreste riprodurvi!”
Una di loro, che gli era particolarmente vicina rispose stizzita: “Perché tu invece che fine faresti? Se è per questo, avrai pure la memoria dalla tua, ma mio caro sei mille volte più fragile di noi e ogni tanto dobbiamo correre a riparare le tue ferite.”
Lui serio rispose: “E’ vero e ve ne sono grato ma non dimenticate che senza le mie ferite voi non sareste così tanto numerose e poi considerate che voi siete passeggere mentre io, anche con le mie riparazioni, resisto al tempo.”
“Certo che sei sempre lo stesso” intervenne una signora piuttosto grassa[10], “altrimenti non mi saresti stato di alcuna utilità, allora avrei certamente cercato un’altra soluzione per mandare avanti i miei interessi.” Un’altra signora più magra[11], intervenne nervosamente dicendo alla signora grassa “Hai perfettamente ragione, ma devi ammettere che prima che arrivassi io e le mie sorelle a tutte voi mancava l’organizzazione dell’impresa”. L’altra rispose calma: “E’ vero, ma, vista la tua proverbiale memoria non dovresti scordare che anche senza la tua organizzazione siamo andate tranquillamente avanti per molto tempo e tu sei arrivata praticamente l’altro ieri.” La signora magra se ne andò nervosamente rivolgendo uno sguardo di sufficienza all’altra.
“Ma sentile,” disse tra sé e sé un signore molto composto[12] “con tutta la fatica per metterle insieme adesso si contendono il primato.” Una voce interiore[13] acconsentì, aggiungendo con profondità che solo grazie a lei l’universo poteva conoscersi e che lo scopo di tutto era proprio quello.
Da lontano un sussurro, forse una voce, forse solo un pensiero[14] “Se non mi avessero pensato mi sarei risparmiato di pensare a tutta questa bagarre.”
Ancora più lontano nessuno si accorse di nulla[15].
Personaggi
[1] L’idrogeno
[2] Il glucosio
[3] L’ossigeno
[4] Il carbonio
[5] Gli acidi tricarbossilici
[6] Gli enzimi
[7] Il mitocondrio
[8] Il DNA
[9] Le proteine
[10] La cellula
[11] Il neurone
[12] L’organismo
[13] La mente
[14] Il creatore
[15] ...
"Senza di me questo circolo si scioglierebbe", disse uno di quelli più pesanti, che in effetti doveva vedersela a destra e a sinistra con due soggetti voluminosi mentre gli altri cinque simili a lui erano impegnati con uno soltanto di quelli voluminosi e con uno dei più piccoli. I voluminosi risposero in coro: "Non farci ridere, con le tue due braccine non fai che gonfiarti di boria. Guardaci bene, ognuno di noi ha quattro braccia, e senza queste il circolo non sarebbe unito."
I più pesanti, dopo essersi consultati, riconobbero che era vero e uno di loro, con tono conciliante e serio, disse: "La verità è che insieme siamo proprio un circolo di importanza fondamentale e direi, senza tema di smentita, che se non fosse per noi la baracca non si muoverebbe, si fermerebbe tutto."
“Vedo che cominci a ragionare”, risposero quelli con quattro braccia, “abbiamo fatto bene a costituire questo circolo, dura da tanto tempo e tutti dovrebbero riconoscere di dipendere da noi.”
I più piccoli, che oltre ad essere veramente piccoli avevano solo un braccio, erano ancora un po’ restii ad accettare l’argomentazione, per via della consapevolezza che ormai avevano acquisito di essere la maggioranza, ma ritennero ragionevole non opporsi, perchè dopotutto gli altri erano davvero grossi.
Poco più in là, all’interno di un edificio, un gruppo assisteva alla scena. Erano in tanti[5], tutti diversi e seduti intorno ad un tavolo tondo con il centro vuoto popolato da altri tipi[6]. Ognuno passava qualcosa all'altro con l’aiuto di quelli al centro del tavolo. Era una vera e propria fabbrica. A quel tavolo arrivava di tutto e usciva fuori di tutto.
“Ma li hai sentiti quelli là fuori quante arie si danno?”
“Certo che li ho sentiti, non se ne può più. Non si rendono conto che li usiamo per i nostri scopi, noi non facciamo che aspettare che il loro circolo si sciolga per usarli nella nostra filiera di produzione e poi pensano di essere al centro del mondo.”
“Già! Questa è proprio bella, lo vedrebbero pure i ciechi che senza la nostra fabbrica il paese non si muoverebbe.”
In effetti la fabbrica era un modello di efficienza e di coordinamento ma nonostante le apparenze anche lì c’era qualche dissapore. Quelli al centro del tavolo sostenevano che senza di loro non passava di mano in mano proprio un bel niente e la catena di produzione si sarebbe presto interrotta, quelli seduti dicevano che senza di loro la catena si sarebbe interrotta ugualmente e che ad ogni modo erano loro a fornire la materia prima.
Il tipo che ospitava tutti[7] se la rideva di quei battibecchi e disse ai contendenti: “Io non la farei così lunga, se non fosse stato per un mio antenato che si rincantucciò qua dentro, voi non fareste il vostro lavoro con tanta sicumera”.
In effetti era proprio così, tuttavia convennero con l’ospite che insieme godevano di una certa autonomia e che gli altri dovrebbero essere grati a tutti loro.
Un signore magrissimo[8], che usava raccogliersi in se stesso, disse: “Che sciocchi, non si accorgono che sono io a dare avvio a tutte le loro attività”.
Intorno si levò un coro di protesta[9]: “Ma quando mai! senza di noi tu non ti staccheresti nemmeno da tuo fratello e se rimani attaccato a lui col cavolo che dai avvio a qualcosa. Caro, tu avrai pure tutte le istruzioni ma non ti è mai venuto in mente che siamo state noi a fornirtele perché avevi una buona memoria? Sei un ingrato, da libro adesso ti vanti come fossi lo scrittore!”
“Sì”, rispose il signore magro, “certo che ci ho pensato ma questo non toglie che senza di me voi morireste e non potreste riprodurvi!”
Una di loro, che gli era particolarmente vicina rispose stizzita: “Perché tu invece che fine faresti? Se è per questo, avrai pure la memoria dalla tua, ma mio caro sei mille volte più fragile di noi e ogni tanto dobbiamo correre a riparare le tue ferite.”
Lui serio rispose: “E’ vero e ve ne sono grato ma non dimenticate che senza le mie ferite voi non sareste così tanto numerose e poi considerate che voi siete passeggere mentre io, anche con le mie riparazioni, resisto al tempo.”
“Certo che sei sempre lo stesso” intervenne una signora piuttosto grassa[10], “altrimenti non mi saresti stato di alcuna utilità, allora avrei certamente cercato un’altra soluzione per mandare avanti i miei interessi.” Un’altra signora più magra[11], intervenne nervosamente dicendo alla signora grassa “Hai perfettamente ragione, ma devi ammettere che prima che arrivassi io e le mie sorelle a tutte voi mancava l’organizzazione dell’impresa”. L’altra rispose calma: “E’ vero, ma, vista la tua proverbiale memoria non dovresti scordare che anche senza la tua organizzazione siamo andate tranquillamente avanti per molto tempo e tu sei arrivata praticamente l’altro ieri.” La signora magra se ne andò nervosamente rivolgendo uno sguardo di sufficienza all’altra.
“Ma sentile,” disse tra sé e sé un signore molto composto[12] “con tutta la fatica per metterle insieme adesso si contendono il primato.” Una voce interiore[13] acconsentì, aggiungendo con profondità che solo grazie a lei l’universo poteva conoscersi e che lo scopo di tutto era proprio quello.
Da lontano un sussurro, forse una voce, forse solo un pensiero[14] “Se non mi avessero pensato mi sarei risparmiato di pensare a tutta questa bagarre.”
Ancora più lontano nessuno si accorse di nulla[15].
Personaggi
[1] L’idrogeno
[2] Il glucosio
[3] L’ossigeno
[4] Il carbonio
[5] Gli acidi tricarbossilici
[6] Gli enzimi
[7] Il mitocondrio
[8] Il DNA
[9] Le proteine
[10] La cellula
[11] Il neurone
[12] L’organismo
[13] La mente
[14] Il creatore
[15] ...
venerdì 13 marzo 2009
Appello fuorviante
Leggete questo documento del 23 febbraio scorso scritto da una associazione di buontemponi che non si accorgono che le nostre città sono invase da orde barbariche senza una goccia di sangue italico nelle vene. Dalle loro torri di avorio non vedono le torme straniere che assaltano le nostre case, stuprano le nostre donne, uccidono i nostri uomini e sicuramente qualcuno lo stuprano, anche se i nostri uomini soffrono eroicamente e non denunciano l’accaduto perchè non si faccia scempio della loro proverbiale virilità che tutto il mondo riconosce, nonostante le voci calunniose tra i viados.
Fortunatamente la stampa ha dato il risalto che merita alla posizione di questi incoscienti che stravolgono la verità. Esemplare ed esaustivo il trafiletto pubblicato dal Corriere della Sera il giorno prima dell’appello a pagina 19. Come al solito i vetero-catto-comunisti dell’Unità il giorno dopo si sono fatti prendere dall’entusiasmo, ma stanno imparando come vanno le cose e lo hanno fatto a pagina 15. Ma la notizia vera e propria è stata pubblicata il 25 febbraio a pagina 8 da il Riformista, che è una garanzia perché una notizia non la legga nessuno!
Sugli altri giornali nulla, quelli sì che sanno fare il loro mestiere.
Il documento, intessuto di becera demagogia, distorce la realtà dei fatti (e non si faccia facile ironia, i fatti non è participio passato ma sostantivo) ed è sicuramente il risultato di un inguaribile ottimismo, oppure di una chiara distorsione dei recenti inviti alla fiducia di fronte alla crisi economica. L’invito alla fiducia vale nel momento dello scambio di merci e servizi con corrispettivo riconoscimento monetario (da notare il tecnicismo economico perchè di noi non si dica bruti). Se vai a comprare un auto, una pizza, due fucili da caccia, un manganello, un’ora di sesso lungo i viali di periferia dopo mezzanotte (perchè non si dica che gli italiani sono razzisti. Le cose buone che vengono dall’estero le sanno apprezzare, quando sono buone), allora devi farlo con fiducia nel radioso futuro che stai preparando alla nazione alzandole il PIL. Fuori da questo ambito la fiducia è fuori luogo, non fa che infiacchire lo spirito guerriero che da anni è sopito nei nostri cuori ed è ormai pronto a ruggire al sole che verrà.
Lasciamo che i buontemponi dormano nelle loro torri d’avorio, mentre gli audaci si preparano a ripulire le italiche terre dal lerciume che minaccia il sangue puro che di stirpe guerriera ancora di nutre.
Roooaaarr (ruggito del leone!).
Fortunatamente la stampa ha dato il risalto che merita alla posizione di questi incoscienti che stravolgono la verità. Esemplare ed esaustivo il trafiletto pubblicato dal Corriere della Sera il giorno prima dell’appello a pagina 19. Come al solito i vetero-catto-comunisti dell’Unità il giorno dopo si sono fatti prendere dall’entusiasmo, ma stanno imparando come vanno le cose e lo hanno fatto a pagina 15. Ma la notizia vera e propria è stata pubblicata il 25 febbraio a pagina 8 da il Riformista, che è una garanzia perché una notizia non la legga nessuno!
Sugli altri giornali nulla, quelli sì che sanno fare il loro mestiere.
Il documento, intessuto di becera demagogia, distorce la realtà dei fatti (e non si faccia facile ironia, i fatti non è participio passato ma sostantivo) ed è sicuramente il risultato di un inguaribile ottimismo, oppure di una chiara distorsione dei recenti inviti alla fiducia di fronte alla crisi economica. L’invito alla fiducia vale nel momento dello scambio di merci e servizi con corrispettivo riconoscimento monetario (da notare il tecnicismo economico perchè di noi non si dica bruti). Se vai a comprare un auto, una pizza, due fucili da caccia, un manganello, un’ora di sesso lungo i viali di periferia dopo mezzanotte (perchè non si dica che gli italiani sono razzisti. Le cose buone che vengono dall’estero le sanno apprezzare, quando sono buone), allora devi farlo con fiducia nel radioso futuro che stai preparando alla nazione alzandole il PIL. Fuori da questo ambito la fiducia è fuori luogo, non fa che infiacchire lo spirito guerriero che da anni è sopito nei nostri cuori ed è ormai pronto a ruggire al sole che verrà.
Lasciamo che i buontemponi dormano nelle loro torri d’avorio, mentre gli audaci si preparano a ripulire le italiche terre dal lerciume che minaccia il sangue puro che di stirpe guerriera ancora di nutre.
Roooaaarr (ruggito del leone!).
giovedì 12 marzo 2009
Diritto di voto
Nel racconto “Diritto di voto” di Isaac Asimov, Norman Muller è l’unico cittadino della prima e più grande Democrazia Elettronica ad essere selezionato dal computer Multivac per votare in nome di duecento milioni di abitanti. Il suo voto, acquisito con le più diverse domande tra cui "Cosa ne pensa del prezzo delle uova?", sarà elaborato dal potente supercomputer ed esprimerà il voto della collettività.
Se ci sono buone ragioni per essere scettici sulla possibilità di una democrazia informatica, ce ne sono altrettante per non scommettere sulla nostra storia futura (l'ossimoro è d'obbligo). Probabilmente per diverso tempo i progressi nel campo dell’informatica non porteranno ad una Democrazia Elettronica, ma ciò può essere dovuto all’impegno che si sta dedicando al materiale umano, rendendolo accontentabile con una bottiglia di Coca-Cola ed indifferente ad una buona politica.
I computer vengono dopo, giustamente!
Ad ogni modo per i deliri del pres(id)ente potrebbe essere utile cercare le fonti nel passato, se non altro rimane la buona letteratura.
Cercando il link alla notizia mi accorgo che già ieri Carlo Clericetti aveva accostato al racconto di Asimov l'idea del voto ai soli capocondomini della casa libera. Prova che la "fonte" potrebbe non essere del tutto peregrina.
Per quanto riguarda gli affittuari della casa libera che erano lì ad ascoltare il loro padrone di casa, mi torna in mente un episodio che si attribuisce a Ettore Petrolini. Uno spettatore dal loggione lo disturbava insistentemente durante lo spettacolo, l'attore si fermò e urlò in direzione del loggione: "Io non ce l'ho con te, ma con quello che ti sta accanto che ancora non ti butta di sotto".
Signori affittuari se ancora vi è rimasto uno straccio di decoro, per lo meno nell'esercizio delle vostre funzioni istituzionali, vi siete persi un momento prezioso per tirarlo fuori.
Se ci sono buone ragioni per essere scettici sulla possibilità di una democrazia informatica, ce ne sono altrettante per non scommettere sulla nostra storia futura (l'ossimoro è d'obbligo). Probabilmente per diverso tempo i progressi nel campo dell’informatica non porteranno ad una Democrazia Elettronica, ma ciò può essere dovuto all’impegno che si sta dedicando al materiale umano, rendendolo accontentabile con una bottiglia di Coca-Cola ed indifferente ad una buona politica.
I computer vengono dopo, giustamente!
Ad ogni modo per i deliri del pres(id)ente potrebbe essere utile cercare le fonti nel passato, se non altro rimane la buona letteratura.
Cercando il link alla notizia mi accorgo che già ieri Carlo Clericetti aveva accostato al racconto di Asimov l'idea del voto ai soli capocondomini della casa libera. Prova che la "fonte" potrebbe non essere del tutto peregrina.
Per quanto riguarda gli affittuari della casa libera che erano lì ad ascoltare il loro padrone di casa, mi torna in mente un episodio che si attribuisce a Ettore Petrolini. Uno spettatore dal loggione lo disturbava insistentemente durante lo spettacolo, l'attore si fermò e urlò in direzione del loggione: "Io non ce l'ho con te, ma con quello che ti sta accanto che ancora non ti butta di sotto".
Signori affittuari se ancora vi è rimasto uno straccio di decoro, per lo meno nell'esercizio delle vostre funzioni istituzionali, vi siete persi un momento prezioso per tirarlo fuori.
martedì 10 marzo 2009
Impariamo a dire sì
Dobbiamo imparare a dire sì. Nucleare no, liberalizzazione edile no. Da sinistra arrivano solo no e non si fanno proposte, solo opposizione poco costruttiva e nel caso della liberalizzazione edilizia la critica casca a pennello.
Bene! io voglio dare il buon esempio e rovesciare questo andazzo, voglio far arrivare qualche meditato sì da sinistra, ovviamente dando la precedenza a destra e guidando con prudenza.
L'idea mi è venuta con la recente proposta del nucleare anche se a dire il vero qualche sì avevo provato a dirlo molto prima ma senza gran successo, sicuramente a causa della mia poca avvedutezza. Ricordo, infatti, che molto tempo fa avevo sentito parlare di fondi off-shore e fu allora che affidai ad un mio amico circa 200.000 lire, lo feci in gran segreto perchè ero consapevole che la cosa poteva avere dei risvolti penali. Il mio amico aveva affittato una barca a vela insieme ad altre persone e stava per partire per una gita di una settimana, io pensai di affidargli quel capitale per farlo portare al largo sperando che me ne tornasse un lauto guadagno. Ero consapevole che la faccenda puzzava di reato ma la speranza di veder crescere il mio capitale valeva bene un po' di timore. E invece niente, quando il mio amico tornò mi restituì le stesse 200.000 lire che gli avevo dato, ricordo che erano solo un po' umidiccie. Naturalmente si trattava di persona fidata per cui non pensai minimamente che avesse potuto tenere per sè qualcosa. Il mancato guadagno era sicuramente dovuto alla mia scarsa competenza finanziaria. Peraltro lui, prima di partire, mi disse subito che non è portandoli in barca che i soldi crescono ma, preso dall'entusiasmo del mio sì, non volli credergli.
Comunque da allora è passato un po' di tempo e adesso sono diventato più scaltro!
Torno al mio odierno sì, la faccenda è delicata. Come sappiamo si vogliono costruire delle centrali nucleari e il problema delle scorie potrebbe essere di un certo rilievo. Io voglio dare subito il mio contributo sperando che dalla sinistra qualcuno segua l'esempio. Metto a disposizione il mio terrazzino di 16 metri quadrati per stoccare qualche fusto di plutonio. Ovviamente in casa si è aperto un dibattito al riguardo che però si è svolto secondo le più rigorose regole democratiche e alla fine la proposta è stata accettata a larga maggioranza. L'unico membro della famiglia che all'inizio manifestava qualche nota di fastidio era la gattina che sul terrazzo ci scorazza da mattina a sera però, considerando il suo passato di attivista di sinistra, ce lo aspettavamo. Abbiamo pensato di risolvere la faccenda discutendone civilmente, ognuno avrebbe presentato la sua mozione e poi le avremmo votate ma, inspiegabilmente, al momento di esporre le sue argomentazioni, la gattina non ha profferito parola! Per cui la mozione a favore dello stoccaggio di scorie radioattive sul terrazzino è passata con due voti favorevoli e una astenuta.
Spero che questo modesto esempio possa far cambiare orientamento alla sinistra del no.
Quasi dimenticavo. Per quanto riguarda la liberalizzazione edilizia, il mio 20% di ampliamento dell'appartamento lo posso fare al centro del Parco della Caffarella? E' una zona che mi piace tanto! Naturalmente dai veterocomunisti mi aspetto una pioggia di no ma da destra mi aspetto un po' di riconoscenza!
Stemma della necessità!
Dell'essere costellazione suprema
che nessun desiderio raggiunge,
che nessun no contamina,
eterno sì dell'essere,
eternamente io sono il tuo sì.
Dai Ditirambi a Dioniso di F. W. Nietzsche
....e infatti Nietzsche non era di sinistra e nonostante i molti commentatori, che dicono si riferisse ad altro, non è escluso che il filosofo abbia visto l'attuale presidente del consiglio in uno degli eterni ritorni!
Bene! io voglio dare il buon esempio e rovesciare questo andazzo, voglio far arrivare qualche meditato sì da sinistra, ovviamente dando la precedenza a destra e guidando con prudenza.
L'idea mi è venuta con la recente proposta del nucleare anche se a dire il vero qualche sì avevo provato a dirlo molto prima ma senza gran successo, sicuramente a causa della mia poca avvedutezza. Ricordo, infatti, che molto tempo fa avevo sentito parlare di fondi off-shore e fu allora che affidai ad un mio amico circa 200.000 lire, lo feci in gran segreto perchè ero consapevole che la cosa poteva avere dei risvolti penali. Il mio amico aveva affittato una barca a vela insieme ad altre persone e stava per partire per una gita di una settimana, io pensai di affidargli quel capitale per farlo portare al largo sperando che me ne tornasse un lauto guadagno. Ero consapevole che la faccenda puzzava di reato ma la speranza di veder crescere il mio capitale valeva bene un po' di timore. E invece niente, quando il mio amico tornò mi restituì le stesse 200.000 lire che gli avevo dato, ricordo che erano solo un po' umidiccie. Naturalmente si trattava di persona fidata per cui non pensai minimamente che avesse potuto tenere per sè qualcosa. Il mancato guadagno era sicuramente dovuto alla mia scarsa competenza finanziaria. Peraltro lui, prima di partire, mi disse subito che non è portandoli in barca che i soldi crescono ma, preso dall'entusiasmo del mio sì, non volli credergli.
Comunque da allora è passato un po' di tempo e adesso sono diventato più scaltro!
Torno al mio odierno sì, la faccenda è delicata. Come sappiamo si vogliono costruire delle centrali nucleari e il problema delle scorie potrebbe essere di un certo rilievo. Io voglio dare subito il mio contributo sperando che dalla sinistra qualcuno segua l'esempio. Metto a disposizione il mio terrazzino di 16 metri quadrati per stoccare qualche fusto di plutonio. Ovviamente in casa si è aperto un dibattito al riguardo che però si è svolto secondo le più rigorose regole democratiche e alla fine la proposta è stata accettata a larga maggioranza. L'unico membro della famiglia che all'inizio manifestava qualche nota di fastidio era la gattina che sul terrazzo ci scorazza da mattina a sera però, considerando il suo passato di attivista di sinistra, ce lo aspettavamo. Abbiamo pensato di risolvere la faccenda discutendone civilmente, ognuno avrebbe presentato la sua mozione e poi le avremmo votate ma, inspiegabilmente, al momento di esporre le sue argomentazioni, la gattina non ha profferito parola! Per cui la mozione a favore dello stoccaggio di scorie radioattive sul terrazzino è passata con due voti favorevoli e una astenuta.
Spero che questo modesto esempio possa far cambiare orientamento alla sinistra del no.
Quasi dimenticavo. Per quanto riguarda la liberalizzazione edilizia, il mio 20% di ampliamento dell'appartamento lo posso fare al centro del Parco della Caffarella? E' una zona che mi piace tanto! Naturalmente dai veterocomunisti mi aspetto una pioggia di no ma da destra mi aspetto un po' di riconoscenza!
Edvard Munch, Friedrich Nietzsche, 1906 |
Stemma della necessità!
Dell'essere costellazione suprema
che nessun desiderio raggiunge,
che nessun no contamina,
eterno sì dell'essere,
eternamente io sono il tuo sì.
Dai Ditirambi a Dioniso di F. W. Nietzsche
....e infatti Nietzsche non era di sinistra e nonostante i molti commentatori, che dicono si riferisse ad altro, non è escluso che il filosofo abbia visto l'attuale presidente del consiglio in uno degli eterni ritorni!
domenica 8 marzo 2009
Stanza d'albergo
Edward Hopper, Hotel room, 1931
Di lei non sappiamo nulla,
dei suoi pensieri più intimi,
dei suoi sogni, dei suoi ricordi,
della lettera che sta leggendo,
dei bagagli non ancora disfatti.
Non sappiamo nulla.
Una storia alle spalle,
un viso in ombra,
nient'altro.
Non sappiamo altro.
Quanti l'hanno amata perchè non sopportavano l'idea di non saperne niente?
Quanti l'hanno odiata perchè non ne sapevano niente?
Quanti sapranno amarla anche se non potranno mai sapere nulla di lei?
Di lei non sappiamo nulla,
dei suoi pensieri più intimi,
dei suoi sogni, dei suoi ricordi,
della lettera che sta leggendo,
dei bagagli non ancora disfatti.
Non sappiamo nulla.
Una storia alle spalle,
un viso in ombra,
nient'altro.
Non sappiamo altro.
Quanti l'hanno amata perchè non sopportavano l'idea di non saperne niente?
Quanti l'hanno odiata perchè non ne sapevano niente?
Quanti sapranno amarla anche se non potranno mai sapere nulla di lei?
venerdì 6 marzo 2009
I tempi delle crisi
Berlusconi dice che la crisi economica c'è ma che i media esagerano. Naturalmente non si è fatto mancare l'occasione per lanciare il suo canto di dolore per essere continuamente bersaglio di critiche, povera creaturella!
Per un momento penso che a proposito della crisi abbia ragione. Non perchè ritenga utile o intelligente il suo ottimismo a buon mercato, anzi. Apprezzo l'ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione di gramsciana memoria, e qui solo un idiota non vedrebbe che siamo su un altro pianeta. Penso tuttavia che abbia ragione, anche se non so quanto ne sia consapevole, perchè la vera crisi di questo paese non è quella economica ma è quella che si infiltra negli animi delle persone privandole della volontà, della consapevolezza di essere cittadini. Si potrebbe parlare di crisi morale ma sarebbe solo una pallida similitudine con la madre della crisi, è molto di più, è la crisi della volontà, e la crisi morale non è che una delle sue figlie.
Non è una crisi di oggi, viene da molto lontano e forse c'è qualcosa di strisciante in noi italiani che la fa essere sempre presente, a volte latente, a volte paradossalmente manifesta. Dico paradossalmente manifesta perchè se devo sintetizzarla in una battuta è proprio la vocazione all'invisibilità che diventa diffusa tra gli italiani.
Al di là delle origini di questa crisi, la cui analisi è oltre le mie capacità, ciò che mi spaventa sono i suoi tempi, la sua durata. La crisi economica durerà 2, 3, forse 5 anni, nella storia recente ce ne state altre e i loro tempi bene o male sono stati questi. Non sottovaluto le situazioni drammatiche della crisi economica ma le crisi che temo di più hanno tempi molto più lunghi, a volte possono durare decenni e gli esiti lasciano strascichi per intere generazioni. Queste crisi non cambiano solo l'economia di un paese ma si infiltrano nella mente delle persone, ne mortificano i desideri, le passioni, al punto da condurle a pensare che è meglio non averne alcuno. Anche in questo caso la nostra storia può dirci qualcosa.
Oggi non c'è il rischio di autoritarismo del passato, i tempi fortunatamente sono cambiati. Ha ragione Sartori quando dice che non si può parlare di regime, al più di un sultanato, resta la comune matrice che toglie alimento alla democrazia in maniera strisciante.
Nel 1917, il fascismo era di là da venire, Antonio Gramsci sentì nell'aria l'odore di quella crisi, la vide chiaramente ancor prima che arrivasse eppure, vent'anni dopo, non potè vederne la fine.
"INDIFFERENTI
Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che "vivere vuol dire essere partigiani". Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L'indifferenza è il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica.
L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costrutti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.
I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l'attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti."
Antonio Gramsci, La Città futura, numero unico pubblicato dalla Federazione giovanile socialista piemontese, 11 febbraio 1917.
In: A. Gramsci, Le opere, a cura di A.A. Santucci, Editori Riuniti, 1997, p. 23-25.
Io non so dire se davvero odio gli indifferenti. La sofferenza che vedo nei volti di molti indifferenti, il tintinnio di catene invisibili mi impedisce il sentimento dell'odio, ma è certo che mi fanno molta paura. E' altrettanto certo che invece odio, fortemente odio, i maestri dell'indifferenza, coloro che a qualunque livello esercitano il loro effetto di livellamento che annulla la differenza delle persone. Ma, in definitiva, chi sono questi maestri dell'indifferenza se non ex indifferenti?
Per un momento penso che a proposito della crisi abbia ragione. Non perchè ritenga utile o intelligente il suo ottimismo a buon mercato, anzi. Apprezzo l'ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione di gramsciana memoria, e qui solo un idiota non vedrebbe che siamo su un altro pianeta. Penso tuttavia che abbia ragione, anche se non so quanto ne sia consapevole, perchè la vera crisi di questo paese non è quella economica ma è quella che si infiltra negli animi delle persone privandole della volontà, della consapevolezza di essere cittadini. Si potrebbe parlare di crisi morale ma sarebbe solo una pallida similitudine con la madre della crisi, è molto di più, è la crisi della volontà, e la crisi morale non è che una delle sue figlie.
Non è una crisi di oggi, viene da molto lontano e forse c'è qualcosa di strisciante in noi italiani che la fa essere sempre presente, a volte latente, a volte paradossalmente manifesta. Dico paradossalmente manifesta perchè se devo sintetizzarla in una battuta è proprio la vocazione all'invisibilità che diventa diffusa tra gli italiani.
Al di là delle origini di questa crisi, la cui analisi è oltre le mie capacità, ciò che mi spaventa sono i suoi tempi, la sua durata. La crisi economica durerà 2, 3, forse 5 anni, nella storia recente ce ne state altre e i loro tempi bene o male sono stati questi. Non sottovaluto le situazioni drammatiche della crisi economica ma le crisi che temo di più hanno tempi molto più lunghi, a volte possono durare decenni e gli esiti lasciano strascichi per intere generazioni. Queste crisi non cambiano solo l'economia di un paese ma si infiltrano nella mente delle persone, ne mortificano i desideri, le passioni, al punto da condurle a pensare che è meglio non averne alcuno. Anche in questo caso la nostra storia può dirci qualcosa.
Oggi non c'è il rischio di autoritarismo del passato, i tempi fortunatamente sono cambiati. Ha ragione Sartori quando dice che non si può parlare di regime, al più di un sultanato, resta la comune matrice che toglie alimento alla democrazia in maniera strisciante.
Nel 1917, il fascismo era di là da venire, Antonio Gramsci sentì nell'aria l'odore di quella crisi, la vide chiaramente ancor prima che arrivasse eppure, vent'anni dopo, non potè vederne la fine.
"INDIFFERENTI
Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che "vivere vuol dire essere partigiani". Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L'indifferenza è il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica.
L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costrutti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.
I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l'attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti."
Antonio Gramsci, La Città futura, numero unico pubblicato dalla Federazione giovanile socialista piemontese, 11 febbraio 1917.
In: A. Gramsci, Le opere, a cura di A.A. Santucci, Editori Riuniti, 1997, p. 23-25.
Io non so dire se davvero odio gli indifferenti. La sofferenza che vedo nei volti di molti indifferenti, il tintinnio di catene invisibili mi impedisce il sentimento dell'odio, ma è certo che mi fanno molta paura. E' altrettanto certo che invece odio, fortemente odio, i maestri dell'indifferenza, coloro che a qualunque livello esercitano il loro effetto di livellamento che annulla la differenza delle persone. Ma, in definitiva, chi sono questi maestri dell'indifferenza se non ex indifferenti?
giovedì 5 marzo 2009
Conti della serva ingenua
Recentemente la CGIL ha fatto alcune stime sul numero di lavoratori precari della pubblica amministrazione che rischiano di perdere il posto entro la fine del 2009. Le stime, eseguite sulla base delle valutazioni della Ragioneria dello Stato, sono di circa 400.000 lavoratori cui si aggiungerebbero altri 100.000 se si considerano le cosiddette "figure non censite". Si tratta di lavoratori che, una volta perso il lavoro, non avrebbero alcuna copertura economica. Una quantità enorme di persone che, stando al numero di occupati del 2007 in Italia pari a 23.220.000 tra pubblico e privato (dati ISTAT, pag. 67), rappresentano dal 1,7% al 2,2% della forza lavoro di questo paese.
Il PD ha proposto una misura eccezionale per fare fronte a questa emergenza, un assegno a chi perde il posto di lavoro per tutto il 2009. La maggioranza parla di proposta propagandistica e sostiene che è priva di copertura finanziaria.
Sulla faccenda che si tratti di una proposta propagandistica io non intervengo, gli esperti in materia di demagogia sono loro e se lo dicono qualcosa di vero potrebbe pure esserci! Per quanto riguarda la copertura finanziaria invece ho fatto due conti della serva. Una serva ingenua che non ha tutte le competenze del caso ma è una di quelle che va a fare la spesa e che vive in mezzo alla gente vera. La serva contabile è così ingenua da pensare addirittura che in una situazione di crisi sociale i membri più fortunati della società aiutino quelli meno fortunati.
Diamo per buona che i precari che perderanno il lavoro nel 2009 e che usufruirebbero di questa misura eccezionale possono essere 500.000. I lavoratori in Italia nel 2007 erano 23.220.000, di cui 3.734.500 nel pubblico (considerando che il 65% del settore 'Istruzione, Sanità e altri servizi' sia pubblico) e 19.485.500 nel privato. Consideriamo questi numeri buoni per la situazione attuale. Fissiamo l'assegno ad un valore minimo di 800 € per 12 mesi per i 500.000 lavoratori. La copertura dovrebbe essere di 4.800.000.000 €. Consideriamo anche che la faccenda si risolva tra lavoratori e in particolare tra quelli del settore pubblico che a questo punto sarebbero 3.235.000, la copertura totale della cifra si otterrebbe con un prelievo mensile dalle buste paga di 124 € per 12 mesi. Non è una cifra enorme considerando che è un valore medio e che con le opportune modulazioni, per raggiungere una quota di prelievo equilibrato tra i vari redditi, si ridurrebbe per chi guadagna poco e aumenterebbe per chi guadagna tanto, come sarebbe giusto. Siccome la serva contabile è proprio ingenua pensa anche "perchè non prendere un 20% da tutti i ricchi premi che si distribuiscono quotidianamente nelle varie trasmissioni televisive della Rai, che pure è pubblica?" ma non saprebbe fare i conti con queste cifre, eppure sa che c'è chi dovrebbe saperli fare. La cifra media di 124 € allora si ridurrebbe, forse in maniera sensibile. Lo stesso meccanismo se applicato nel privato, sempre considerando i soliti 124 €, potrebbe sostenere per almeno 12 mesi fino a 2.615.000 lavoratori del settore privato che perderebbero il lavoro. Magari ricorrendo anche qui al contributo dei ricchi premi distribuiti quotidianamente dalle televisioni private la cifra media si ridurrebbe.
Per quanto ingenua la serva contabile non penserebbe più ai tagli dei privilegi dei politici come fonte di finanziamento di queste iniziative, in questo caso non sarebbe solo ingenua.
Questi sono conti ingenui, sicuramente impraticabili, fatti quasi alle soglie della disperazione, tanto per non scomodare la maggioranza di governo che non ha alcuna intenzione di intraprendere la lotta all'evasione (per ovvi motivi) né ha alcuna dimestichezza con i concetti di disagio sociale (qui i motivi sono meno ovvi perchè l'etologia, nonostante gli sforzi di Piero Angela e di Danilo Mainardi, non ha la divulgazione che merita). Conti dettati dall'impressione che le misure per gli ammortizzatori sociali di 8 miliardi di euro stanziati dal governo possano essere insufficienti per un anno, visto che i soli 500.000 precari del settore pubblico ne richiederebbero 4,8 di miliardi e se a questi si aggiungono anche solo il doppio di lavoratori del settore privato, ovvero un milione (ma è molto probabile che saranno di più), di miliardi ne occorrerebbero in totale quasi 15 per un anno.
La serva contabile non è una economista, può dire tranquillamente di non esserlo e qualche strafalcione se lo può concedere e quando fa la spesa di tanto in tanto si fa prendere da queste assurde fantasie.
Sono conti di una serva che non fa il ministro dell'economia, perchè il quel caso sarebbe così decente da ammettere di non poter fare quel mestiere e si metterebbe a leggere la Bibbia, e magari anche qualche libro di economia. Di un economista serio, tipo John Kenneth Galbraith che diceva "è bene che ogni tanto i soldi vengano separati dagli imbecilli".
Il PD ha proposto una misura eccezionale per fare fronte a questa emergenza, un assegno a chi perde il posto di lavoro per tutto il 2009. La maggioranza parla di proposta propagandistica e sostiene che è priva di copertura finanziaria.
Sulla faccenda che si tratti di una proposta propagandistica io non intervengo, gli esperti in materia di demagogia sono loro e se lo dicono qualcosa di vero potrebbe pure esserci! Per quanto riguarda la copertura finanziaria invece ho fatto due conti della serva. Una serva ingenua che non ha tutte le competenze del caso ma è una di quelle che va a fare la spesa e che vive in mezzo alla gente vera. La serva contabile è così ingenua da pensare addirittura che in una situazione di crisi sociale i membri più fortunati della società aiutino quelli meno fortunati.
Diamo per buona che i precari che perderanno il lavoro nel 2009 e che usufruirebbero di questa misura eccezionale possono essere 500.000. I lavoratori in Italia nel 2007 erano 23.220.000, di cui 3.734.500 nel pubblico (considerando che il 65% del settore 'Istruzione, Sanità e altri servizi' sia pubblico) e 19.485.500 nel privato. Consideriamo questi numeri buoni per la situazione attuale. Fissiamo l'assegno ad un valore minimo di 800 € per 12 mesi per i 500.000 lavoratori. La copertura dovrebbe essere di 4.800.000.000 €. Consideriamo anche che la faccenda si risolva tra lavoratori e in particolare tra quelli del settore pubblico che a questo punto sarebbero 3.235.000, la copertura totale della cifra si otterrebbe con un prelievo mensile dalle buste paga di 124 € per 12 mesi. Non è una cifra enorme considerando che è un valore medio e che con le opportune modulazioni, per raggiungere una quota di prelievo equilibrato tra i vari redditi, si ridurrebbe per chi guadagna poco e aumenterebbe per chi guadagna tanto, come sarebbe giusto. Siccome la serva contabile è proprio ingenua pensa anche "perchè non prendere un 20% da tutti i ricchi premi che si distribuiscono quotidianamente nelle varie trasmissioni televisive della Rai, che pure è pubblica?" ma non saprebbe fare i conti con queste cifre, eppure sa che c'è chi dovrebbe saperli fare. La cifra media di 124 € allora si ridurrebbe, forse in maniera sensibile. Lo stesso meccanismo se applicato nel privato, sempre considerando i soliti 124 €, potrebbe sostenere per almeno 12 mesi fino a 2.615.000 lavoratori del settore privato che perderebbero il lavoro. Magari ricorrendo anche qui al contributo dei ricchi premi distribuiti quotidianamente dalle televisioni private la cifra media si ridurrebbe.
Per quanto ingenua la serva contabile non penserebbe più ai tagli dei privilegi dei politici come fonte di finanziamento di queste iniziative, in questo caso non sarebbe solo ingenua.
Questi sono conti ingenui, sicuramente impraticabili, fatti quasi alle soglie della disperazione, tanto per non scomodare la maggioranza di governo che non ha alcuna intenzione di intraprendere la lotta all'evasione (per ovvi motivi) né ha alcuna dimestichezza con i concetti di disagio sociale (qui i motivi sono meno ovvi perchè l'etologia, nonostante gli sforzi di Piero Angela e di Danilo Mainardi, non ha la divulgazione che merita). Conti dettati dall'impressione che le misure per gli ammortizzatori sociali di 8 miliardi di euro stanziati dal governo possano essere insufficienti per un anno, visto che i soli 500.000 precari del settore pubblico ne richiederebbero 4,8 di miliardi e se a questi si aggiungono anche solo il doppio di lavoratori del settore privato, ovvero un milione (ma è molto probabile che saranno di più), di miliardi ne occorrerebbero in totale quasi 15 per un anno.
La serva contabile non è una economista, può dire tranquillamente di non esserlo e qualche strafalcione se lo può concedere e quando fa la spesa di tanto in tanto si fa prendere da queste assurde fantasie.
Sono conti di una serva che non fa il ministro dell'economia, perchè il quel caso sarebbe così decente da ammettere di non poter fare quel mestiere e si metterebbe a leggere la Bibbia, e magari anche qualche libro di economia. Di un economista serio, tipo John Kenneth Galbraith che diceva "è bene che ogni tanto i soldi vengano separati dagli imbecilli".