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domenica 24 novembre 2024

Il grande lutto

I movimenti collettivi, le mode e i costumi, che coinvolgono intere generazioni di una considerevole parte di mondo, hanno una sorta di intelligenza sotterranea, inconsapevole, che può emergere a molti anni di distanza. Il tempo fornisce la lente necessaria a comporre le forze propulsive di un fenomeno che nel suo divenire erano allo stato embrionale, percepibili in maniera sfocata o, più semplicemente, ero troppo giovane per cogliere.

È attraverso i molteplici sensi nascosti e disseminati nel corpo sociale che un'epoca percepisce il proprio zeitgeist e lo restituisce alle epoche successive.

È quello che mi è successo stamattina con il cosiddetto stile gotico o dark degli anni '80. Un fenomeno sicuramente inserito in quella parabola che va dalle avvisaglie del post moderno alla cosiddetta fine della storia, ma non parlo della traiettoria descritta dagli intellettuali, parlo del costume che ha coinvolto intere masse di giovani, ne ha influenzato stile e cultura, moda e musica. Le analisi degli intellettuali e i movimenti di massa non sono compartimenti a tenuta stagna, come erroneamente si crede, ci sono reciproche osmosi e forse lo stile dark, che negli anni ottanta tocca la generazione dei post adolescenti di una buona fetta di occidente, lo dimostra.

Oggi sappiamo che negli anni ottanta abbiamo iniziato a raccontarci la storiella del declino delle grandi narrazioni della storia! Alla fine di quel decennio, con la caduta del muro di Berlino, ci si chiese se quelle narrazioni erano finite. Bastarono un paio di anni per dare risposta affermativa alla domanda. Con quella storiella non sapevamo di starci raccontando anche l'inizio della morte della democrazia, con buona pace dei fanatici del libero mercato, che con la loro narrazione finale si cantavano, come una ninna-nanna, le meravigliose sorti e progressive dell'ultimo uomo, libero e democratico. Era sull'onda melodica di quella ninna nanna che si stavano smantellando i dispositivi della politica come arte collettiva di regolazione sociale. Quei giovani degli anni '80 non lo sapevano ancora, forse non l'avrebbero mai saputo, ma di fatto erano già in lutto. Lo erano con il loro abbigliamento nero, il loro trucco pesante intorno agli occhi e sulle labbra, le loro inquietanti espressioni, tra il mezzo sorriso e la piena tristezza per qualcosa che non si può vedere.

E io che facevo negli anni 80? All'inizio crescevo, alla fine era troppo tardi. Fuori tempo, come lo è ogni anagrafe, per capire il proprio tempo. Talmente fuori tempo che mi tocca piangere oggi per la morte di Enrico Berlinguer, per la grande ambizione che a metà di quegli anni qui in Italia morì con lui.

E mi tocca farlo per due ragioni, piangere intendo: per non averlo fatto quando morì che avevo 15 anni e per non averlo fatto quando di anni ne avevo 20, età poco incline ai compromessi. Per aver già scritto dell'ecatombe politica degli anni '80 dimenticando la figura di Berlinguer, perché a scrivere di getto non era l'ultra quarantenne ma l'ex ventenne.

Due consigli, se posso. Se siete di Roma andate a vedere la mostra fotografica 80's dark Rome, al museo in Trastevere. Ripropone le foto che Dino Ignani espose nel 1985. È il ritratto di una generazione che merita di essere guardato con attenzione. Se volete sapere cos'era la politica prima di morire, andate al cinema a vedere il film Berlinguer-La grande ambizione. È il ritratto di un mondo che non c'è più.









sabato 2 novembre 2024

Senza titolo

Penso che l'inferno abbia un contenuto etico superiore a quello del paradiso. Non perché vi siano puniti peccati e altri malcelati alibi per esercitare il potere assurdo e ingiustificato, se non con questi mezzucci, dei viventi su altri viventi, ma perché non mette in pace neanche i superstiti ad un lutto. È quella costante tensione, quello stato di continua agitazione, opposto alla pace, così mediocremente intesa, che crea e costruisce l'edificio etico. Contrariamente al paradiso l'inferno costringe i viventi al continuo, eterno misurarsi con il dolore. Lo stesso, sia pure in diversa misura, si può dire del purgatorio. Qui c'è l'ausilio della speranza che rende questo luogo del pensiero forse più a misura d'uomo, creatura a tempo che mal s'accorda con l'eternità e che dei due poli dell'eterno, inferno e paradiso, sceglie volentieri il più comodo. Non è un caso se, dei tre regni dell'oltretomba, il purgatorio è stato quasi dimenticato. Anche il purgatorio è uno spazio di responsabilità, qui è richiesto ai credenti di pregare per la salvezza dei propri cari ma una volta raggiunta quella agognata salvezza, ogni tensione etica svanisce, chi amiamo è libero dal dolore e noi possiamo finalmente pensare i nostri cari in pace, nel regno della grande serenità. E con la loro serenità guadagniamo la nostra, perché quella perseguiamo sotto l'ipocrita bandiera del paradiso, con buona pace anche dell'amatissimo Dante che non poteva avere del suo paradiso la banale visione da mercato delle grazie che poi è diventato. Grande desolazione etica che fa dei defunti strumento delle preghiere dei superstiti, mercato della serenità dove scambiamo la nostra per quella di chi non c'è.

Il lutto è elaborato, il dolore trasfigurato, la pace è raggiunta.

Questa non è una riflessione sui morti, che riposino in pace come diciamo e speriamo, ma una riflessione sui vivi o supposti tali.

PS forse c'è questa necessità, sia pure rimossa perché necessariamente faticosa, di un fondamento etico nelle letture che oggi facciamo delle rappresentazioni dei regni dell'oltretomba. Nella stessa Divina Commedia fino alle pitture del giudizio finale, c'è una tensione nella cantica dell'inferno o nelle rappresentazioni dei dannati che è immensamente più coinvolgente di quanto non accada con le rappresentazioni dei beati. Forse è una lettura contemporanea ma proprio questo la rende consona al mio discorso.