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domenica 30 marzo 2014

Ameni inganni

Cosa fa un pedone davanti a un semaforo a chiamata per l'attraversamento pedonale? Se il pedone deve attraversare la strada premerà il pulsante e dopo un po' di tempo il semaforo diventerà rosso per le auto. Ora il pedone potrà attraversare la strada sulle strisce pedonali.


Il pedone ha qualche ragione di credere che il semaforo è diventato rosso per le auto perché è stato premuto l'apposito pulsante. La credenza nel nesso causale è fondata, visto che effettivamente il semaforo è diventato rosso per le auto solo dopo che il pedone ha premuto il pulsante.
Eppure questa credenza non è così robusta come il pedone è disposto a pensare. Per esempio ogni volta che io sono davanti a un semaforo rosso prevedo con indubitabile certezza che il semaforo diventerà verde entro pochissimo tempo. Non mi sono mai sbagliato. Che c'entra? Direte voi. In un caso c'è stata un'azione, la pressione del pulsante, nell'altro solo un pensiero e anche abbastanza bislacco. Vero, ma se il pulsante della chiamata pedonale non funziona i due episodi sono identici e resta il fatto che il semaforo è diventato verde per l'attraversamento solo dopo aver espresso in qualche modo l'intenzione che il semaforo diventasse verde, non perché quell'intenzione abbia causato l'evento. E' sufficiente che due eventi si succedano nel tempo per dire che c'è un nesso causale tra i due eventi?
Domanda antica, l'aveva già posta David Hume e non gli toccava certo attendere un tempo interminabile per attraversare la Palmiro Togliatti a Roma per concludere che il semaforo sarebbe diventato verde per via del temporizzatore che lavora indipendentemente dal dispositivo di chiamata pedonale che non funziona (e magari è una scatola vuota)!
Eppure la credenza che la pressione del pulsante sia stata decisiva per attraversare la strada è così importante che spesso sfugge che basta una banale verifica per stabilire se la chiamata pedonale funziona oppure no, se la nostra azione è davvero determinante oppure del tutto inutile.
Basterebbe fermarsi per un po' di tempo al semaforo e misurare la durata del rosso per i pedoni senza premere il pulsante e poi ripetere l'operazione al ciclo successivo ma premendo il pulsante. Se il tempo misurato nel secondo caso è inferiore al tempo misurato nel primo allora possiamo concludere che il dispositivo di chiamata funziona, altrimenti dobbiamo concludere che premere il pulsante non ha comportato alcuna interferenza con il semaforo.
Un esperimento semplice, un piccolo esperimento di scienza urbana ma chi ha tempo per farlo? Siamo tutti presi dalla fretta e sarà sufficiente convincerci che se non avessimo premuto quel pulsante avremmo attraversato le strisce pedonali molto tempo dopo.
Si vive di questi ameni inganni.

venerdì 21 marzo 2014

La retorica dei 34enni

"Caro mio padre, adunque, -
soggiuns'io - com'è d'uopo, in su le spalle
a me ti reca, e mi t'adatta al collo
acconciamente: ch'io robusto e forte
sono a tal peso: e sia poscia che vuole:
ch'un sol periglio, una salute sola
fia d'ambedue." Virgilio, Eneide, Libro II, tra il 29 e il 19 a.C.

Enea, Anchise e Ascanio,
Gian Lorenzo Bernini, 1618-1619.

"Gli sprechi sulle pensioni ci sono stati, il grande spreco sulle pensioni c'è stato e purtroppo è quello che ci portiamo noi addosso, noi tre su questo tavolo almeno per ragioni anagrafiche, cioè il meccanismo precedente di retribuzione delle pensioni per cui oggi noi quando paghiamo il nostro caro INPS non paghiamo per la nostra futura pensione ma paghiamo per le attuali e questo [...] non ha soluzione, cioè ci dobbiamo mettere l'anima in pace." Serena Sileoni (Istituto Bruno Leoni), Ottoemezzo, 9° minuto,19 marzo 2014.

***

"Mamma sono stanco", disse il bambino rientrando dal lavoro. "Suvvia Marco, perché ti lamenti? Sono giorni che torni a casa con la stessa storia. Cosa sta succedendo? C'è qualcosa che non va al lavoro?", chiese la mamma preoccupata. "No, al lavoro va tutto bene, ma io...ecco, io non vorrei lavorare". La preoccupazione della mamma aumentò, "Marcolino, che c'è? Perché non vuoi lavorare? Tutti lavorano", Marco lasciò cadere la cartella piena di disegni per la nuova pubblicità di biancheria intima per bambini e sbuffando disse: "Lo so ma io vorrei giocare". La mamma si avvicinò al figlio con tenerezza, prese le sue mani e a voce bassa, quasi sospirando, disse "Dai Marco non ricominciamo questa storia, ne abbiamo già parlato. Ricorda quello che dice sempre papà, tu hai la fortuna di lavorare in un settore creativo che non richiede neanche tanto sforzo fisico, pensa a quanti bambini della tua età fanno lavori veramente faticosi." Marco era consapevole della sua fortuna. Fin da piccolissimo era stato impegnato nel campo della pubblicità che per quanto stressante non si può dire che richieda grande fatica e poi si guadagna bene. Appena nato si guadagnava da vivere con gli spot del latte in polvere, sua madre gli dava il biberon davanti alla telecamera e lui ciucciava la tettarella che era una bellezza. Quella campagna pubblicitaria ebbe un gran successo e la vendita del latte artificiale della Latsmon andò alle stelle. Per non parlare delle campagne promozionali per l'allattamento naturale, quante ne aveva fatte! Appena l'operatore dava l'azione si attaccava a qualsiasi seno gli venisse offerto. Sembrava che fossero il ciak e le luci delle telecamere a mettergli appetito. Poi era passato alla pubblicità dei pannolini e crescendo a quella dei giocattoli. Adesso che aveva già otto anni lavorava come grafico in una azienda stimata, aveva un buon stipendio e un contratto a tempo determinato di cinque mesi e mezzo. Roba da fare invidia. Gli capitava di tanto in tanto di pensare ai suoi coetanei o quelli più piccoli di lui che attiravano clienti nei supermercati o quelli che lavoravano nelle vetrine dei negozi come manichini, tutto il giorno immobili con addosso pochi vestiti, e poi c'era il lavoro che odiava di più, in quei penosi programmi televisivi dove i bambini cantano, ballano e fanno finta di essere spontanei quando si vede benissimo che sono spossati dalle prove. Pensando a tutti quei lavori Marco sapeva di essere privilegiato, ma nonostante questo mostrava ancora l'intemperanza tipica dell'età.
Le intemperanze di Marco non erano affatto rare, molti bambini dell'età di Marco o più piccoli mostravano gli stessi problemi e la riluttanza al lavoro chiedeva programmi assidui di educazione e informazione nelle scuole e in televisione. Sui giornali non si parlava d'altro ma era una rivoluzione che aveva bisogno di tempo per essere completamente accettata. Dopotutto non era passato tanto tempo che la società si era riorganizzata perché ognuno lavorasse per sé e la generazione di Marco era la prima a non dipendere più dai genitori. Nel lungo periodo di transizione si chiudeva un occhio ma poi i tempi sono diventati maturi per passare al completo distacco e ognuno doveva guadagnarsi da vivere con il proprio lavoro. Certo si è dovuto fare i conti con i vincoli biologici, non si può pretendere che un neonato si metta a cercare lavoro da solo però sono state stabilite delle royalties per i genitori come procacciatori degli impieghi dei propri figli fino a quando non sono del tutto autonomi.
La parola rivoluzione può far pensare ad un cambiamento improvviso ma sono dovuti passare molti anni prima di avviare la riorganizzazione sociale. Riforme su riforme del lavoro, delle pensioni, del sistema educativo. Uno sforzo collettivo immane, campagne di informazione e talk show dedicati alla riorganizzazione sociale, stando attenti a non annunciarla mai chiaramente, altrimenti ci sarebbe stato il rischio di mandare tutto all'aria. Si sa, quando tocca cambiare radicalmente le cose o si ha la fortuna che capiti un evento catastrofico che giustifica tutto oppure bisogna armarsi di pazienza e fare le cose con calma. Una goccia al giorno e ci si abitua a tutto.
Prima della riorganizzazione c'era una promiscuità tra le generazioni che era diventata ormai insostenibile. Fino a una certa età i figli dipendevano dai genitori in tutto e per tutto. I genitori li nutrivano, li mandavano a scuola, spendevano per loro una quantità immane di risorse. Poi i figli crescevano e quando trovavano lavoro andavano via da casa dei genitori. Con il frutto del loro lavoro i figli pagavano i contributi previdenziali che tornavano nelle tasche dei genitori che ormai non erano più in grado di lavorare, così come del resto avevano fatto i loro genitori con la generazione precedente. Un circolo vizioso inconcepibile e inefficiente!
Questo sistema promiscuo che qualcuno chiamava pomposamente patto intergenerazionale aveva mandato in rovina le casse pubbliche. Fu per questo che lentamente si arrivò alla conclusione che ognuno avrebbe accantonato i contributi previdenziali solo per la propria pensione senza commistioni tra generazioni. Il passo successivo divenne subito evidente, ognuno avrebbe dovuto lavorare per sé così avrebbe goduto del guadagno del proprio lavoro senza sfruttare altri soggetti e senza il rischio di creare uno scompenso nel bilancio. Fu indubbiamente la soluzione ottimale, anche se rimaneva ancora qualche problema di adattamento, come nel caso di Marco, e molto restava ancora da fare. Restava da riorganizzare tutte le altre spese sociali, come la sanità, l'educazione, la luce pubblica, la realizzazione delle strade, la loro manutenzione e tutto il resto. Diverse ipotesi erano al vaglio, come quella di eliminare tutte le spese pubbliche ma la nostra tradizione sociale precludeva strade così poco etiche, tuttavia era inaccettabile che una persona pagasse per la sanità se non si ammalava o pagasse per le strade pubbliche se girava poco in auto. Erano allo studio sistemi di tassazione differenziata in relazione all'effettivo utilizzo dei beni pubblici. Del resto era palese a tutti l'ingiustizia subita da una persona sana come un pesce che sborsava denaro per le cure di chi si ammalava in continuazione. Il problema andava risolto anche se c'erano le resistenze di quanti ancora si intrattenevano in espressioni desuete come patto intragenerazionale, i soliti anziani attaccati alla rendita di posizione, ma per fortuna c'erano i giovani che guardavano lontano.
La riorganizzazione sociale richiese molto tempo ma erano già stati fatti passi da gigante e il futuro è sempre stato dalla parte dei giovani.

venerdì 14 marzo 2014

Vola vola volantino

Ricordo tempo fa, ero molto ingenuo, trovai nella buca delle lettere un volantino che prometteva un lavoro, erano riportate poche note, ditta seria sul campo da molto tempo e il numero di telefono. Decisi di contattare quel numero e dopo uno scambio di battute sulla mia formazione mi fu detto che il gruppo si occupava, tra le altre cose, di impianti di depurazione. Il signore al telefono era gentile e convincente e mi disse di presentarmi ad un appuntamento dove sarebbero state illustrate le attività della società. Sede prestigiosa, la sala conferenze di un importante albergo di Roma accanto a villa Borghese. Mi ritrovai ad un raduno di promotori delle miracolose virtù della dieta Herbalife che tra entusiastici applausi e osannanti standing ovations venivano presentati, in perfetto stile americano, ex-obesi tramutati in aspiranti modelli d'alta moda nonché patiti venditori dei taumaturgici estratti vegetali. Nei casi in cui la dieta aveva avuto esiti particolarmente felici era prevista la sfilata, con giro finale dopo la passerella e sfondo fotografico di un irriconoscibile otaria che aveva vaghe somiglianze con la silfide piroettante. Andai via.
Ecco, diciamo che oggi molti italiani hanno trovato nella buca delle lettere il volantino di un nuovo piazzista.


NB - Il volantino entra a fatica nella buca delle lettere, nonostante sia di sole 32 pagine, perché per fare scena non si risparmia sulla risoluzione delle immagini e evidentemente il webmaster, al passo con i tempi, è incapace di realizzare un documento più leggero.

giovedì 6 marzo 2014

Prima di leggere Chinaski


Non è lettura da affrontare alla leggera,
prima
devi bere qualcosa di forte,
un infuso
da preparare con cura
mentre ascolti Čajkovskij.

Alcol e fiele,
in dosi misurate.
Il primo
abbondante
di qualità scadente
il secondo
attento,
poco più
di quanto ne sopporti
poco meno
di quanto ti ucciderebbe,
aggiungi
poesia
e
bestemmie
quanto basta
lascia macerare al buio
in silenzio
per una vita
e un giorno,
poi bevi la pozione d’un fiato,
spera di rimanere in vita
distrutto
quanto è necessario
per vomitare l’anima sulla strada,
tra ladri
barboni
puttane
e altri santi.

Ora puoi leggere le poesie di Bukowski
per rubare
alla morte
5 dannati minuti
e molto
di più.